"Feci quello che la gente si aspettava da me, come ho già detto volevo diventare celebre per poter essere il più grande stronzo in circolazione e sono riuscito anche a ispirare dei grossissimi stronzi, perché la mia merda è molto meglio dei diamanti degli altri". Siamo nel 1973 e con questa dichiarazione autoironica, nello stile caustico che caratterizza il suo umorismo tipicamente yiddish, che contiene sempre un pizzico di cattiveria, Lou Reed stigmatizza il successo planetario di "Transformer", pubblicato nell'anno precedente; ha finalmente ottenuto il successo tanto agognato e potrebbe sfruttare il filone d'oro pubblicando un album nello stesso stile; invece, coraggiosamente, impone "Berlin" alla sua casa discografica - anche se ciò lo costringe a firmare un patto dove si impegna a pubblicare, in seguito, un album commerciale, che diverrà quella "Sally Can't Dance" da lui poi bollata come una "schifezza", e un album live; la registrazione avviene a Londra, la produzione è affidata al ventiquattrenne enfant prodige Bob Ezrin, lo stesso di Alice Cooper e che in seguito produrrà anche altri album memorabili: fra tutti la floydiana, ma soprattutto watersiana, "The Wall" che insieme a "Berlin" sarà il concept-album più intensamente profondo e psicoanalitico nella storia del rock.
Il personaggio stile glam-rock creato per il lancio di "Transformer" probabilmente non rispecchia nessuna delle pur plurime personalità di Lou Reed e questa schizofrenia, in aggiunta a un uso smodato di droghe e alcool, rende il suo comportamento paranoico e alienato, al punto da influenzare negativamente il suo matrimonio, che fallirà poi miseramente.
Il lavoro che segue - che non può non risentire di questo disagio esistenziale e del rapporto esasperato venutosi a creare fra lui e la moglie, verso la quale riversa tutte le sue frustrazioni infliggendole, con crudeltà, violenze fisiche e psicologiche, sia in privato sia in pubblico - gli serve per dare libero sfogo alla sua rabbia interiore che, come in una catarsi, gli purifichi lo spirito: "Dovevo fare Berlin o sarei impazzito" dichiarò successivamente, confermando la teoria secondo la quale è sull'orlo di una crisi di nervi che si è maggiormente creativi.
Con questo album tematico, "scritto dagli adulti per gli adulti", che si rivelerà un'ulteriore tappa lungo la strada che contribuì a portare la musica rock dalla sub-cultura adolescenziale a un linguaggio più colto, il così detto "rock intellettuale", Lou Reed crea un'opera che scava a fondo nella sua anima, di artista e di uomo, ed è un'amara presa di coscienza di un fallimento personale, e forse per diversi aspetti generazionale, trattando, senza metafore, in una spietata analisi, temi come l'idealizzazione dei rapporti con gli altri con l'inevitabile disillusione, l'immaturità, la violenza, la nevrosi, la tossicodipendenza, parlando di odio e amore, tradimento, perdita, rinuncia, sconfitta.
Abbandonato il ruolo di osservatore voyeuristico, che sino ad ora ha caratterizzato i suoi testi, Lou Reed ha il coraggio, e forse la necessità, di raccontarsi in prima persona - la genialità di quest'opera è proprio nel modo in cui è raccontata: apparentemente l'unico io narrante è Jim, mentre in realtà il ruolo del narratore è schizofrenico, si alterna, si mischia, si sovrappone fra i personaggi e il se stesso personaggio pubblico, anche se i confini fra di loro sono molto sfumati e probabilmente dietro a ognuno di loro si cela sempre l'autore. Usando un linguaggio spietatamente diretto, crea il suo lavoro più autobiografico in assoluto, sinceramente autentico; canzone dopo canzone; velo dopo velo si denuda, mostrandoci, senza pudori, il suo vero volto e la sua vera anima, con tutti i suoi demoni e le sue paure.
Il coinvolgimento è totale e, improvvisamente, senza volerlo, come in una specie di osmosi, ci ritroviamo a essere Jim, a essere Caroline, a essere Lou; i suoi drammi, le sue paure, le sue fragilità, le sue bassezze, le sue meschinità, le sue incertezze sono le nostre, e ci costringe a scavare nelle nostre coscienze, effettuando a nostra volta una autoanalisi spietata, perché in fondo ognuno di noi potrebbe essere, umanamente, come uno dei protagonisti.
Storia d'amore sadomasochista, tristemente nichilista, realisticamente senza speranza, ambientata non più nella sua New York ma a Berlino, scelta come città simbolo della divisione e della decadenza, con sottili riferimenti a Brecht e Weill; commovente senza con questo scadere mai nel patetico e senza scendere a compromessi, freddamente realista, di forte impatto emotivo, con questo autentico capolavoro, con il quale raggiunge la sua massima ispirazione, forse il suo più vero e intenso, questo straordinario artista riesce, in una manciata di canzoni, a farci comprendere appieno la personalità complessa e contorta dei due protagonisti, Jim e Caroline, una coppia di tossici americani trapiantati a Berlino, dove conducono una vita misera e degradata che, inevitabilmente, sfocerà nella tragedia.
Per delinearne il carattere e raccontarci gli avvenimenti, Reed si affida, molto cinematograficamente - l'album, infatti, fu definito come "a film for the ear"- ai dialoghi e ai monologhi interiori, e intesse una sottile relazione fra gli umori dei personaggi e gli oggetti che li circondano: con poche e precise pennellate ci permette di immergerci nei luoghi e nelle atmosfere e di condividere le loro emozioni; ogni canzone è un flash su una situazione e uno stato d'animo.
Nella prima traccia - "Berlin" - la sensazione che percepiamo è di rimpianto per qualcosa di meraviglioso che è andato perduto, distrutto per sempre, e l'accompagnamento musicale del solo pianoforte rende, se possibile ancora più palpabile, un tono greve di acuta malinconia.
"Lady Day", un chiaro riferimento alla sfortunata cantante jazz Billie Holiday, morta prematuramente per abuso di droghe e alcol, la cui figura è utilizzata, metaforicamente, in relazione alla protagonista Caroline, facendo già presagire il tragico epilogo della vicenda.
"Men Of Good Fortune" è un'amara riflessione sull'influenza che la ricchezza e la povertà esercitano sul comportamento degli esseri umani "Men of good fortune often wish that they could die. While men of poor beginnings want what they have and to get it they'll die".
In "Caroline Says Part 1" conosciamo, attraverso il resoconto in forma indiretta del narratore, le parole della protagonista, nella quale possiamo riconoscere, con la definizione "Germanic Queen", il prototipo di molte delle figure femminili che hanno rivestito un ruolo importante nella vita di Lou Reed: dalla madre, con la quale aveva sempre avuto un rapporto conflittuale, ad alcune delle sue compagne, glaciali, inflessibili, che dovevano mostrare un'umiliante superiorità nei confronti del maschio.
In "How Do You Think If Feels", il brano più autobiografico di tutto l'album, ciò che più ci colpisce è la sua paura di dormire - retaggio probabilmente della serie di elettroshock (all'epoca una terapia molto utilizzata) cui i suoi genitori lo obbligarono a sottoporsi da adolescente, per essere "curato dall'omosessualità" - e dove, tristemente, pone alla sua donna una serie di domande retoriche, da cui sa già che non otterrà risposta essendo certo di non essere capito e anzi, molto probabilmente, la ritiene responsabile del proprio stato d'animo. Questa sorta di morbosa autoanalisi prosegue con "Oh Jim", brano nel quale si attribuisce, sia come artista sia come uomo, alcuni tratti tutt'altro che esaltanti, tracciando un bilancio fortemente negativo della propria vita e con "Caroline Says Part 2", la cui la protagonista, la "Gelida Alaska" - che possiamo anche interpretare come una duplice proiezione di se stesso, imputato e accusatore, vittima e aguzzino - rivolge a Jim delle terribili accuse e in cui la morte già si affaccia in modo inquietante "it so cold in Alaska".
Il brano "The Kids", così straziante, se non altro per il pianto dei bambini, ci descrive la squallida situazione familiare in cui vive la coppia, e il risentimento di Jim nei confronti di Caroline è totale e senza rimorso - tanto da essere felice che le siano stati portati via i bambini senza minimamente preoccuparsi di loro - anche se non capiamo, sino a che punto, le accuse verso la propria compagna siano fondate.
In "The Bed" l'irreparabile è già avvenuto e quando tutto il rancore accumulato sembra essersi stemperato con il suicidio di Caroline, Jim prova una struggente nostalgia per il passato, anche se velata da una sorta di ambigua indifferenza e, in un'atmosfera sognante, quasi spettrale, come un cronista, ci ricorda la persona scomparsa attraverso la descrizione dei luoghi ed elencando, in un pietoso inventario, gli oggetti che le erano appartenuti. Il parallelo fra il suicidio di Caroline e il tentativo di suicidio, realmente avvenuto durante la lavorazione dell'album della moglie di Reed che si tagliò le vene, è agghiacciante, anche se, a differenza del personaggio, sua moglie fortunatamente sopravvisse.
L'album si chiude con quel capolavoro musicale che è la classicheggiante "Sad Song", cinico epitaffio con cui Reed si autoassolve, alleggerendosi la coscienza dal peso di poter essere responsabile del suicidio della sua compagna ("I'm gonna stop wasting time, somebody else would have broken both of her arms"). Con queste liriche Lou Reed si merita un posto di prestigio nella poesia americana della seconda metà del '900, a fianco del suo grande maestro e mentore Delmore Schwartz.
Gli arrangiamenti, curati da Bob Ezrin, con la collaborazione di Alan MacMillan, spaziano dal jazz alla classica, dal rock melodico alla musica pop, sono lontani dalle consuete sonorità rock, non hanno nulla della genialità dei suoni audacemente sperimentati dai Velvet Undergound (possiamo solo immaginare come sarebbero stati "curati" da John Cale), ma sono comunque sempre in sintonia ed interagiscono magistralmente con le liriche. Per creare la perfetta colonna sonora di questo "film for the ear", Ezrin si avvale di musicisti eccezionali, per Lou Reed la migliore band dai tempi dei Velvet Underground, su tutti i due chitarristi, portati dallo stesso Ezrin, Steve Hunter e Dick Wagner, che affiancheranno Lou nel tour "Rock'n Roll Animal" (che sarà poi pubblicato come l'album live previsto nel contratto), ma anche i fratelli Becker ai fiati, Jack Bruce al basso - che, affascinato dalle liriche e totalmente coinvolto dall'opera curerà particolarmente il suo lavoro - Alan MacMillan al pianoforte, Steve Winwood alle tastiere.
Perfetto l'inizio con "Berlin" (brano anticipato nel concerto del 1972 al Bataclan di Parigi con John Cale al pianoforte) i cui suoni indistinti e le voci deformate che intonano un "Happy Birthay" distorto e filtrato, lasciano subito il posto al solo pianoforte, il cui suono richiama alla mente l'atmosfera decadente di un fumoso cafè-concerto berlinese anni Venti - due decisi affondi di pianoforte scandiscono l'attacco di "Lady Day", pezzo in cui la voce di Lou Reed è forte e potente, per poi passare al cadenzato "Men Of Good Fortune", in cui una bellissima linea di basso fa da contraltare alla voce. "Caroline Says pt.1" è una canzone con una melodia quasi pop, con il rituale sottofondo di coretti, cui fa seguito l'unico pezzo veramente rock dell'album "How Do You Think it Feels", con batteria incalzante e suono metallico di chitarre elettriche. Inizia con una musica quasi pop "Oh, Jim", rielaborazione di un vecchio pezzo scritto con i Velvet Underground, per poi variare improvvisamente registro, trasformandosi in una tirata composizione acustica suonata dallo stesso Reed (come del resto tutte le parti acustiche dell'album) e la cui voce è virata con un leggero effetto eco. "Caroline Says pt.2" è un bellissimo brano melodico.
Chitarre acustiche anche per i due pezzi successivi: "The Kids", brano doloroso con un quasi anacronistico suono flautato che fa da sottofondo al pianto dei bambini e cantato da Lou Reed con una leggerezza incredibile, e "The Bed", molto dolce e onirico, una delle sue interpretazioni più intense ed emozionanti.
Poi la musica perde quasi la sua struttura coerente, come la colonna sonora di un film, le voci del coro si distorcono e da questa nebbia emergono, dolcissime, le prime note di "Sad Song", musica celestiale, l'arcobaleno dopo la tempesta, melodia meravigliosa quasi operistica, che chiude l'album.
Il tutto reci-cantato da Lou Reed, la cui voce disperata, rabbiosa, sofferente, ipnotica, seducente, sognante è sempre molto emotiva e carica di suggestione.
L'Lp, che inizialmente era stato progettato come doppio, con una veste grafica che prevedeva una copertina apribile e un libretto con i testi e alcuni fotogrammi che ne illustrassero la storia, è pubblicato come singolo in quanto la casa discografica non intende investire in un "prodotto" che non ritiene commerciale: sciaguratamente ciò costringe Ezrin a tagliare ben 14 minuti dall'opera originale, in pratica tutti gli intermezzi musicali fra un brano e l'altro; chissà se un giorno si decideranno a ristamparlo in edizione originale... noi ovviamente continuiamo a sperare!
La produzione è estremamente difficile e faticosa per tutti, sia dal punto di vista fisico sia psicologico, emotivamente distruttiva, ma quello che ci rimette di più è proprio lo stesso Ezrin, che, non abituato all'uso smodato di droghe che dovette utilizzare per poter essere all'altezza di Reed, alla fine si dovrà ricoverare in ospedale, per collasso.
Opera di grande influenza, da cui hanno tratto ispirazione generazioni d'autori, difficile e poco commerciale, essendo ritenuta troppo cupa e deprimente, fu stroncata dalla maggior parte della critica che, come avviene a volte per i capolavori, si rivelò cieca e sorda, non comprendendone immediatamente la grandezza - il prestigioso Rolling Stones, della serie "le ultime parole famose", lo recensì come "la fine di una promettente carriera" -; anche il suo pubblico, che forse si aspettava un altro album "alla Transformer", lo tradì non acquistandolo: in America vendette pochissimo, un po' meglio fa in Europa, più vicina culturalmente a questo tipo di lavoro, dove vincerà anche alcuni premi della critica.
Per Lou Reed la delusione per il fiasco fu cocente, come ebbe a dichiarare: "Il fatto che l'album fosse stato frainteso fu per me la più grossa delusione della mia vita".
A quel punto decise di chiudere i battenti sul suo universo interiore e di non riaprirli mai più diventando il Rock'n'Roll Animal tanto apprezzato dalle platee di tutto il mondo: ma siamo certi che abbia mantenuto la promessa?
06/11/2006