Il Cabaret Voltaire, fondato a Zurigo nel 1916 dal regista teatrale Hugo Ball con un gruppo di artisti tedeschi, è stato la culla del dadaismo, movimento di rottura e rinnovamento delle logiche artistiche tradizionali. Al Cabaret si tenevano mostre d'arte russa e francese, danze, letture poetiche, esecuzioni di musiche africane. Spettacoli provocatori e dissacranti che si trasformavano in autentici "eventi" culturali.
Quasi sessant'anni dopo, a Sheffield (Inghilterra), tre studenti universitari appassionati di punk, funk ed elettronica, sognano di ripercorrere sul pentagramma gli esperimenti dei pionieri dadaisti di Zurigo. Sono Stephen Mallinder (basso/voce), Richard H. Kirk (chitarra) e Chris Watson (manipolazione nastri). Nel 1973 i tre fondano i Cabaret Voltaire, formazione destinata a lasciare un'impronta profonda su tutta l'evoluzione dell'industrial music di lì a venire.
L'obiettivo dei tre è descrivere in musica il paesaggio urbano di Sheffield trent'anni dopo la guerra, ancora trasfigurato dalle bombe e dalle incurie urbanistiche. Si può dire che i Cabaret Voltaire stanno a Sheffield come i Joy Division stanno a Manchester. "Il nostro progetto - racconta Richard H. Kirk - nasceva dalla noia, dalla mancanza di un futuro e dal bisogno di creare problemi". Nelle prime performance, il trio si presenta con synth, generatori di ritmo, fiati, suoni registrati e manipolati attraverso dei tape-recorder. Al crocevia tra futurismo d'avanguardia e pop, queste esibizioni valgono ai Cabaret Voltaire uno spazio significativo all'interno della nascente scena industrial di Throbbing Gristle e Clock Dva. I primi demo del trio fondono elettronica, funk, punk, psichedelia e world-music, accentuando gli aspetti "stranianti" di ognuno di essi. Gli esperimenti con i sintetizzatori (lanciati da Kraftwerk, Schulze e Neu!) si combinano con la psichedelia dilatata dei primi Pink Floyd e con sonorità esotiche, di matrice soprattutto asiatica. Ne sono un saggio il singolo "Nag Nag Nag", la cover "distorta" di "Here She Comes Now" dei Velvet Underground e l'Ep Extended Play.
Sulla scia del successo della new wave "rumorista", guidata dai Throbbing Gristle, la band di Sheffield ottiene un contratto discografico con la Rough Trade, che darà alle stampe la trilogia composta da Mix-Up (1979), Voice Of America (1980) e Red Mecca (1981).
L'approdo al formato del 33 giri con Mix-Up (1978) segna un debutto tra i più folgoranti dell'intera stagione new wave.
Sorta di videogame claustrofobico, di elettroshock in musica, l'album è una miscela, per l'appunto, di musica funk ed elettronica, disturbata da sprazzi rumoristi, fruscii, voci metalliche, droni, fiati deturpati, clangori e pulsazioni ossessive. Il tutto filtrato da una sensibilità sperimentale, oscura e visionaria. Un sound che trascina l'ascoltatore in una spirale caotica, che attrae e distoglie continuamente dal centro, in una sorta di gioco perverso.
Nelle nove tracce di Mix-Up le sperimentazioni della scuola tedesca sui sintetizzatori (Kraftwerk, Schulze e Neu!) si combinano con l'elettronica nevrastenica di Suicide e Throbbing Gristle, e con sonorità esotiche, di matrice soprattutto asiatica. Ricorrente è anche l'uso delle tecniche di cut-up sonoro: campioni di suono, rumore, voci rubate dalla strada o dai mass media vengono trattati creando basi sonore e ritmiche tramite loop. Le ambientazioni sono degne d'un fanta-thriller metropolitano: uno scenario da "day after" in cui vagano solo macchine impazzite e robot replicanti.
L'inizio è già capolavoro grazie all'incalzante "Kirlian Photograph", forte di percussioni ossessive e di un semplice giro di basso, sul quale poggiano rumori e suoni sintetizzati, con la voce che resta sullo sfondo, trattata e filtrata elettronicamente. Se "Fourth Shot" riecheggia le atmosfere più morbose dei Velvet Underground, con il suo incedere solenne, da mantra "nero", non è certo meno raggelante l'elettronica minimale di brani quali "Heaven And Hell" ed "Expect Nothing": voce spettrale filtrata, percussioni ossessive, synth atmosferici e caos di riverberi. La suspence di "Photophobia" è invece costruita quasi unicamente sul recitato, degno d'un moribondo agonizzante (do you remember "Frankie Teardrop"?). La cover di "No Escape" dei Seeds, poi, è talmente claustrofobica da materializzare proprio uno degli incubi più agghiaccianti dei Suicide. E sono macchine impazzite quelle che ormai si sono impossessate del sound nella conclusiva "Capsules".
Originale ibrido tra musica industriale, dark-punk e dance atmosferica, Mix-Up è un viaggio alienante nella psiche umana, un susseguirsi di brividi, shock e stati di trance. E' il disco che consentì ai Cabaret Voltaire di sedurre la critica internazionale e di ottenere anche un discreto successo commerciale, testimoniato dalla presenza per lungo tempo nelle chart indipendenti del Regno Unito.
Nel 1979 il trio di Sheffield pubblica il primo album dal vivo: Live At The Y.M.C.A., che documenta l'affascinante impatto delle sue performance e include alcuni brani già pubblicati come singoli, tra cui "Nag Nag Nag" e la cover dei Velvet Underground "Here She Comes Now".
Il successivo Ep Three Mantras (1980) è la prima incursione della band in strutture musicali non occidentali: vocalizzi arabi e sonorità indiane entrano nel loro sound, unendo idealmente, nel segno del "mantra", Asia ed Europa ("Western Mantra", "Eastern Mantra").
Subito dopo la pubblicazione di “1974-1976” per la Industrial Records dei Throbbing Gristle – tra le più eminenti cult label di tutta la scena musicale underground degli ultimi trentacinque anni – e a un anno dall’esorbitante debutto, i tre decostruttivisti del suono Kirk, Mallinder e Watson, che hanno deliberatamente gettato il mito del Cabaret Voltaire nell’asfissiante calderone della “rivoluzione industrial”, danno un’ulteriore, pregiata conferma della propria attitudine sperimentale attraverso il loro secondo album, The Voice Of America, pubblicato ancora una volta dalla londinese Rough Trade (il cui idillio coi Nostri si chiuderà due anni dopo con l'uscita di “Hail! Live In Japan”, prima del passaggio alla Some Bizzarre e dell’abbandono dei Voltaire da parte di Watson, che nel 1983 fonderà gli Hafler Trio con Andrew McKenzie).
La presenza assillante di collage rudimentali su entrambe le copertine di The Voice Of America e il booklet interno non è un richiamo soltanto all’estetica punk (quella vera) e alla filosofia del “Do It Yourself” che la caratterizza, ma anche alla stessa linea compositiva dell’album, in gran parte improntata all’uso di campionamenti di varia natura su nastro, con l’obiettivo di generare un cut-up di suoni e rumori in pieno stile burroughsiano (i Cabaret Voltaire sono tra i primi a servirsi di questa tecnica anche per la creazione di suoni analogici totalmente inusuali), per non parlare del sottile rimando cinematografico alle atmosfere paranoiche di “The Conversation”, celebre pellicola di Francis Ford Coppola, datata 1974, con un memorabile Gene Hackman.
A rendere appieno l’idea è proprio la misteriosa e cupa title track, in cui la voce registrata di un poliziotto, intento a fornire indicazioni a una squadra antisommossa, si accompagna alla batteria essenziale, al basso dubbato di Mallinder e alle manipolazioni sonore di Watson; la voce alterata di Mallinder (che fa il suo ingresso dopo tre minuti abbondanti) è il controcanto (in)naturale alla chitarra narcotica di Kirk.
“Partially Submerged” è angosciante già nel titolo. L’abrasivo marchio di fabbrica gristleiano è facilmente distinguibile e il ridondante intervento di sui nastri dà vita a un nauseante mantra oscuro. “Kneel To The Boss” si prospetta inizialmente come un ascolto “pop”, per via del frivolo attacco di synth e percussioni elettroniche, ma l'impressione è puntualmente disattesa dal canto trascinato e dal ritmo che, perpetrandosi, lascia la mente in stato di ipnosi.
L’afrore dell’opprimente electro-industrial prodotto dalle sonorità immonde di Watson e la marzialità dei vocalizzi ringhiati sono, nella quarta traccia, la vera "Premonition" cui paga costantemente pegno quella tendenza lo-fi d'oltreoceano, di matrice elettronica, nata e sviluppata a cavallo tra gli 80 e i 90, e irrimediabilmente rifluita nei canali del manierismo negli anni presenti. "This Is Entertainment" gode di un'intro alienata, che viaggia sull’onda dei Chrome di "Alien Soundtracks" e si dilata lungo tutti i sei minuti di durata. È la volta di "If The Shadows Could March? (1974)", breve e angusto interludio dronico che si caratterizza per essere la traccia più datata dell'intero album.
Il monito reiterato in "Stay Out Of It", con le sue voci registrate, la chitarra acidamente sixties e il synth che emula un organetto sghembo, ci proietta verso atmosfere pregne di surrealismo onirico noir, ovvero l’anticamera della malefica "Obsession", miscela fatale di basso funky, incursioni elettroniche penetranti e manipolazioni analogiche che accrescono il senso generale di paranoia, fil rouge dell'album nella sua interezza.
Il rush finale è la doppietta "News From Nowhere" e "Messages Received". La prima è un’esplosione cacofonica in cui la voce rallentata di Mallinder e l'intervento delirante di Kirk ai fiati sono assolutamente in linea con il potente drumming di Haydn Boyes-Weston, mentre la seconda è una “Nag Nag Nag” meno convulsa e più flemmatica, in parte svuotata della sua furia incalzante e con una chiusura decisamente brusca.
Sulla scia di quell’uragano che è stato Mix-Up, i Cabaret Voltaire hanno invidiabilmente saputo condurre il loro teatro musicale verso orizzonti quasi cinematografici, rendendo le loro sonorità malsane ancor più riconoscibili e assurgendo, così, al ruolo di pionieri indiscussi dell’avanguardia nell’ambito delle correnti dark-punk, industrial ed elettronica.
Ancor più incisivo l'Ep 3 Crepuscule Tracks (1981), opera di transizione tra gli esordi "art-noise" e il successivo corso più "ballabile": svetta "Sluggin' fer Jesus (Part One)", che si accanisce contro i telepredicatori reazionari al ritmo di dance e con un sintetizzatore ipnotico sullo sfondo.
Ma è con l'album Red Mecca (1981) che i Cabaret Voltaire recuperano il senso più autentico della loro "missione". I tre guerriglieri industrial di Sheffield sfoderano un'opera violenta e abrasiva, che riecheggia le deturpazioni sonore dei Chrome, accrescendo, al contempo, il battito dance. La loro musica vira verso forme di elettronica meno allucinate e avanguardiste, approdando a un suono più curato e ritmico, che si esprime in una forma-canzone, seppur "alienata".
Su un fondale ritmico monotono e incessante si sussegue così un flusso continuo di eventi sonori, tra sferragliate di chitarra, melodie sintetiche e clangori metallici. Ne scaturisce una sorta di electro-industrial per discoteche dark, sublimato in brani come "Red Mask", "Sly Doubt" e "A Touch Of Evil" (cover del tema di Henry Mancini per l'omonimo film di Orson Welles).
Il doppio Ep 2 x 45 (1982) approda a un rock più acustico, introducendo strumenti come sassofono e clarinetto, con episodi interessanti come l'ossessiva "Protection", l'orientaleggiante raga di "Yashar" e il funk metallico di "Get Out Of My Face". Il disco segna l'addio al gruppo di Chris Watson che, in disaccordo con Kirk e Mallinder sulla strada da seguire, decide di dedicarsi al progetto degli Hafler Trio. Johnny YesNo è la colonna sonora per un film di Peter Care, mentre il progetto live di Pressure Company vede la band al fianco del sindacato Solidarnosc, protagonista della "rivoluzione polacca".
Nel 1983 i due reduci firmano un contratto con la Some Bizzare e collaborano con Dave Ball (ex-Soft Cell). Il loro stile, inevitabilmente, cambia, allontanandosi dall'industrial elettronico degli esordi per avvicinarsi sempre più alla dance. Crackdown (1983) è il risultato migliore di questo nuovo corso, con brani suggestivi e "dark" come la title-track, "24-24" e "Just Fascination", in cui spicca un'accattivante melodia pop. Ancora una volta in anticipo sui tempi, i Cabaret Voltaire coniano una sorta di industrial-funk (ovvero musica con matrice funk contaminata dall'elettronica, dai primi campionamenti e dalla dance) che aprirà la strada alla moltitudine di band house e techno degli anni Novanta. Al tempo stesso, però, i poliritmi sintetici di Crackdown lasciano intravedere i primi segni di quel techno-pop che nei dischi successivi si farà sempre più di maniera, e che sarà poi abbandonato alla fine degli Ottanta con il sopraggiungere dell'house music.
Il successivo Micro-Phonies accentua ancor di più le ritmiche, che lambiscono la techno pura nei singoli "Sensoria" e "James Brown". The Covenant, The Sword And The Arm Of The Lord (1985), dal nome di un'organizzazione neonazista americana, completa la trilogia Bizzarre, segnando un'ulteriore regressione verso una dance-music di facile ascolto: "I Want You", "Motion Rotation" e "Kickback" fanno gridare molti fan al "tradimento".
La propensione all'elettro-disco accattivante si rivela anche nell'Ep Drain Train del 1986 (soprattutto con "The Whole Thing" e "Electro-Motive") e nell'album successivo, Code, realizzato nel 1987 per l'etichetta Emi, in collaborazione con Bill Laswell e Adrian Sherwood. Zeppo di melodie scipite e privo di ogni intento sperimentale, il disco segna il punto più basso della parabola discendente iniziata con Micro-Phonies. Anche i singoli estratti, "Don't argue" e "Here to Go", si rivelano un flop.
Archiviata con poco onore questa "seconda fase" della loro carriera, i Cabaret Voltaire si ritrovano tre anni dopo a Chicago dove, in compagnia di un guru della musica house come Marshall Jefferson, concepiscono il progetto del nuovo disco. E' l'inizio della "terza fase": quella house. Groovy Laidback and Nasty esce nel 1990 e si limita in buona parte a riciclare proprio quegli stereotipi house di cui i Cabaret Voltaire erano stati i precursori. La disco-soul di "Searchin'", il rap (!) di "Runaway" e il synth-pop d'annata di "Keep On" non lasciano il segno. Sono semmai le più "classiche" "Easy Life" e "Magic" (interamente strumentale) a riscattare il disco, che tuttavia si rivela uno dei loro maggiori successi grazie soprattutto al singolo "Hypnotized".
Nel '91 arriva l'Ep Colours, sorta di puzzle sonoro che testimonia il processo di produzione della loro musica, seguito a ruota da Body And Soul (1991), in cui la band abbandona gli strumenti tradizionali per fare spazio solo alle tastiere elettroniche.
Tra il 1992 e il 1994 esce una nuova trilogia sotto l'etichetta Instinct, che vira decisamente verso l'ambient-house, nel solco di Aphex Twin, Orb e Autechre. Il primo episodio, Plasticity (1992), quasi interamente strumentale, riecheggia soprattutto il minimalismo elettronico dei Kraftwerk ("Inside The Electronic Revolution"), ma strizza l'occhio anche all'ambient e alla new age ("Deep Time", "Soul Vine"). Il successivo International Language (1993), ancora una volta solo strumentale, si rifugia in una elettronica di facile ascolto ("Everything Is True", "Radical Chic", "Afterglow"). Conversation del 1994 conclude la trilogia con la lunga suite stile-Schulze "Project 80".
Dal 1994 praticamente i Cabaret Voltaire cessano di esistere: Kirk continua la carriera come solista dedicandosi anche ai progetti paralleli Sandoz e Electronic Eye, mentre Mallinder si trasferisce in Australia.
Il periodo classico dei Cabaret Voltaire sarà sintetizzato nell'antologia The Golden Moments (1987). The Living Legends (1990) include i singoli fino a quel momento. Listen Up (1990) raccoglie inediti e rarità del primo periodo. The Original Sound Of Sheffield '78/'82 (2002) celebra invece il primo periodo di attività del gruppo, terminato nel 1982 con il divorzio dalla Rough Trade. Degne di nota anche le collaborazioni con Clock Dva, "Box" e "Antigroup".
Richard Harold Kirk riesuma nel 2014 la sigla Cabaret Voltaire per una serie di spettacoli dal vivo. Tutto ebbe inizio di nuovo con un’esibizione al Berlin Atonal. Nel 2020 finalmente giunge un nuovo album a firma Cabaret Voltaire realizzato dal solo Kirk, Shadow Of Fear (2020). Si tratta di un lavoro che è la logica prosecuzione di quarantacinque anni di ricerca nella musica elettronica. Non siamo di fronte a un ritorno nostalgico ma a una nuova incarnazione di un musicista che anche nella sua carriera solista ci ha regalato album incredibili come Disposable Half-Truths, Black Jesus Voice e Virtual State, per non parlare dei suoi molteplici lavori sotto vari pseudonimi (Sandoz, Electronic Eye, Agents With False Memories, Al Jabr ecc.).
“Be Free” e “The Power (Of Their Knowledge)” probabilmente sono i brani che faranno la felicità dei vecchi fan del gruppo industrial. Pur creando un suono meno ruvido e grezzo, emerge tutta la paranoia elettrica dei primi Cabaret Voltaire, da Mix-Up a Voice Of America. Se alla fine degli anni Settanta s’intravedeva già la discesa a picco della moderna società industriale nei suoi scheletri di fabbriche e miniere dismesse, oggi si guardano dalla finestra altri deserti urbani e sociali. “Night Of The Giacal” punta invece a lidi bleep-techno che ricordano la prima produzione della Warp. “Microscopic Flesh Fragment” è la rielaborazione di una parte della session live realizzata per il Berlin Atonal. Qui e nella traccia successiva, “Papa Nine Zero Delta United”, l’artista inglese esplora il lato più dub sperimentale dei Cabaret Voltaire, ricordando un po’ “Yasar” e le torbide atmosfere di Red Mecca, un cut-up in salsa electro-dub, tra brusche decelerazioni e fughe in avanti.
Anche “Universal Energy” è un brano già stato presentato in sede live al Berlin Atonal, una lunga suite techno industrial che assieme alla successiva "Vasto" ribadisce, se ce ne fosse ancora bisogno, che Kirk è anche uno degli indiscussi padri della techno. “What’s Goin’ On” chiude l’album con un brano electro-funk che ricorda la colonna sonora di “Johnny Yesno” realizzata dai Cabaret Voltaire nel 1983, l’ultimo lavoro con Watson presente.
In sintesi, l’album intreccia l’esperienza dei Cabaret Voltaire con la produzione solista di Kirk dando spazio alle varie fasi artistiche di un vero pioniere della musica elettronica. Al contempo, Shadow Of Fear suona come un disco contemporaneo, paranoico e adatto ai tempi cupi in cui viviamo ma con una carica di energia e una voglia di muoversi oltre le ombre della paura, oltre le barriere. Una sorta di vaccino in musica per sopravvivere a una società che ricorda sempre di più i libri di George Orwell e Aldous Huxley.
"Non abbiamo mai avuto un vero successo commerciale - racconta Richard H. Kirk - Alcune delle nostre intuizioni hanno però avuto una certa diffusione, e hanno influenzato parecchie persone, anche nel campo delle arti visive". Non si può dargli torto. Pionieri del rock industriale, precursori della techno, avanguardisti visionari del pop, i Cabaret Voltaire sono una delle formazioni più influenti della new wave britannica. Le loro intuizioni rumoriste hanno dato il là a tutta la scena industrial (dai Ministry ai Nine Inch Nails), mentre i loro poliritmi dance sono stati il trampolino di lancio per ottime band di synth-pop come Depeche Mode e New Order.
Contributi di Marco De Baptistis ("Shadow Of Fear")
Extended Play (Ep, Rough Trade 1978) | ||
Mix-Up (Rough Trade, 1979) | 8,5 | |
Live at the YMCA 27-10-79 (live, Rough Trade, 1980) | ||
Three Mantras (Ep, Rough Trade 1980) | 6 | |
The Voice of America (Rough Trade 1980) | 5 | |
3 Crépuscule Tracks (1981) | 6 | |
Live at the Lyceum (Rough Trade 1981) | ||
Red Mecca (Rough Trade 1981) | 8 | |
2 X 45 (Ep, Rough Trade 1982) | ||
Hail! Live in Japan (Rough Trade 1982) | ||
The Crackdown (Some Bizzarre/Virgin 1983) | 6,5 | |
Johnny YesNo (Doublevision 1983) | ||
Micro-Phonies (Some Bizzarre/Virgin 1984) | 5 | |
Drinking Gasoline (Some Bizzarre/Virgin 1985) | ||
The Covenant, The Sword and the Arm of the Lord (Some Bizzarre/Virgin 1985) | 5 | |
The Drain Train (Ep, Doublevision, 1986) | 5 | |
Golden Moments (Rough Trade 1987) | 7 | |
Code (Manhattan 1987) | 5 | |
Eight Crépuscule Tracks (Giant 1988) | ||
Listen Up with Cabaret Voltaire (antologia, Restless 1990) | ||
Living Legends (antologia, Mute 1990) | ||
Groovy, Laidback and Nasty (Parlophone 1990) | 6,5 | |
Plasticity (Instinct 1993) | 6 | |
International Language (Instinct 1993) | ||
The Conversation (Instinct, 1994) | ||
The Original Sound Of Sheffield '78/'82 (Superfecta, 2002) | ||
Radiation (Pilot 1998) | ||
Live at the Hacienda 83/86 (cherry red 2003) | ||
Methodology 74/78 (Mute 2003) | ||
Shadow Of Fear(Mute 2020) | 8 | |
| ||
PRESSURE COMPANY | ||
Live in Sheffield 19 Jan 82 (1982) | ||
| ||
RICHARD H. KIRK | ||
Disposable Half-Truths (Industrial 1980) | ||
Time High Fiction Doublevision (1983) | ||
Black Jesus Voice (Rough Trade 1986) | ||
Ugly Spirit (Rough Trade 1986) | ||
Dasein (Intone 2017) | 8 | |
PETER HOPE & RICHARD KIRK | ||
Hoodoo Talk (1987) | ||
| ||
STEPHEN MALLINDERS | ||
Pow-Wow (Fetish, 1982) | ||
Pow-Wow Plus (Double Vision, 1985) | ||
Gentlemen (1993) | ||
Black Love (1996) | ||
1965 (1998) |
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