Il Cabaret Voltaire, fondato a Zurigo nel 1916 dal regista teatrale Hugo Ball, fu la culla del dadaismo, movimento di rottura e rinnovamento delle logiche artistiche tradizionali. Quasi sessant'anni dopo, a Sheffield (Inghilterra), tre studenti universitari appassionati di punk, funk ed elettronica, sognavano di ripercorrere sul pentagramma gli esperimenti dei pionieri dadaisti di Zurigo. Erano Stephen Mallinder (basso/voce), Richard H. Kirk (chitarra) e Christ Watson (manipolazione nastri). Nel 1973, i tre fondano i Cabaret Voltaire, formazione destinata a lasciare un'impronta profonda su tutta l'evoluzione dell'industrial music di lì a venire.
Al crocevia tra futurismo d'avanguardia e pop, i Cabaret Voltaire si conquistano uno spazio significativo all'interno della nascente scena industrial di Throbbing Gristle e Clock Dva. L'approdo al formato del 33 giri con "Mix-Up" (1979) segna un debutto tra i più folgoranti della stagione new wave. Sorta di videogame claustrofobico, di elettroshock in musica, l'album è una miscela, per l'appunto, di musica funk ed elettronica, disturbata da sprazzi rumoristi, fruscii, voci metalliche, droni, fiati deturpati, clangori e pulsazioni ossessive. Il tutto filtrato da una sensibilità sperimentale, oscura e visionaria. Un sound che trascina l'ascoltatore in una spirale caotica, che attrae e distoglie continuamente dal centro, in una sorta di gioco perverso.
Nelle nove tracce di "Mix-Up" le sperimentazioni della scuola tedesca sui sintetizzatori (Kraftwerk, Schulze e Neu!) si combinano con l'elettronica nevrastenica di Suicide e Throbbing Gristle, e con sonorità esotiche, di matrice soprattutto asiatica. Ricorrente è anche l'uso delle tecniche di cut-up sonoro: campioni di suono, rumore, voci rubate dalla strada o dai mass media vengono trattati creando basi sonore e ritmiche tramite loop. Le ambientazioni sono degne d'un fanta-thriller metropolitano: uno scenario da "day after" in cui vagano solo macchine impazzite e robot replicanti.
L'inizio è già capolavoro grazie all'incalzante "Kirlian Photograph", forte di percussioni ossessive e di un semplice giro di basso, sul quale poggiano rumori e suoni sintetizzati, con la voce che resta sullo sfondo, trattata e filtrata elettronicamente. Se "Fourth Shot" riecheggia le atmosfere più morbose dei Velvet Underground, con il suo incedere solenne, da mantra "nero", non è certo meno raggelante l'elettronica minimale di brani quali "Heaven And Hell" ed "Expect Nothing": voce spettrale filtrata, percussioni ossessive, synth atmosferici e caos di riverberi. La suspence di "Photophobia" è invece costruita quasi unicamente sul recitato, degno d'un moribondo agonizzante (do you remember "Frankie Teardrop"?). La cover di "No Escape" dei Seeds, poi, è talmente claustrofobica da materializzare proprio uno degli incubi più agghiaccianti dei Suicide. E sono macchine impazzite quelle che ormai si sono impossessate del sound nella conclusiva "Capsules".
Originale ibrido tra musica industriale, dark-punk e dance atmosferica, "Mix-Up" è un viaggio alienante nella psiche umana, un susseguirsi di brividi, shock e stati di trance. E' il disco che consentì ai Cabaret Voltaire di sedurre la critica internazionale e di ottenere anche un discreto successo commerciale, testimoniato dalla presenza per lungo tempo nelle chart indipendenti del Regno Unito.
27/10/2006