Ho vissuto a lungo il silenzio di quest'oggi
Con la bocca avvelenata dai fatti
E la mia freddezza riguarda anche la morte
Come un gioco di luci lontane
"Quel che è fatto, è fatto", canta Paolo Zangara in "Silenzi irrequieti", canzone che apre "Scusi, dov'è il bar?", esordio solista del cantautore di origini palermitane nato "per caso" a Varese. Classe '64, Zangara non è di certo l'ultimo arrivato, visto che ha all'attivo dieci dischi con vari gruppi tra cui i LO.MO e gli Hikobusha, senza contare la collaborazione con Lory Muratti, eclettico artista varesino in quanto pittore, dj, musicista, per il progetto espanso the house of love, che è diventato poi anche il nome di uno studio di registrazione a due passi dal lago di Monate.
La voce intensa da
chansonnier consumato dalla vita e appunto dalle sue irrequietezze, il passo lento, le melodie sghembe, mai banali, e una penna densa, asciutta quanto basta per accasarsi idealmente nel bar immaginario di Zangara e cantare con lui di malesseri e prese di coscienza solo in apparenza fuori tempo massimo: sono questi i punti di forza di un viaggio emotivo intrapreso con Mauro Brunini alla tromba e al flicorno, Roberto Talamona alle chitarre, Tarcisio Olgiati al sassofono, Mauro Banfi al pianoforte, Pier Tarantino alla batteria, Francesca Morandi al contrabbasso, e infine ai cori Leila Rossi ed Elisabetta Girola.
Se le prime due istantanee sono ballate cupe e altamente introspettive, canzoni come "Dall'altra parte del mare" accendono una luce sugli orizzonti intravisti da Zangara, con un coretto che sarebbe tanto piaciuto al
Piero Umiliani dei bei tempi e un sax da osteria che riscalda anima e corpo. "Scusi, dov'è il bar?" è un disco notturno. E non potrebbe essere altrimenti, se solo ci si ferma ad ammirare lo scatto in copertina con l'immancabile sigaretta accesa in penombra. Un album oltre la mezzanotte da ascoltare quando tutto è fermo e la mente bussa alle porte dell'animo per fare il punto della situazione come in "Giorni e notti": "Tutto il tempo che abbiamo perduto, inseguendo dei sogni che non eran per noi".
E i bicchieri che si svuotano in fretta
E le parole, così a briglia sciolta
Le nostre dita che si cercano ancora
Ben sapendo che forse non si incontrerà più
Ora è tardi, bisogna che io vada
Come allora, quando tu decidesti
Di inseguire il tuo sogno lontano
Un sogno che mai si compirà
Riporta a
Paolo Conte il brio jazz di "Parole". Sussurri che si specchiano dentro il buio di un locale semideserto, mentre il fumo avvolge tutt'intorno e un ritmo inquieto scuote i fianchi. Vale lo stesso per la più sarcastica "Sono quel che sono". Zangara canta: "Tutte quelle smancerie non fan per me". E c'è da credergli a mani basse. E ancora "riempio e svuoto bicchieri, apro e chiudo cerniere, non mi importano i soldi, non rincorro la luna" nell'aulica "Una corsa", buttata giù un po' alla Paul Anka e un po' alla
Piero Ciampi.
Nel marasma italico generale, sempre più caotico e zeppo di uscite perlopiù sterili, "Scusi, dov'è il bar?" si erge da lontano, anzi lontanissimo, come un angolino ancora intatto, lasciato libero da tutti nel paese dei balocchi. Uno spazio antico ma non ancora alieno in cui rifugiarsi mentre la notte prende quota, per un sentimento trasognato da celebrare senza troppe moine, anche solo per una sera, lasciandosi cullare dagli otto "silenzi irrequieti" di un cantastorie d'altri tempi.
28/09/2024