Ustmamò

Ustmamò - Dagli Appennini a Bristol

Nella luminosa stagione indie tricolore degli anni 90 ha brillato anche la stella della band identificata con la voce di Mara Redeghieri, capace di far convivere tradizione dell'Appennino reggiano e trip-hop, pop caramelloso e chitarre alt-rock. Un piccolo culto in grado di trovare con "Üst" la via per uscire dalla nicchia e incuriosire persino David Bowie

di Claudio Fabretti, Claudio Lancia

I ribelli della montagna

Nella luminosa stagione indie tricolore degli anni 90, ha brillato, purtroppo per poco, anche la stella degli Üstmamò, legata alla costellazione CCCP-CSI e capace di esportare in Europa i suoni dell'Emilia paranoica, elaborando intriganti scorciatoie elettroniche in grado di fungere da ideale ponte fra il recupero di certa tradizione dell'Appennino reggiano e la mecca trip-hop bristoliana. Nati nel 1991 per iniziativa di Luca A. Rossi ed Ezio Bonicelli, presto raccolgono a bordo Simone Filippi e Mara Redeghieri, che diventerà il volto, l'immagine e la principale voce della band.

Presi immediatamente sotto l'ala protettrice di Giovanni Lindo Ferretti, evento che ne faciliterà una rapida affermazione nel circuito alternativo nazionale, pubblicano proprio nel 1991 il primo omonimo album, Üstmamò, un inclassificabile contenitore folk-pop-rock che si caratterizza in maniera molto personale nello scenario musicale del periodo, discostandosi nettamente dai suoni di matrice chitarristica che in quegli anni saturavano la scena (il furore grunge, le dissonanze noise, l'integralismo hardcore), e che saranno di lì a poco meglio interpretati in Italia da band quali Afterhours, Marlene Kuntz, Uzeda e One Dimensional Man. Non solo un crogiolo di stili, quello proposto dalla creatura di Luca A. Rossi, ma anche una babele di lingue: i testi si muovono incrociando italiano, inglese, francese e dialetto reggiano, dal quale viene estrapolato il termine "Üstmamò", traducibile come "proprio adesso". Sì, era proprio il momento propizio, quello dei centri sociali occupati e di una scena alternativa che stava per rompere gli argini, che stava preparando il terreno per vivere la propria stagione d'oro, e gli Üstmamò ne furono protagonisti a pieno titolo, vivendola per intero.

"Üstmamò" è anche il titolo dell'energica canzone che apre l'album: resa nel dialetto della zona di provenienza, quella che rimane fra Villa Minozzo e Castelnuovo ne' Monti, da subito diventerà l'inno ufficiale della band. Già dalla successiva "Filikudi", altro classico del gruppo, è evidente il legame intimo con il percorso dei CCCP, presi come ideale punto di riferimento. Üstmamò è un disco che si muove su molteplici piani stilistici, dalla wave di "Stupido sguardo" alle tradizioni popolari richiamate in "Strocca - Canzone d'accatto" e "Amminramp", dal combat-folk (della serie "eravamo Zen Circus prima di voi") di "Lieto evento finale" al guitar-noise di "Vietato vietato", dalla mazurka di "100 pecore e un montone" agli intermezzi foklorici "Vengo a voi..." e "Torna maggio".
In costante bilico fra punk e folklore, l'onnivoro Üstmamò mostra un approccio a tratti fanciullesco ("Fila filastrocca", "C'era una volta un re") sul quale sono sempre pronte a innestarsi le chitarre. In un'epoca nella quale a far notizia sono soprattutto il crossover e le contaminazioni, l'esordio degli Üstmamò, pur con tutte le inevitabili ingenuità, giunge con un tempismo perfetto. E le prodigiose menti del Consorzio saranno le prime a rendersene conto.

Ustmamò - Mara Redeghieri - Giovanni Lindo Ferretti"Questo è il programma della serata: cominciano gli Üstmamò e suonano una mezz'oretta, seguono i Disciplinatha con una mezz'oretta, poi tutti quanti sapete... in via del tutto eccezionale... il Consorzio dei Suonatori Indipendenti CSI suonerà per voi". Dev'essere stata una giornata indimenticabile quella del 18 settembre 1992. La voce di Giovanni Lindo Ferretti in persona, immortalata anche sul supporto fisico, introduce i protagonisti del "Festival delle Colline", tenutosi presso il Centro per l'Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato. Alcune fra le avanguardie più stimolanti dell'underground nazionale si dividono il palco per quello che nelle intenzioni doveva essere un appuntamento estemporaneo, ma che si trasformerà in un mini-tour nel febbraio del 1993.
Quel concerto resterà stampato nella memoria collettiva, e non soltanto negli occhi dei presenti, grazie alla registrazione fissata nel disco dal vivo Maciste contro tutti. La band di Mara Redeghieri suona per prima, proponendo "Üstmamò", "Amminramp", "Vietato Vietato" e una reinterpretazione punk di "Finkela Barkava", calzante reinterpretazione di una vecchia canzone di Orietta Berti. Ferretti si conferma pigmalione delle giovani leve gravitanti nel sottobosco dell'alternative rock italiano, non solo occupandosi di produzioni discografiche, attraverso la propria rete di etichette, ma anche ospitando nuove band in apertura dei propri set, e persino eseguendo in prima persona cover di loro pezzi, come farà per "Lieve" dei Marlene Kuntz, lanciata in pasto ai ragazzi della Generazione X dopo essere stata inserita nel live dei CSI "In quiete".

Patchanka trans-europea

A questo punto gli Üstmamò sono lanciatissimi, ma organizzare il materiale necessario a completare il secondo capitolo è tutt'altro che semplice. Arrivando da un meltin' pop come quello proposto nell'esordio, si configura il rischio di ripetersi, perdendo il fascino della novità. Nel più "pensato" Üstmamò II, ecco allora che inizia a far capolino un certo utilizzo dell'elettronica. L'intento, che verrà poi confermato e ampliato negli album successivi, è quello di sdoganarsi dall'impronta troppo "locale", ricercando un timbro più internazionale. Ai suoni della tradizione ("Omaggio", "Ageo", dove a trionfare è il violino) vengono così sovrapposte derive dub, a comporre un meticciato, una sorta di patchanka che non guarda esclusivamente a quanto sta accadendo in quel di Bristol ("Intetemp", "Rollamaffi") ma aspira a farsi trans-europea.
Le chitarre girano superbe in "Tannomai", "Lepre (cattura della)" e "Annegherò nel dolo", la balera e il punk convolano a felici nozze in "Mamme e monti" (con citazione della sigla del cartone animato "Heidi"), mentre l'aggressione rap di "Killer Ghenga Radiostampa" sembra voler ipotizzare una convivenza fra Sonic Youth e primissimi Massimo Volume. A stupire maggiormente sono i brani in grado di cambiare pelle in corsa, specie "Malinconici" e "Cuore di segatura", che partono dolci per poi incresparsi con estrema decisione (sulla seconda prenderanno appunti i Prozac + per costruire le proprie hit). Emerge il tentativo di levigare i suoni, restando però rigorosamente "alternativi", la ricerca del pezzo in grado di imporre la band a un pubblico più vasto. Ma per arrivare a questo occorrerà attendere il disco successivo.

Nel frattempo, e questo diventerà evidente soltanto a posteriori, Mara con la propria scrittura inizia a imprimere una svolta nel meccanismo compositivo del gruppo, contribuendo in maniera determinante alle successive migrazioni stilistiche del quartetto. Si narra come agli esordi, specie nel primo album, fosse stato d'ausilio qualche suggerimento proveniente dalla famiglia CSI, decisivo per tessere una situazione "fedele alla linea". Dal secondo disco in poi sarà via via maggiore l'apporto proveniente dalla penna della Redeghieri, che diverrà al contempo anche autrice richiesta da terzi.
Il brano di maggior successo lo scriverà a quattro mani con Gianna Nannini, "Meravigliosa creatura", diffuso a inizio 1995 e pezzo trainante dell'album della cantante toscana "Dispetto". Diventerà una hit, e nel 2007, ben dodici anni più tardi, tornerà in cima alle classifiche di vendita dopo essere stato scelto come base per lo spot pubblicitario della Fiat Bravo. Sarà il terzo numero uno nella discografia della Nannini. "Meravigliosa creatura" nel 2004 sarà inserita, con un nuovo arrangiamento, nella raccolta Perle, all'interno della quale figurerà anche l'inedita cover di "Amandoti" dei CCCP. Piccoli cerchi che si chiudono...

Il ruolo di culto underground conquistato dagli Üstmamò con i primi due album, li porta a sviluppare un'attività live che diventerà in quegli anni molto intensa. I live club di tutta Italia li ospitano volentieri, e il Centro Sociale milanese Leoncavallo trasformerà persino in disco una loro esibizione.
Nel 1994 Leoncavallo Live, edito da Leoncavallo Musika, diventa così il loro unico vero album dal vivo ufficiale, un best of in presa diretta contenente tredici fra le canzoni che la band suonò di più in quei mesi trascorsi on the road.

Infedeli alla linea

UstmamòDopo essersi consacrati come la creatura più eccentrica della variopinta scuderia dei Dischi del Mulo di marca Cccp-Csi, gli Üstmamò decidono di essere ancora più "infedeli alla linea" aprendo il loro suono al pop. Regista dell'operazione è un alchimista provetto come Roberto Vernetti (già al fianco di Casino Royale, Almamegretta, Daniele Silvestri, Elio e le Storie Tese), che produce il loro terzo album, Üst (1996), immergendolo in un calderone ribollente di suoni hip-hop, reggae e dub. Il risultato sarà esaltante: un successo al di là di ogni previsione.
Üst è uno di quei dischi che colgono l'attimo, che fissano un sound mettendo a frutto l'ispirazione di un gruppo in pieno acme creativo. Tutti i brani sono scanditi da un inaudito groovemeticcio, in cui le calde melodie italiane dalle radici folk si sposano al battito gelido e pulsante dell'elettronica. Un incantesimo che si percepisce già dalle prime note orientaleggianti dell'iniziale "Cuore/Amore", ninnananna sinuosa e al contempo beffarda, che tratteggia una nuova iconografia femminile, tutta plasmata sulla sensualità acerba e ferina di Mara Redeghieri:

Sono di notte fonda
Di labbra accese
Di righe accennate appena
Sono piccola donna
Donna piccola
Donna che non cresce
Donna di verde acerba
Non ancora cresciuta
Donna di vaghe attese
La pasionaria dell'Appennino sale in cattedra con il suo canto tagliente e il sarcasmo sferzante, fustigando prima la femme fatale omologata di "Baby Dull" ("Tu mi rapisci il cuore, donna di plastica, hai gli occhi un po' sbarrati, ma sei fantastica"), poi il popolo degli annunci erotici, appeso alla casella vocale del "Memobox". Uno strampalato zoo di maschi affamati e "sirene transerotiche", messo alla berlina con una raffica di versi esilaranti su un incalzante tappeto dub:
Cerchiamo singola bisex
Ti voglio soprattutto snella sincera scopo pura amicizia anche duratura
Vorrei sinceramente essere frustato piano
Fotografato poi da anima gemella con tette mozzafiato...
Sposato ma deluso, che non passa inosservato
Castano nostrano pulito sano
Cerca amico nerboruto purché riservato e automunito
Erotico sanissimo esperienza pluriennale
Estatico sensuale dall'aria gentile
Contatterebbe te che ami guardare dai buchi delle serrature
Ti senti sola e sei formosa
Bionda esigente ardimentosa
Vorrei darti una mano, anche solo una carezza
Ambiente distinto, massima riservatezza
Il verseggiare irriverente degli Üstmamò segna un salto di qualità nel circuito dei "suonatori indipendenti", tramutando la satira militante di marca Cccp in un approccio più disincantato, meno serioso e dogmatico, eppure altrettanto incompromissorio. Musicalmente, il vertice è però "Canto del vuoto", superba ballata elettronica che condensa tutto lo spirito desolato e smarrito del disco: un inno vibrante per tutti coloro che vivono "ora persi nel mare profondo, ora in alto a sfiorare le cime, abbracciati al tempo che passa, aspettando una buona ragione". Con quel "look to the future" scandito su una muraglia di beat che suona più come una minaccia che come un'esortazione. Redeghieri, con il suo canto suadente e passionale, si erge a sirena di una generazione disorientata, che vive continuando a "lasciarsi andare, dondolare e galleggiare, scivolando sulle cose".
Sono anche loro le vittime di una società disumana, dominata solo da quegli "indici di Borsa, indici del libero mercato", ripetuti ossessivamente a mo' di mantra su pulsazioni reggae nell'episodio più vicino ai Massive Attack del disco ("Indice di Borsa", cantata da Luca A. Rossi), con tanto di beffarda "dedica" all'impero berlusconiano: "Fininvest invest invest ki lu (chape lì)". Una società sempre più tecnologizzata e alienante, quella di metà anni 90, che non si interroga più allo specchio, bensì allo "schermo delle mie brame" di un computer, delegandogli ogni forma di pensiero e creatività, come accusa senza mezzi termini la spietata "Schermo splendente", su un magma rovente di beat, feedbackdi chitarra e archi elettrizzati:
Dietro ad un vetro
Dentro la testa spegni ed accendi quello
Che resta pura memoria che non vede limite
Schermo delle mie brame condottiero virtuale luce di verità
Bianco candore
Buio grigiore luce perenne non può
Sbiadire la tua saggezza non prevede limite
Schermo delle mie brame messaggero perfetto luce di verità
Prendi - trasforma - dissolvi - scomponi
Inventa di nuovo - progetta - disponi
Ma gli Üstmamò non sono (solo) un gruppo politico e lo testimonia l'episodio più intimista del lotto, quella "Piano con l'affetto" in cui una commovente Redeghieri, in versione straziata, alla Beth Gibbons, mette a nudo tutte le proprie fragilità sentimentali tra dolci ricami di violino e i tuoni di un temporale in lontananza:
Tu mi inietti succhi diabolici
Io non possiedo antidoti
Mi distruggono le tue attenzioni
E gli occhi tuoi famelici
Ti ripeto vacci piano con l'affetto
Ti prego, lasciami
Soltanto un attimo
Lasciami respirare col mio fiato
E se "Onde sulle onde" conferma la brillantezza di questo trascinante ibrido trip-hop-punk sfoggiando un'altra formidabile interpretazione della vocalist, che si stempera in un carezzevole finale acustico, la rockeggiante "Biguldun" (Bighellone) - cantata dal chitarrista Simone Filippi - resta l'unico brano in dialetto, mentre la riuscita cover del canto partigiano "Siamo i ribelli della montagna", posta in chiusura del disco, diverrà uno dei cavalli di battaglia nei concerti della band emiliana. Un disco praticamente impeccabile, insomma, che mette in luce tutto il talento istrionico della cantante e l'amalgama sonoro di una band affiatatissima, in cui spicca anche il lavoro al drumming di Marco "Ciusky" Barberis, che ritroveremo al fianco dei Mau Mau.
Con i suoi inni pop scanzonati e dissacranti, Üst fa breccia nelle radio, nelle tv musicali, e conquista la critica, facendo assaporare alla formazione emiliana il massimo successo della sua carriera. Il tutto senza rinnegare le radici popolari, perché - come raccontarono loro stessi in un'intervista al Mucchio Selvaggio - "abbiamo razionalizzato che vivevamo in un posto diverso rispetto agli U2 o a Siouxsie: eravamo in Italia, sull'Appennino, e abbiamo cercato di approfondire i legami con la nostra terra e le nostre tradizioni musicali. Quello che abbiamo trovato ci è servito per acquisire un senso di appartenenza, e quando si ha la certezza della propria identità e della propria provenienza è più semplice decidere di andare da un'altra parte. Che poi è quello che, in musica, abbiamo fatto noi".

A suggello di questa inebriante stagione di successi, arriva l'impensabile: la piccola band emiliana viene scelta nientemeno che da David Bowie per aprire i concerti dell'Outside Tour previsti in territorio italiano. "Alla fine è venuto nei camerini, ha stretto la mano ad alcuni di noi e ci ha fatto i complimenti: siamo rimasti esterrefatti", hanno raccontato ancora emozionati gli Üstmamò.

Nel 1996 la Virgin, per monetizzare il successo riscosso dal disco precedente, assembla la raccolta Baby Dull. Si tratta di un mini-album contenente cinque pezzi dal vivo, fra i quali particolarmente interessante è una versione dub di "Filikudi" (ribattezzata non a caso "Filidub") di quasi tredici minuti, e un dub remix di "Canto nel vuoto".
Ad aprire la tracklist provvede una Moloko remix version di "Baby Dull", nella quale - su una base sintetica - la voce di Mara Redeghieri sembra ispirarsi apertamente al nuovo idolo delle platee alt-rock: Cristiano Godano dei Marlene Kuntz, altra band partita dal circuito del Consorzio Produttori Indipendenti e velocemente affermatasi grazie al clamoroso catartico esordio.

Mara Redeghieri, nel frattempo, si concede perfino un'incursione nel mondo del cinema, interpretando il ruolo di un'assistente universitaria nel film "Tutti giù per terra", diretto nel 1997 da Davide Ferrario, con protagonisti Valerio Mastandrea, Carlo Monni e Caterina Caselli.

Polvere di stelle

UstmamòRinfrancati dal successo della nuova, temeraria formula, gli Üstmamò si chiudono in studio nella piccola cantina a Villa Minozzo per lavorare a un album che possa consolidarla e al tempo stesso aggiornarla. Missione compiuta con Stard'Üst (1998), ispirato e (auto)ironico fin dal titolo, seppur leggermente meno continuo del predecessore. Stavolta in cabina di regia sale il bassista Luca Rossi e l'intento è palese: passare in rassegna gli stili più intriganti dell'elettronica pop di fine millennio e mescolarli in un cocktail sonoro ancora più compatto e sofisticato, spingendo sulla manipolazione con largo utilizzo di basi, scratch e campionamenti a far da cornice alle interpretazioni sempre intense e originali della Redeghieri. Un approccio che ne fa a tutti gli effetti "i Portishead italiani", anche se dalla loro questi ribelli della montagna emiliana possono vantare una melodiosità di marca italica e un'impronta folk ereditata dalla nobile tradizione della canzone popolare e di protesta. Il risultato è quello che Federico Guglielmi sul Mucchio Selvaggio definirà "un fluido e caleidoscopico collage sonoro all'insegna di un moderno pop totale, i cui elementi costitutivi - elettronici, acustici, elettrici, trip, trance/dance, psichedelici, classici, sperimentali, a tratti persino rock - si amalgamano senza attriti in uno stile più che mai devoto all'affascinante gioco della contaminazione".
Anche a questo giro non mancano gli inni pop di grande impatto, come i due singoli "Cosa conta" e "Kemiospiritual". Il primo, ipnotico e accattivante, resterà uno dei loro massimi successi, grazie a un raffinato blend di sonorità soffuse (i beat morbidi e avvolgenti, le tastiere vintage, i wah-wah della chitarra, le ariose risonanze della tromba) e vocalizzi graffianti di una scatenata Redeghieri, alle prese con un'altra riflessione esistenziale a ruota libera: "Sto pensando a camminare/ Non m'importa di arrivare/ Non ho un posto né una meta/ Una mia stella cometa". Un altro ritornello travolgente, puntellato da robusti riff di chitarra e beatincalzanti, lancia in orbita la litania fintamente rassicurante di "Kemiospiritual", alla ricerca impossibile di un fluido miracoloso che possa guarire da ogni sofferenza, incluse quelle dell'anima:
Ora che è arrivato il tempo che guarisce da ogni male
Attraversa ogni dolore, linfa limpida
Ora che c'è un tempo giusto per poter ricominciare
Portami ogni bene in cuore, linfa limpida
Gli scratch che sfregiano la dolente cantilena di "Mai più" sono un ulteriore aggancio al retroterra dei Portishead, evocato anche dal canto afflitto di una tormentata Redeghieri, che però non rinuncia mai a sottolineare la peculiarità delle sue performance vocali, di fatto un nuovo modello di canto che farà scuola per tante aspiranti vocalist nazionali, seppur senza trovare mai una vera erede.
Rispetto al trip-hop d'oltremanica, però, gli Üstmamò si mostrano ancor più eclettici, infilando nel calderone persino suggestioni etniche e psichedeliche (la riflessione zen dell'orientaleggiante "Nostre altre vite"), bizzarre divagazioni in dialetto su base dub ("Open Cojon") e commossi omaggi al reggae ("Minimale"), un altro dei vertici del disco, in cui il genere giamaicano viene arricchito con la presenza di trombe, campionamenti elettronici e frasi di chitarra elettrica a far da contraltare a una nuova, struggente interpretazione della cantante.
Redeghieri si fa valere anche come autrice di testi raffinati, sensibili e pungenti, da quella "Stammi vicino" che sembra il seguito e il contraltare naturale di "Piano con l'affetto" alla nuova istantanea di disagio esistenziale ritratta con grande potenza lirica in "Rosa di rabbia":
Secco il deserto che risuona in gola muori di sete niente ti consola
E lava incandescente e fumo denso e atroce
Tramutano i tuoi occhi in rossa brace
Timida luna rossa tacita luna nera nuvola palpitante piangi di gocce affrante
Il lato più elettronico dell'operazione, invece, si sublima nelle pulsazioni house da dancefloor di "Opera Soap" - con Redeghieri in versione sposa dissacrante ("Cuore a cuore, mano nella mano/ In riva al mare fino all'altare/ Cuciremo i nostri cuori/ Finché morte non ci separi") - e nel drum'n'bass trascinante della lunga title track, che chiude il disco con una rovente coda in stile quasi big beat un po' sullo stile dei Prodigy.
Arricchito dal mixaggio di un tecnico del suono prestigioso come Danton Supple (Brian Eno, U2, Passengers), Stard'Üst risponde al meglio alle aspettative di quanti avevano gridato al miracolo dopo l'uscita del suo celebrato predecessore, recuperando sul versante del sound ciò che a volte si perde in immediatezza e freschezza melodica, e confermando tutta la fantasia e la personalità di una delle band più intelligenti della già ricca scena indie nazionale del decennio 90.

Tutto bene?

Nel nuovo millennio, però, qualcosa sembra essersi spezzato definitivamente. Lo scioglimento dei Csi segna uno spartiacque, la fine una stagione di formidabile creatività e ispirazione politica e poetica, nella quale Ferretti e compagni avevano rappresentato l'indiscusso faro per un'intera generazione di artisti. Il contraccolpo non risparmia nemmeno i loro pupilli Üstmamò. Il ritorno dopo tre anni con Tutto bene (2001), infatti, segna un tentativo mal riuscito di recuperare le sonorità che ne avevano caratterizzato le origini: poca elettronica e molte chitarre, dunque, ma quel che difetta sono soprattutto le canzoni e i ganci melodici che avevano assistito la formazione emiliana nel decennio precedente. Fin dall'iniziale, lieve, "Come me" si percepisce che qualcosa è venuto meno: gli arrangiamenti delicati di chitarre che puntellano il canto sottile della Redeghieri disperdono il groove senza aggiungere particolari intuizioni melodiche, così come le tonalità da ballata orchestrale con tanto d'arrangiamento d'archi del singolo "Nell'aria"; mentre "Secondo incantesimo" sfoggia un testo composto da Paolo Benvegnù degli Scisma, che ben si attaglia alle corde della Redeghieri ma non è accompagnato da una convincente cornice musicale, finendo col perdersi in un'evanescente languidezza.
Anche gli episodi più energici (le accelerazioni post-punk di "Lunga vita" e "Bum", con i loro ruvidi graffi chitarristici, gli echi folk-rock di "Sempreverdi", con inserti di banjo) hanno perso smalto, mentre la nuova invettiva "anticapitalista" contro gli "usurai vestiti bene" di "Bank Of Fuck Off" non riesce a rispolverare la caustica ironia di una "Memobox", finendo affogata nella prolissità e in un'improbabile coda di bouzouki e violini. Meglio, semmai, frangenti come "Per gioco" e "Brava e buona", dove, tra campionamenti, beat e un'indole indolente, sornionamente dimessa, il gruppo cerca di ritrovare l'equilibrio dei due lavori precedenti. Ma troppo spesso si ha la sensazione che il disco giri a vuoto, limitandosi a ribadire stilemi già consolidati, con indubbio mestiere ma anche con il rischio dietro l'angolo che sia davvero - per usare il titolo di un'altra traccia - "Tre volte noia".

Scioglimento, antologie e progetti paralleli

A questo punto - inevitabile - giunge lo scioglimento. Nel 2003 la compilation ÜstBestMamò riunirà sotto lo stesso tetto sedici fra i momenti migliori della discografia del gruppo, più la cover del celebre brano di Alberto Camerini "Rock'n'Roll Robot". Un'ulteriore antologia, Essential, con una tracklist molto simile, ma ridotta a sole dodici tracce, sarà immessa sul mercato dalla Emi nel 2012.
Negli anni permarrà il rapporto di grande amicizia fra gli ex-componenti del gruppo, che decideranno comunque di perseguire scelte artistiche divergenti. Mara Redeghieri resterà sempre legata alla tradizione popolare della propria terra, mentre Luca Rossi risulterà più attratto dalle vie del blues.

Nel 2000 Luca Rossi e Simone Filippi danno vita al progetto Fennec, coinvolgendo il musicista Ageo, al quale Rossi aveva prodotto un disco due anni prima. Un solo album all'attivo, Virtual Honeymoon, pubblicato nel 2003 su etichetta Virgin, il quale si discosta in maniera sostanziale da quanto sviluppato in passato dagli Üstmamò. Nella proposta dei Fennec emerge un mix di lounge, soul, acid jazz, dub e psichedelia che, pur dimostratosi interessante, non riuscirà ad avere un seguito.
Nel 2005 Ezio Bonicelli accompagnerà Giovanni Lindo Ferretti nello spettacolo teatrale "Pascolare parole, alleviare pensieri". Tale collaborazione risulterà rafforzata dalla presenza di Bonicelli e Rossi come backing band nel seguitissimo tour solista di Ferretti, "A cuor leggero", che di fatto va avanti dal 2011, durante il quale riporta sul palco l'intero proprio percorso musicale, a iniziare da alcuni classici del repertorio Cccp. Bonicelli e Rossi sono perfetti nell'assicurare alle canzoni una nuova, e allo stesso tempo fedele, veste elettrica.

Mara Redeghieri, dal canto suo, si ritirerà per un lungo periodo dalla luce dei riflettori, dedicandosi all'insegnamento della lingua inglese presso una scuola media del paese ove risiede. Una delle poche scappatelle la riserverà per la colonna sonora del film di Gabriele Salvatores, con protagonista Sergio Rubini, "Denti", per il quale nel 2000 incide "Word Back".
Fonda anche un coro di voci femminili: quarantacinque donne che interpretano i canti popolari dell'Appennino, quelli da osteria, ormai quasi completamente dimenticati. Donne che non avevano mai cantato prima, che portano in giro per i piccoli centri del territorio un repertorio di diverse decine di brani tradizionali.

In parallelo, la Redeghieri intraprende il progetto Dio Valzer, avente come oggetto il recupero e la divulgazione di vecchi canti partigiani. Il progetto si è concretizzato nella publicazione di due album (Canzoni popolari anarcosindacali nel 2005, Attanadara nel 2010) e in un tour incentrato sull'esecuzione di una serie di ballate anarchiche e di rivolta, in collaborazione con i musicisti Lorenzo Valdesalici e Nicola Bonacini.
Verremo a sapere col tempo che il tentativo da parte di Mara di costruire una carriera solista autorevole dovette più volte arrestarsi a causa di una serie di problemi di salute, che la terranno distante dai palchi a più riprese per diversi mesi. Ma una straordinaria forza di volontà alla fine produrrà i propri frutti.

Mara RedeghieriLa scintilla che riaccende la creatività sopita è un documentario di Marco Mensa sui canti popolari dell'Appennino, "sulle nostre tradizioni, sulle radici di ciò che per noi abitanti di queste valli è qualcosa di più che semplice musica di una volta", come ha raccontato la Redeghieri. Così, decide di riprovarci nel 2017 con Recidiva, il primo album registrato a nome proprio, un titolo denso di significati, ispirato non soltanto al ripresentarsi della malattia, ma anche e soprattutto al fatto di esserci cascata di nuovo, al non saper stare lontana dalla musica.
Recidiva, undici canzoni che formano un puzzle di storie e fiabe dolceamare, condite spesso da una sferzante ironia, a cominciare dal singolo "Augh", invettiva a ritmo tribale contro il capitalismo selvaggio, scandita a mo' di slang da pellerossa, con i verbi posti all'infinito, in una spassosa gag che smaschera l'ignoranza sottesa all'avidità e al razzismo, resa plasticamente da un buffo videoclip, nel quale Mara, armata di arco e frecce, trafigge un pupazzo con le sembianze di Donald Trump. All'ineffabile (ex) Presidente degli Stati Uniti è riservata anche la bordata funk fin troppo esplicita "STrump". Sulla stessa falsariga, ma con un bel po' di amarezza in più, l'altra cantilena elettrica "UomoNero", in cui il tema lacerante dell'immigrazione è raccontato attraverso un gioco di contrasti non solo cromatici.
In Recidiva Mara conserva quel suo approccio stranito, quasi fanciullesco, anche quando si trova a maneggiare materiale drammatico. Vola sui brani con la medesima leggerezza che aveva fatto la fortuna delle prodezze del passato. Di quell'esperienza restano evidenti alcuni legami (il battito trip-hop, la propensione per la narrazione teatrale e per la filastrocca) ma per strada si perde forse un po' di brillantezza melodica. Confermato, invece, il talento vocale personale, con quel modo di appoggiare le parole (sublime nel numero à-la Bjork tutto archi ed elettronica di "Anni luce"), di lanciarsi in improbabili scioglilingua ai limiti del rap, o di mostrarsi nuda, in recitati senza orpelli (la title track) o a tre voci ("Nella casa"). Una "Romantica siderale", come si autodefinisce in una delle tracce più visionarie e liriche, opposta all'aridità dei nuovi mostri del capitalismo, disegnata nel reggae di "Cupamente". Recidiva è un disco volutamente inattuale, a tratti un po' naif, come del resto la sua protagonista, eppure agganciato al presente, con il suo disperato spirito di resistenza e la disarmante ironia.

Per l'occasione, anche il suo mentore Ferretti esce allo scoperto con un affettuoso post-dedica su Facebook: "Cara, carissima Mara. Amara 'asina, mula creativa'. Guardarti e riguardarti in queste immagini domestiche 'dal sangue al cuore'. Volto, occhi e bocca. Piedi e pavimento, mani e porta, finestra, gesti e smorfie. Come fare a non volerti bene? VIVA, 'tra gli infiniti errori' e 'sola come tocca ad ognuno'".
Nel 2019 sarà pubblicata una riedizione dell'album, intitolata Recidiva +, raccolta di duetti e versioni remix con ospiti importanti. Intervengono, in ordine di apparizione, gli amici e colleghi Gianna Nannini, Luca Carboni, Orietta Berti, Rachele Bastreghi, Mauro Ermanno Giovanardi, Antonella Ruggiero, Beatrice Antolini, Lele Battista e Raiz.

La via solista pare ormai una scelta irreversibile per la cantante emiliana, che alla domanda su una eventuale reunion con gli ex-compari di band, replica lapidaria: "Neanche morta! Sarebbe come andare a cena con i compagni delle medie. Non ci vado!".

La seconda vita degli Üstmamò

UstmamòNel frattempo, nel 2015 Luca A. Rossi aveva dato il via alla seconda vita degli Üstmamò, seguito ben volentieri da Simone Filippi. La discontinuità col passato è forte. Anzi tutto non prendono parte alla reunion Ezio Bonicelli e Mara Redeghieri, elemento quest'ultimo che pur non minandone la credibilità fa comunque domandare a molti quale sia il reale senso del nuovo corso. Ma l'assenza del timbro vocale della cantante storica non è l'unica novità: dopo ben quattordici anni il nuovo disco della band è interamente cantato in inglese e registra una spiazzante e decisa virata nella direzione musicale. Al bando il pop, a tratti zuccheroso, del passato, via tanto il combat-folk quanto il trip-hop, in Duty Free Rockets le chitarre mutano suono, tendendo in maniera convinta verso certa "americana", sovente slide, miscelando brume desertiche, rimandi blueseggianti e sonorità roots.
Potremmo definirlo western-blues, con nove tracce autografe proposte accanto a due cover: "Don't Go To Strangers", nota per l'esecuzione di J.J. Cale, e "Hambone", un classico country/rock'n'roll scritto da Carl Perkins. Si respira aria di praterie sconfinate e bourbon sorseggiati in veranda al tramonto ("Done", "I Want To Tell You"), tutto reso con classe ed eleganza, senza mai andare sopra le righe, ma senza nemmeno disdegnare qualche benvenuta impennata elettrica ("The Last Trap", "Wha Wha Wind").

La nuova incarnazione degli Üstmamò tre anni più tardi produrrà un secondo capitolo, Il giardino che non vedi, il compimento di una sorta di ritorno a casa, di rinnnovato legame con la terra d'origine, rimettendo al centro i luoghi dell'Appennino, sia in senso salvifico che come espressione di riconoscenza, facendone un vero e proprio punto di ripartenza. Si torna quindi all'uso della lingua italiana, grazie anche ai preziosi contributi di collaboratori che vanno da Marco Menardi dei Wolfango (altra formazione che negli anni 90 finì nel giro de I Dischi del Mulo della ditta Ferretti/Zamboni) allo scrittore modenese Sandro Campani, passando per Silvia Barbantini, che per un breve periodo cantò proprio nella primissima line-up degli Üstmamò.
L'impostazione resta legata alle chitarre di Rossi, sospese fra riverberi che già da soli dipingono prati e vallate, ma dimostra di saper assorbire in maniera più organica il passato e il presente della band, come nelle sfumature elettroniche di "Una volta era meglio" e "La luna alla Tv" (che omaggia Ageo, scomparso di recente), le quali riportano in punta di piedi un po' di quella brezza del periodo vissuto anni prima in classifica. Ad acquisire valore sono gli aspetti semplici e consolidati, citando ricordi e riferimenti musicali condivisi in anni di amicizia e collaborazione, sottolineando la ricchezza di far parte di una piccola comunità lontana dal fragore del mondo ("Siamo di qua"), un patrimonio nel quale trova spazio la durezza della natura ("Vieni avvicinati"). A tratti il fiume Secchia si travesta da Mississippi ("Sono andato nel campo", "Piccola nave") e i territori nei quali scorre diventano lo sfondo ideale per lampi di Calexico ("E sai cosa c'è") e di U2 periodo "The Joshua Tree" ("Il buio sospeso").
Il giardino che non vedi, nato grazie a una campagna di crowdfunding, è un onesto affresco di quello che sono oggi gli Üstmamò, apprezzabile quanto più si sceglie di evitare il confronto con il periodo Redeghieri: anche nello sviluppo dei testi non sembra più esserci spazio per la stessa descrizione del mondo.

Lasciato da parte il piccolo "tradimento" di Duty Free Rockets, ciò che resta della band originale dimostra la volontà di restare fedele alla propria provenienza geografica, mantenendosi fortemente legata al territorio d'origine. Una scelta insidiosa, non priva di personalità, e non distante da quell'ideale di "ribelli della montagna" omaggiato venti anni prima. Una scelta che (inconsapevolmente?) li riavvicina alle scelte artistiche della Mara solista, lasciando trasparire la possibilità di un riavvicinamento futuro, che in realtà la stessa Redeghieri ha benevolmente stroncato in una recente intervista, sostenendo che ritornare assieme sarebbe come andare a cena con i compagni di classe delle scuole medie, evenienza che - a detta sua - preferirebbe evitare. Sincere confessioni rilasciate come sempre con il sorriso sulle labbra, orgogliosamente fiera del percorso compiuto in passato con gli ex-compagni di viaggio.

A ottobre 2020, in piena pandemia da Covid-19, gli Üstmamò superstiti pubblicano un nuovo singolo, "People In The Middle": è l'ennesimo cambio di registro, attraverso il quale ritornano all'inglese e introducono ritmiche più contemporanee, orientate sul versante hip-hop.
Non si tratta dell'anticipazione di un nuovo album, bensì della prima di una serie di canzoni che verranno diffuse nei mesi successivi.

Contributi di Paolo Ciro ("Il giardino che non vedi")
Foto d'apertura di Fabrizio Cicconi

Ustmamò

Discografia

ÜSTMAMO'
Üstmamò (Virgin/I Dischi del Mulo, 1991)

7

Maciste contro tutti (live con CSI e Disciplinatha, I Dischi del Mulo, 1993)

7

Üstmamò (II)(Virgin, 1993)

7,5

Leoncavallo Live (live, Leoncavallo Musika, 1994)7
Üst (Virgin, 1996)

8

Baby Dull (Live & Plastics)(live, Virgin, 1996)6,5
Stard'Üst (Virgin/I Dischi del Mulo, 1998)

7

Tutto bene (Virgin, 2001)

5

ÜstBestMamò (antologia, Virgin, 2003)
Essential (antologia, EMI, 2012)
Duty Free Rockets (Gutenberg, 2015)6,5
Il giardino che non vedi (Gutenberg/Primigenia, 2018)6,5

FENNEC

Virtual Honeymoom(Virgin, 2003)

DIO VALZER

Canzoni popolari anarcosindacali(Circolo Culturale Enrico Zambonini, 2005)
Attanadara(autoprodotto, 2010)
MARA REDEGHIERI
Recidiva(Lullabit, 2017)6,5
Recidiva +(Lullabit, 2019)6,5
Pietra miliare
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