Grunge

L'epopea del Seattle sound

Definizione e inquadramento storico, sociale e stilistico del termine "grunge"

Il "grunge" è una manifestazione culturale specifica del genere musicale rock propria della seconda metà degli anni 80 e della prima metà dei 90. Dallo stato di Washington, che è come dire da Seattle (che mai aveva avuto tanta celebrità), la "moda" si irradiò in tutto il mondo. La specie di musica rock in questione viene a codificarsi come l'ancoraggio alla forma-canzone tradizionale di cui vengono solo modificate le regole e i toni in funzione sistematicamente ribelle, depressa, pessimista e violenta (ma soprattutto in quanto nichilista e autodistruttiva: trasandata, sgangherata, decadente, in sfacelo) con una potenza però sempre a braccetto a quieti e cadute in lieve: un brano rock standard anni 70 (verso-ritornello-verso-ritornello-assolo) viene adesso eseguito con quella che passerà alla storia come la formula rumore+ritornello+rumore.

Gli abiti della moda-grunge, consistenti in jeans strappati (ripresi dai gruppi heavy-metal californiani di inizio 80 che a loro volta li avevano ripresi dai newyorkesi Ramones) e camicia da lavoro aperta con sotto una maglietta logora, sono lo specchio del senso esistenziale del grunge, che nelle sue forme più estreme constata la svalutazione di tutti i valori con la conseguente apatia, indifferenza più o meno irriverente, angoscia di una vita per cause di forza maggiore autolesionisticamente vissuta. Come uno dei voti di fede dei frati è la "povertà" per un sostanziale disprezzo del mondo davanti al Superiore, così su un infantile e naif disprezzo del mondo si imbastisce lo stato grunge che nega ogni manifestazione di sfarzo in quanto da una parte sciocca illusione del credere eterno ciò che è transeunte e dall'altra tradimento delle origini dalle povere, squallide e sotterranee giungle periferiche cittadine.

Come ogni fenomeno, è opportuno circoscrivere il grunge non solo temporalmente ma anche spazialmente: il punk vuole Londra e la fine dei 70; l'hardcore, come il rock n'roll, vuole l'America, e in particolare la sua striscia più occidentale (California). La condizione sine qua non, propriamente e proficuamente, non può darsi e non si è dato grunge è Seattle e gli anni 1988-1991. C'è poco da ridere, ma che la pizza è di Napoli è una verità più profonda di quanto si pensi.

Tecnicamente il grunge fu la naturale prosecuzione e banalizzazione dello sperimentale hardcore e post-punk californiano di inizio anni 80 (Adolescents, Mission of Burma, Flipper, X, Legal Weapon, Bad Religion, Dead Kennedys) al quale apportò elevate dosi di semplificazioni avvicinando le sue parti più metal all'hard-rock e quelle più orecchiabili al pop e restituendo il tutto in una miscela fondamentalmente punk, riproposta col piglio di chi non conosce né vuole rivoluzioni ma, rassegnato e senza speranza o aspettativa alcuna, resiste finché il dovere della sopravvivenza allenterà la sua morsa obbligante.

La cosa più importante è che il grunge fu la musica dell'"urlo". Quell'urlo di diretta derivazione garage-rock, quell'urlo di Detroit, di Iggy Stooge. Espediente musicale per trent'anni imbrigliato e lasciato alla sporadicità, viene in questo movimento a raggiungere il suo apice in termini di radicalità e ricorrenza. Diventa un qualcosa d'obbligo: e dev'essere sofferto, primitivo, incontrollato, stonato e totale. Esso è il simbolo del grunge-medio e dell'essenza del grunge che quindi arriva all'essenza del rock: il grunge-medio è un pulcino-felino, gracile e velenoso più che per autodifesa per tutelarsi dal fatto che a distruggersi vuole essere solo lui e a suo modo: nessuna interferenza (da qui la ribellione) salvo quelle naturali-sociale e inevitabili cromosomicamente congenite all'individuo: quelle per le quali appunto l'unica "onestà" in termini di reazione di fronte all'esperienza vita è l'autodistruggersi.

Il grunge fu poi il movimento per eccellenza della "pulsione suicida" vissuta come un'ineluttabile certezza nonché unica fonte di nobiltà e preziosità. Pulsione e riflessione a esso derivanti essenzialmente dalle speculazioni a vario titolo fatte (dal dark alla new wave all'heavy metal) ma comunque sempre ossessivamente e programmaticamente come non mai durante tutti gli anni 80. Dall'autodistruzione, l'apatia, lo sdegno, lo schifo per tutto: screziati qua è la dal ricordo fantasioso di momenti trascendenti e pregni d'America.

Il grunge fu l'unico movimento a concepire programmaticamente la distruzione degli strumenti sul palco che così, dopo oltre 30 anni di tale pratica, acquistò un nuovo, apocalittico, significato. Dalla distruzione di se stessi (simbolo: vestiti trasandati: eccola la derivazione punk) a quella del mondo a cui non si partecipa né che si auspica, bensì si vede come inevitabile.

Ovviamente tali concetti, conclusioni ed espedienti erano (e molto più estremamente) stati raggiunti oltre che dal punk dei Sex Pistols, dall'hardcore tutto, del quale il grunge si è sempre sentito un figlio minore (sia perché è anch'esso un fenomeno squisitamente americano, sia perché i nuovi grunge erano cresciuti con l'ascolto di Black Flag e compagnia): acquistano tuttavia un monito sinistro in quanto vengono efficacemente e originalmente ribaditi proprio nel momento finale dell'atto rock che quindi, nel suo estremo saluto, non si smentisce per nulla.

Se è vero che il grunge usò "il vecchio trucco di prendere una novità del rock (il noise-hardcore) e contaminarla con il pop per riuscire così a vendere quella novità alla massa dei consumatori casuali" (cit. Scaruffi decontestualizzata), nella genesi della storia del rock il grunge fu importante soprattutto perché dopo oltre un quinquennio di sistematica decostruzione della forma-canzone (pur con altre cause ed effetti sotto quest'aspetto similare a ciò che era successo tra la fine degli anni 60 e l'inizio dei 70) fondamentalmente tramite l' "effetto-noise" si tornò (anche, perché l'"alternativo" continuerà fino agli anni '90 inoltrati) con altrettanta sistematicità a comporre canzoni con un'economia conchiusa e coerente che, nonostante la deformazione espressionistica a forza di rumori taglienti e sgradevoli, urla rauche, cadenze metalliche, poteva dirsi "vecchio stile": quasi (negli effetti e nelle cause: i sociali nei quali si è immersi) cantautorale-country cioè, del tipo chitarra-voce-messaggio.

Anche la durata dei brani è solitamente radiofonica: 3-4 minuti. Non più, o molto meno, la "metafisica" formale e contenutistica dei capolavori di inizio decade (Swans, Sonic Youth), ovvero quando v'è non più una metafisica "matura", "grande", "difficile", ma immediata in tanto in quanto basata sulle piccole grandi sensazioni/sentimenti dell'adolescente americano, più o meno in sentore di esclusione sociale o difficoltà nell'inserimento nella medesima. Gli amori difficili, i complessi di personalità, la cattiveria altrui, il comunque inoppugnabile spirito di sopravvivenza: in un concorrere ingenuo quanto infantilmente smaliziato verso la sintesi dell'"attimo di vita" storicamente-biograficamente-geograficamente (e tanto più toccantemente in quanto "bizzoso", in quanto "nonostante": è questo il suo "contro") e non eternamente-universalmente (speculativamente) concluso. Eccola l'essenza e la "spensieratezza" (mancanza di contemplazione dell'assoluto) del grunge.

Tornando alla storia del rock: questa ha permesso, e proprio nel momento della sua definitiva dipartita, a un "bambino" di prendere tutti i suoi migliori e con fatica elaborati arredi e di spaccarli, di giocarci, di piangerci sopra. Più "rock" di così non poteva essere. Niente marce funebri, per le proprie esequie, ha voluto il rock, ma "grunge", quello con "l'odore di spirito adolescenziale". Neanche alla fine il rock si è smentito; vilipendendo per di più la massa pop(olare) che si è illusa di protrarne la vita a suo piacimento (vedi il post-'91).

Il grunge non fu una rivoluzione né culturale né musicale in quanto non ebbe caratteri né improvvisi né attivi, come il punk invece sì. Cambiare le cose è la negazione stessa del grunge: sinonimo di apatia, fatalismo, depressione, nichilismo, così introitato da fungere come aria quotidiana sopportabile con nonchalance; nonchalance come quella riservata alle numerose morti per overdose da eroina, di cui vi fu un grande e ultimo, estremo, sistematico revival negli anni-grunge, anni in cui la nicotina delle sigarette (a proposito della nonchalance) doveva spirare sopra a ogni cadavere così mietuto: e non per disprezzo del singolo quanto della morte (conseguenza di quello della vita) in quanto tale. La distinzione tra essere e non-essere deve dirsi freddamente e razionalmente abbattuta. Questi i motivi a cui vanno aggiunti quelli di peculiarità musicale di cui sopra, a posteriori programmatici e limpidamente distinguibili collocandoli nel loro svolgersi storico, per i quali è possibile ed è doveroso parlare del grunge come movimento concreto ed autonomo.

Inoltre, il grunge è stato l'artefice del sound, e qui mi riferisco alle sue manifestazioni pop su larga scala, anni 90: come la new wave lo fu di quello (popolare) anni 80. Tanto notturno il secondo quanto solare il primo che in ogni caso, indipendentemente dalla singola ambientazione, concepisce o ricorda l'alternanza giorno-notte. Il sound anni 90 è un sound chiaro, deciso; e lo è non solo per le migliorie (pur notevoli) tecniche in fase di registrazione. Lo è (anche quello più soft e acustico, sì) per via dell'heavy metal, che ha avuto nei confronti del suono, la funzione di una lezione di canto per le corde vocali o una corsa per i polmoni: estese e allargati questi, raggiunto il tetto massimo, è possibile con tanto più disinvoltura ed efficacia scandire tutte le variazioni più tenui. Ebbene, dato il diaframma tra il mondo metal e quello pop, il grunge è stato in tutti i sensi il filtro tra i due: e se negli anni 90 è stato possibile ascoltare canzoncine (ma anche sferragliate heavy prima inimmaginabili) con una resa fonica ed esecutiva insperata, fresca e moderna, si deve a tutto questo.

Se nella versione soft dal grunge derivano volenti o nolenti personaggi come Alanis Morisette, i Cranberries (che pure hanno prodotto un inno come "Zombie") o i No Doubt (che pure hanno dato il fantastagoricamente estraniante "Tragic Kingdom" nel 1995) ma anche il cantautorato chiaro-noise di Jeff Buckley, PJ Harvey e (addirittura) Lisa Germano; in quella hard, oltre che Korn e Deftones particolarmente, tutto il ridicolo nu-metal attuale (da quest'ultimi immediatamente ispirato) che ha interpretato il commerciabile piano/forte del grunge anziché con la conciliazione di melodie classic-rock e distorsioni hardcore o metal, con la conciliazione (peraltro già ampiamente vista) del metal più heavy (pur depotenziato rispetto al death) con il rap o la disco; agevolato in tutto ciò soprattutto, se non solo, dai grandi sviluppi delle tecniche di registrazione e amplificazione.

Tutti ad inizio degli anni 90 suonavano più forte e duro: come a fine 70 (volete una prova? I Litfiba sono il gruppo, almeno italiano, in assoluto più camaleontico nel rispecchiare le mode in voga nel momento, quasi scientificamente sociologo in questo: bene, prendetevi i suoi album di quel periodo.); e anche coloro che facevano soft o rimanevano impantanati nel suono new wave 80 o prendevano le loro strumentazioni adattandole alla chiarezza immediata efficace e pura derivante (paradossalmente solo a prima vista) dal bagaglio tecnico dell'heavy-metal suddetto.

Chi vorrà fare rock-classic anni 70 (Creedence Clearwater Revival) non potrà che farlo rileggendolo col filtro del grunge-sound più o meno melodico: una miriade di "only-one-song band" da merenda pomeridiana in controsole ne derivarono: 4 Non Blondes, Joan Osborne, alcuni insignificanti nomi, buoni però per i rispettivi hit "What's up" (1993) e "One of Us" (1995).

Anche il new-punk di inizio 90 sarà richiesto dopo che le orecchie giovanili si erano riabituate a mezzo grunge a certe sonorità: da qui Offspring, Rancid, NOFX, Green Day.

Infine, pure ripescando nel glam o nel garage dei 70 si dovrà farlo col senno del grunge: a vario titolo: Marilyn Manson, Placebo, Ash, Feeder, Muse.

Tutto il brit-pop, la spoliazione da un grunge melodico del rumore e la rimanenza esclusiva di una insincera e spesso brutta melodia: Blur ("Song Two"), Radiohead ("1° album"), ma anche Oasis, Verve, e gli ultimi arrivati: retaggi grunge (soprattutto dal punto di vista fonico, ma anche per una certa cultura jeans-strappato) usati per quello che sono stati usati.

Questa massa contemporanea di arricchiti, negli ultimi dieci anni ha dimostrato solo una cosa: morto il grunge, morto il rock, o si fa post-rock (i supremi Fugazi, Jesus Lizard, Jon Spencer, Morphine, Lisa Germano), o è molto meglio e molto più onesto non usare, offendendoli, chitarre, bassi e batterie.

Il grunge, come ogni moda, riportò in auge tutti i più o meno dimenticati (indipendentemente dal loro quasi sempre altissimo valore) e ora rivendicanti la rispettiva importanza per il movimento: da Neil Young a Iggy Pop, dagli Stooges ai Velvet Underground, senza contare la miriade di gruppi alternativi (Pixies, Husker Du, gli stessi Sonic Youth: parte di quello che le loro tasche hanno incassato è dovuto anche alla vendibilità di Nirvana e compagnia). Non solo: gruppi più o meno storici hanno temporaneamente raddrizzato la loro rotta verso il grunge-sound: a loro modo vi si sono impegnati dai REM ai Faith No More ai Red Hot Chili Peppers. È tragicomico constatare tali dinamiche.

Il grunge da solo (e in modo numericamente più consistente di quanto avevano fatto Stooges e MC5 per Detroit), in una manciata di anni, fu in grado di creare in Seattle (città tra l'altro in quel periodo economicamente e socialmente in crescita: oggi considerata la più prospera e vivibile d'America) un polo alternativo alle due racchette da ping-pong Los Angeles e New York.

Una domanda: com'è che la società così auto-protettiva e auto-conservatrice ha avuto così in larga scala bisogno di un suono e atteggiamento autodistruttivo, suicida, in sfacelo, violento? Risposta: vedi il punk nel 1977 (i bisogni fisiologici si ripetono, essendo impellenti: specie quelli di riciclo e di capro espiatorio).

Una ingenuità infantile, ma forse fisiologica, del grunge fu quella di voler presentare al mondo Seattle come una grande e solidale comunità di artisti tutti intenti a esplicare le loro (per altro sterili) filosofie esistenziali (di contro a una poetica invece, quando individuale, molto toccante). Dire di tutte le collaborazioni tra i vari gruppi e i vari musicisti di Seattle è impossibile (non vi è un solo gruppo o un solo musicista che non abbia interpellato o non sia stato interpellato artisticamente da altri). Immaginate comunque (e l'immagine non è gratuita, anche per un più o meno velato significato letterale) un gruppo di 10 persone, variamente legate da rapporti di parentela, che si accoppiano l'un altro senza remore o ripensamenti eccessivi, che fanno tutto insieme, e che confinano il mondo in Seattle: da un punto di vista della (ri)produzione (e qui si torna alla metafora, intendendo questa produzione per "artistica") la consanguineità darà sì ai figli (album, canzoni) una notevole "fratellanza", ma indebolirà anche i loro fisici (ripetitività, banalità). In ogni caso, la cosa ha funzionato almeno per un quinquennio, tra la fine degli 80 e l'inizio dei 90.

Negli effetti, il grunge si risolse come primo esempio di punk americano e come l'hardcore prima e l'heavy metal poi fu risucchiato dal "grande-sistema-americano" che se ne servì come sottofondo o sottocultura à la page per dar sfogo a mezzo di un'evasione controllata e inoffensiva alle pulsioni primitivamente indipendentiste dei propri figli adolescenti. Se il rock fu la musica dei giovani, la sua versione grunge fu la musica dei giovani-adolescenti per eccellenza e come nessun altra: tale componente, mai sottolineata, va scritta a caratteri cubitali ogniqualvolta si voglia trattare tale manifestazione.

Inoltre, storicamente il grunge coincise con la crisi dell'heavy-metal inteso come speed e thrash che tra il 1988 e il 1992 almeno conobbe una flessione e di popolarità e di idee inarrestabile. Gli album metal di quel periodo di valore non sono album metal nel senso specificato, ma grunge, death o epic. Quando il metal popolarmente e propositivamente risorgerà, il grunge starà per inerzia esaurendosi: quando il metal risorgerà non sarà però né speed né thrash bensì progressive-fantasy, o comunque non più esistenzialista, ma dedito all'uso di doom, death e dark per elucubrare mondi paranormali. Infine, quando ritornerà il metal esistenzialista con Korn e Deftones (dai quali il nu-metal) sarà essenzialmente un derivato del grunge.

Causa la sua diffusione nelle camerette dei minorenni, causa che denota la sua immediatezza di messaggio e di comprensione, necessaria a certi livelli per una qualsiasi fruizione, il movimento fu usato dall'opinione pubblica nel modo più spietato possibile. Innanzitutto, fu fatto "movimento" quando non lo era, quindi voluto come "rivoluzionario", infine gettato nel cestino allorché venne a noia come musica alternativa alla dance da discoteca. Heavy metal e hardcore poterono tirarsi fuori da tale ignominia grazie a un'utenza, almeno per il nucleo fondante, d'elite e non-commerciale. Anti-pop(olare) appunto: ma un antipopolare vero e indigeribile al popolare; non come quello grunge che, per quanto sincero fosse nelle sue dinamiche alternative e di fronda, ebbe la fortuna/sfortuna di poter essere reso canticchiabile e quindi fagocitato da una società/popolo che consente all'anti-pop la parola soltanto quando questa (di critica) viene preventivamente autorizzata e assimilata dal pop stesso. Vige la suprema regola per cui non ci sia peggior sordo di chi non voglia sentire.

Come "chi sta bene" fa la beneficenza e fa in modo che vi sia sempre qualcuno cui farla per potersi vedere oggettivato o autorizzato quel suo stare bene e in definitiva stare meglio, così gli i primi straccioni grunge provenienti da situazioni familiari e sociali disastrose e irreparabili (ma non era questo altro che il retroterra di tutto il cosiddetto "rock alternativo" americano: in verità il rock tout court, dal noise al metal, cioè quello propositivo, innovativo, vitale pur e proprio perché significante morte) vennero per qualche giorno (ripuliti) accolti a tavola delle buone famiglie, furono (mentre mangiavano e venivano rivestiti) costretti a prestare i loro strumenti ai figli di buona famiglia, che poterono così cantare il malessere della porta accanto e cantare tanto più quanto a maggiore distanza vedevano e non di fatto partecipavano.

La prima parte della metafora (i grunge-straccioni) si riferisca alla fine degli anni 80; la seconda (i figli dabbene che giocano a fare il male) ai primi 90.

Per quanto non sia riuscito a evitare l'invito a tavola, il massimo rappresentante del grunge, Kurt Cobain (Aberdeen, WA, 1967), lo rifiutò l'8 aprile del 1994.


Storia del grunge

Soltanto la specie rock heavy-metal può vantare una genesi così lunga e travagliata come quella del grunge. Per andare a trovare i primi esempi sistematici di piano-forte-piano, rumore-melodia-rumore, con ampio uso dell'urlo gracile e (proprio per questo e tanto più lancinantemente in quanto viene usato in tutta la sua puerile estensione) estremo allo stesso tempo, dell'uso di espedienti garage (e hard-rock) a ritmiche punk e tempi metal (ovvero di garage-punk metallicamente sostenuto), bisogna andare al post-punk/hardcore di inizio anni 80 e a specifiche canzoni che, come colpi di genio, illuminarono alcuni album del periodo. Estrema alienazione adolescenziale, sconforto urlato, brusco piano-forte, si trova in quella che virtualmente può essere considerata la prima canzone grunge della storia: "Ballad of Jerry Curlan" degli hardcorer losangeliani Angry Samoans (vedi "Back From Samoa", 1982). Al di là del vertiginoso sperimentalismo nonché della perfezione contenutistico-formale perpetuamente gravida di significati stimolanti che ne fa una delle canzoni più preziose della storia, per l'estremo urlo da pulcino-felino all'apicale dell'esistenza e per quel noise-garage post-punk (e già Pixies) va considerata proto-grunge "In the night" degli inglesi Bauhaus (vedi "The Sky's Gone Out", 1982).Sempre in quel fatidico 1982, un altro dei brani più importanti in assoluto della storia rock, tra hardcore e heavy-metal, con una violenza metallicamente devastante mai immaginata prima, andava di diritto a reclamare un posto d'onore tra le miniere d'ispirazione per il grunge più estremo e heavy: la compositivamente suprema e urlatissima come non mai "Riot" degli hardcorer di San Francisco Dead Kennedys (vedi "Plastic Surgery Disaster", 1982), un capolavoro di economia razionale applicata alla esplicitazione delle frustrazioni animali. Caso a sé per la sua importanza nella disamina grunge è costituito non dal concittadino più illustre, Jimi Hendrix, che oltre alla inevitabile influenza chitarristica, in fase compositiva con il suo rhythm and blues non ha offerto nulla a tali posteri, ma da un unico brano di questi: 2'51'' di distorsioni oscure e ferocissime, ubriache e autoflagellanti pur nel loro innalzarsi oltre le cose: ribellione totale forza plastica e attanagliante come mai prima del 1967; il brano è "Purple Haze". Senza voler mettere tutto nel proto-grunge, ma da un lato per dimostrare (come troppe poche volte si è fatto) la lunga strada verso il sound degli anni 90 e dall'altro per esemplificare il suo debito verso il garage-rock più estremo e lancinante, è doveroso citare quello che può considerarsi il massimo esempio del garage-rock tutto: chitarre essenziali quanto commoventi e noise, quanto limpide, voce a bisbigliare come a deprecare tutto, batteria al più tribale Keith Moon: "So cold" dei Rocket From The Tombs di David Thomas (vedi "The Day The Earth Met The", 1975). Infine, il caso Husker Du che da solo, con il suo programmatico rumore+melodia+ urlo, post-adolescenziale, gracile-lancinante, estremo-commovente, basta (facendo parlare di hardcore-pop) a giustificare una influenza diretta: si veda da "Wheels" ("Everything Falls Apart", 1982) a "Pride" o "Broken Home Broken Heart" ("Zen Arcade", 1984), sublimazione del tragico-collegiale-indie con sferragliate noise, il grido fino allo sfibrare (e come nessuno), il ritornello tanto più toccante. Era d'altronde (e in altri estremi) già lezione dei Metallica quella del gioco piano-forte per stimolare l'immaginazione sentimentale degli animi tanto più coinvolti e presi dall'alternarsi dei due toni tanto antitetici quanto così bene esplicanti nella sua interezza fatta proprio di tale compresenza la contraddizione insita al reale.Tra questi anni e il grunge, nel mezzo ci sono due cose. Due culture entrambe americane, entrambe dei diseredati e disperati, ed estreme, nichiliste, nuove, pure d'atteggiamento-reazione diversissime: da una parte (ed è il proprio il caso di dirlo, anche geograficamente, essendo a Los Angeles) l'heavy-metal (Metallica), dall'altra il noise (Sonic Youth, New York). Per segnalare la differenza di decibel ed epos tra queste due correnti, potremmo dire che la prima è l'autodistruzione al "maschile", la seconda al "femminile", dando ai due aggettivi connotati simbolico-primitivi.Vari e irripetibili gruppi (tutti americani) nella loro odissea di maledizione messa musicalmente, come effetto collaterale nel perseguire il proprio orizzonte, prepararono anche quello grunge, sussumendo, prima di questo, la variante metal e quella noise al nichilismo: Social Distortion (che furono, anche culturalmente-socialmente, i più immediati precursori del grunge, oltre i primi a fondere punk e hard-rock), Butthole Surfers, Black Flag, Dinosaur Jr., Frightwig.Doveva essere l'ennesima punta di diamante tra costoro; si rivelò invece il più diretto genitore del grunge: eppure era heavy-metal, e devastante, quello dei Melvins (vedi il capolavoro programmatico e d'avanguardia "Gluey Porch Treatments", 1987). I Melvins si formarono ad Aberdeen (WA) nel 1985 proponendo uno spregiudicato e particolarissimo esempio della recente invenzione dei Metallica: il loro era un heavy che prendeva tanto dalla percussività thrash (Motorhead) quanto dalla distorsione noise (Flipper, Sonic Youth) e dall'oppressione assordante industrial (Swans), sorrette nel loro inquadramento, tribalmente e ossianicamente vissuto, da un fragoroso e mai visto incedere ritmico a ralenty (il doom oscuro dei Black Sabbath) e da un urlato classificabile tra i primi esempi di death-metal. Col senno di poi, i Melvins facevano grind-core (per non dire, ma sarebbe la pura verità, "stoner-rock", loro copiato dai vari Queens Of The Stone Age), che impreziosivano tramite variazioni di tempo vertiginose (merito di un batterista eccezionale: Dale Crover) e distorsioni chitarristiche possentemente acute e ricorsive (vi vendeva l'anima il leader: Buzz Osborne). Ciascuno dei componenti dei Melvins di questo primo album, rivoluzionò l'uso e le potenzialità dello strumento di pertinenza, con un impatto futuro non inferiore a quello che offrirono Rolling Stones e Who. L'atteggiamento e l'humus culturale/sociale proprio del gruppo erano quelli punk-hardcore (Black Flag e Misfits soprattutto). Una modestia irridente e strafottente quando non autoparodistica, alcuni riff gagliardi e beffardi, potevano far ricordare gli hard-rocker per eccellenza, i Kiss (prima loro passione giovanile). Detto questo, va giustificato. È possibile farlo tramite una duplice distinzione. L'insieme più grande è quello dell'underground musicale americano coast-to-coast, quello della musica rock alternativa a cui (per ritorsione con quella programmaticamente "commerciale") va ridotta la musica rock, come impalcatura avente una propria dinamica e sviluppo interni, tout court. Nella prima metà degli anni 80 questa grande famiglia fu essenzialmente unita nell'elite della propria offerta che, se vogliamo toglierle il metal e ridurla all'indie o underground tecnicamente intesi, spaziava dal noise all'hardcore vicendevolmente e per osmosi influenzandosi nonché offrendo così il pretesto per essere messa in un unico calderone "alternative rock". Nella seconda metà degli anni 80, con quello che oggi è chiamato "grunge", vi fu uno scisma (per squilibrio di popolarità) all'interno del retroterra comune underground: alcuni si dedicarono a un underground post-hardcore essenziale (rifacentesi alle vecchie radici rock) e orecchiabile che fece faville tra il pop(olo) e le farà numericamente ancor più a inizio anni 90 (quando sarà propositivamente morto): ecco il "grunge"; altri persistettero nell'ombra a complicare sapientemente e con risultati eccezionali ed estremi come non mai il grande ribollire di idee di inizio 80 (ecco tutta una serie di gruppi hardcore-noise che decreteranno con le loro invenzioni disumane la fine anche del rock d'avanguardia mentre il grunge si occupava di quella del pop: Fugazi, Jesus Lizard, Pussy Galore, Squirrel Bait, Big Black, Rapeman, Laughing Hyenas, Pixies). Infine, e siamo giunti al nostro merito, anche il grunge è adocchiabile in due fronde distinte: una più estrema, più heavy tanto nel metal quanto nel noise, che inserisce l'orecchiabilità classica in un contesto sostanzialmente post-industriale il quale la violenta aspramente tanto maggiormente; un'altra più, molto più, rock-classic, nei migliori dei casi ispirata dal Neil Young elettrico-noise prima che dai Sonic Youth (a sua volta di quello in parte debitori). I Melvins, nel loro "estremamente", patrocinarono la parte industrial-heavy del grunge; per la seconda, per la componente hard-rock-classic è possibile individuare il diretto precedente nei Green River (attivi in WA dal 1983 al 1988: vedi "Come On Down", 1985).Nel 1988 il bassista dei Melvins Matt Lukin, il cantante Mark Arm e la seconda chitarra Steve Turner dei Green River formano a Seattle i Mudhoney, primo gruppo grunge della storia (il termine "grunge", da "grungy": sgangherato, cadente, in sfacelo; fu, come al solito, affibbiato da un giornalista che recensiva le prime prove del gruppo in questione; complemento migliore non poteva essergli rivolto) che sublima incarnandola in tutto e per tutto la definizione delle stile in questione su approntata (vedi il capolavoro "Superfuzz Bigmuff Plus Early Singles", edito nel 1990 ma contenente materiale più che altro del 1988). I Mudhoney provenivano dai bassifondi e conoscevano a fondo la media-borghesia che contestavano più che socialmente esistenzialmente, più bizzosamente che propositivamente, più a parole che a fatti, più per disperazione che serietà o volontà: di sicuro con la grande forza della serietà. Altri saranno i gruppi grunge costruiti a tavolino, soprattutto al di fuori dell'America, qui, per ora (e siamo a fine 80), si assiste a una profusione sorprendente quanto spontanea e naturalmente emergente dopo anni d'incapacità-impossibilità espressiva dati da una parte dalla difficoltà intellettuale del noise, dall'altra dall'inconsistenza di certo pop sintetico, dall'altra ancora dalla troppa consistenza dell'heavy metal, una profusione - si diceva - di una miriade di gruppi di giovanissimi pronti, come non accadeva dai tempi del rock n' roll o del punk/hardcore, a dare tutta la propria anima per tentare di rendere a un pubblico coetaneo il loro sentimento vitale di un attimo. Nonostante tutto, il grunge porta sole, così come nonostante tutto, pianga o rida, un bambino porta sempre sole: e nella sua bocca la parola morte diventa così amica e diafana da perdere ogni connotato pauroso o fisico per perdersi a sua volta nella contemplazione ammirata di giovani vite dedite a passare e passare come ribelli destinati alla compassione solidale e all'unica arte loro possibile: il rock. Questo non altro, nei brani dei Mudhoney, raggianti anche nella tenebra perché appunto "giovani", spregiudicati in una violenza anche nell'acustico ma costitutivamente candida e a cui sembra poter e dover perdonare tutto, nel loro distruggere strumenti, nei loro vestiti strappati e capelli lunghi trascurati (per inciso il boom dei capelli lunghi e dei jeans strappati di inizio anni 90 si deve, indipendentemente dalla lunghezza dei capelli e dal fatto che sopra i jeans vi siano giubbotti di pelle o meno con borchie o meno, all'heavy metal e al grunge, quest'ultimo solo profeta nelle frange pop). Con i Mudhoney fa la comparsa in grande stile l'etichetta indipendente nel bene e nel male madrina del grunge di Seattle, la Sub Pop (già con i Green River); nonché il produttore Jack Endino, alcova del grunge con i suoi Reciprocal Recording Studios di Seattle e intermediario d'obbligo tra band e Sub Pop. Il grunge non era ancora partito con i Mudhoney, che subito dovette rivedere e decidere se ampliare o delimitare la propria definizione e natura. Se infatti i Mudhoney erano dei Sonic Youth per minorenni, i concittadini Soundgarden (vedi il granito di "Badmotorfinger", 1991) si proposero, nel medesimo contesto del grunge nascente, come gli eredi più autorevoli dell'hard-rock classico in un salto temporale che nella sua profondità si rifaceva direttamente agli anni 70 (le chitarre dei Soundgarden sono nero-peso Black Sabbath; le voci quando retoriche, ridondanti e tecniche Led Zeppelin), pur attualizzati tramite la durezza e pienezza metal di inizio 80. In una parola, i Soundgarden saltavano i Sonic Youth e con essi tutto quell'underground "adolescenziale" protagonista del grunge. I Soundgarden non volevano "decostruire" niente (in questo senso sono agli antipodi di tutti quei gruppi sperimentali americani summenzionati e detti "alternativi"): proporre anzi granitiche e autosussistenti canzoni a se bastanti e a se piacenti (salvo poi mezzo per esprimere messaggi nichilistico-sovversivi). I Soundgarden (riff di chitarra, tonalità di voci, tempi di batteria) devono tuttavia essere considerati pienamente grunge: anzi, per un discorso di decibel, possono essere considerati, facendo parte di quel grunge più vicino all'heavy meatal e all'hardrock anziché (quando non in questi incluso) al punk in senso lato, i primi discepoli degli heavy-metal Melvins. I Soundgarden si prendevano sul serio ed erano epici quando non magniloquenti; richiedevano un seguito "adulto" e "vissuto", più "trapassato" (da alcunché) che "sognante" (alcunché); più sopravvissuti che sopravviventi e non in grado di approdare al primo stadio. Erano tecnicamente preparatissimi e di questo compiaciuti. Lavoravano la musica più che viverla in sbarazzino. Reclamavano la storia dei popoli più che le storie individuali da collegiali disadattati. Legati non solo per amicizia ma anche per la dimensione più cantautorale ai Soundgarden, gli Screaming Trees (vedi "Uncle Anesthesia", 1991, prodotto da Chris Cornell: per la serie "la grande famiglia grunge") di Mark Lanegan proponevano in sostanza un power-pop (molto influenzato dal rock classico anni 70 di Young e Springsteen, ma anche da certe retoricità e fisime dylaniane), come un grunge "coi-fermi", fatalmente "depotenziato" e fossilizzato nell'ovattata dimensione prealbare o pomeridiana di confetture country e vezzeggiamenti infantili più o meno trascendenti. È quindi l'ora dei Nirvana. I Nirvana (1987-1994, Aberdeen-Seattle, WA) sono il grunge in tutte le sue forme e quanto detto a proposito di questa musica si deve solo a partire da codificazioni seguite all'interpretazione della musica dei Nirvana. Oggettivamente: presero il feto grunge e lo fecero diffondere in tutto il mondo, facendolo diventare uno dei fenomeni almeno musicalmente più considerevoli di sempre e arricchendo così le tasche non solo proprie ma anche dei loro involontari ispiratori altrimenti sconosciuti, nonché quelle dei tanti imitatori pronti a gettarsi sulla prima moda. I Nirvana erano Kurt Cobain (1967-1994) e questi l'ultimo martire del rock se non quello, data la risonanza della sua figura e i modi della propria vita ma soprattutto il suo posto storico di "ultimo", per eccellenza. Un altro gruppo, anche questo verso i confini americani più nordici e guardanti al Canada, ma dall'altra sponda, rispetto alla Pacifica di Seattle, i Pixies (1986-1992: vedi il capolavoro "Doolittle", 1989) di Boston (MA) stava operando un garage-indie mai sentito prima e per l'unicità e qualità irripetibile e insfruttabile a fini di plagio. Non sfruttabile se non da chi avesse saputo coglierne il messaggio (naif, delicato, inafferrabile, lieve e pur arrembante, dall'accelerazione improvvisa e devastante, estremo sia nel piano che nel forte, sempre iperveloce, da urla candidamente viscerali) e quindi traslitterarlo nel proprio vocabolario. Anche questo fece Cobain, oltre a seguitare nei suoi studi su Melvins, Butthole Surfers, Sonic Youth, Husker Du, Sex Pistols, Neil Young, Stooges, ma anche hard-rock classic (dai Black Sabbath ai Kiss) o il David Bowie più power-pop, prima di giungere al suo capolavoro assoluto. Nel 1989 esce questo e si chiama "Bleach". È possibile dire che non si era mai sentito niente del genere prima: opera di sintesi tuttavia, non opera nuova, summa essenziale e derivata dalla personalità più sensibile e comunicativa di quel manipolo di giovanissimi (Cobain ha appena 22 anni e parla inevitabilmente di "vissuto") esperti nell'esperire e avvertire i più lievi afflati di quel contesto, loro contesto, di irripetibile e irrimediabile fugacità e per questo valevole un pensiero od un sospiro. Come una sostanza impalpabile, dal centro americano, quegli afflati (l'effetto classe scolastica/ prima delusione amorosa nel pianoro del pur solare, e in quanto tale, maledettismo post-moderno fatto di nicotina e rock e pomeriggi di speranza per le sere ed eccitazioni più o meno collettive) si diffondevano diminuendo tuttavia progressivamente la loro intensità allontanandosi, ai giovani adolescenti di tutto il mondo (anche se non di tutti i tempi: qui la cosa è e deve essere per avere il suo valore strettamente contestualizzata in un giro di dieci anni massimo: 1985-1995). "Bleach" è un album di garage-rock spintissimo; massimo nel genere, e, data la qualità senza inflazione delle canzoni, massimo del rock tutto. Il suo ideale punto di riferimento è il "Fun House" degli Stooges di 20 anni prima: altro unicum, per valore e importanza, nella storia del rock. Come "Fun House", parla un linguaggio essenziale, micidiale e pur, o proprio per questo, sublime, sublime in quanto trascendente oltre la contingenza del particolare e toccante tutte le corde di ciò che di essenziale e fondante si trova al mondo. Mondo a-temporalmente inteso, dato che abbiamo a che fare con un'opera generata e riferentesi esclusivamente dalla e alla contemporaneità. Gli espedienti tecnici possono essere talora punk talora hardcore talora metal talora (in un caso) addirittura folk: Black Flag, Black Sabbath, Sex Pistols, Neil Young. Tuttavia l'atmosfera predominante e conciliante nel suo conferire coerenza al tutto è proprio quella "garage": minimalista, diretta, devastante, perché questo è il suo messaggio, irredenta, in un parola: dettata dalla vita e non dall'arte, qui, veramente, mero mezzo quando non antagonista da scoraggiare nelle sue pretese di accademicità. I dodici brani, rigorosamente autonomi e a sé stanti, nel flusso dei 42 minuti scorrono in una democrazia dei valori che sembra renderli indistinguibili. Per calibrata economia interna di ognuno e di ognuno in rapporto all'altro, per dominio di colore (nero: vedi anni 80) che sembra avere un horror delle altre tonalità, per cioè qualità estese a tappeto compattamente, risulta impossibile far emergere la bontà di un brano su quella degli altri. E questo accade o per i dischi eccelsi o per quelli spazzatura. "Bleach" è la sintesi perfetta di Melvins (noise-metal) e Mudhoney (grunge con picchi melodici); è con tutto il suo "garage" l'album grunge più importante. Il grunge tutto e Cobain in particolare, predica un "surrealismo storicizzato": l'oltre-fisico è possibile solo a partire da un certo contesto preciso e irriproducibile; la fuga solo dalla prigione; la follia dalla sanità. I contrari, poi, permeano un unicum fatto non di contraddizione, ma di sopportazione e infine di trascendenza (più o meno gratuito). Musica d'evasione il grunge, più di ogni altra: e non di sconvolgimento o riflessione. Tuttavia, o proprio per questo, sarà destinata come poche altre ad avere un impatto sociale (e nelle frange adolescenziali in primis: nel futuro quindi) immane. "Nevermind" (1991) fin dal titolo ("non importa": svalutazione di tutti i valori) è la Bibbia del grunge tutto, o meglio:0 potremmo dire che se "Bleach" è il Vecchio Testamento del grunge (riservato numericamente allo studio di pochi e dei più conservatori; insomma qui il popolo ebraico è rappresentato dalle fronde più hard e heavy, più underground, del grunge, più Melvins), "Nevermind" sono i vangeli per la larga diffusione e predicazione universale. Nel mezzo potremmo mettere anche Cobain come Cristo, che tra l'altro se l'è più o meno cercata, e dividere i primi seguaci del grunge (quelli, più che altro di Seattle, che vedevano i Nirvana ancora come un complesso, e underground-garage, autore di "Bleach") dai secondi (il resto del mondo) larga parte dei quali si interessava soprattutto ai ritornelli melodici che in "Nevermind" abbondano, pur accompagnati da testi infinitamente nichilisti e scorati (la voce di Cobain soprattutto, tra il fragile e lo sgolato, Francis Black in altri toni, e riconoscibile tra mille, è tale) e da assalti al fulmicotone. La differenza principale tra il primo e il secondo album dei Nirvana la esemplificano le copertine: una nera, l'altra azzurra; una imperniata nel male disperato, l'altra che ci riflette sopra; una interna, l'altra esterna; una strettamente autobiografica e per primo per chi l'ha fatta, l'altra "generosa" nel comunicare a tutti dove trovare i momenti di superiorità e d'evasione pur all'interno di situazioni catastrofiche (la vita). La dimensione suicida non viene tuttavia mai meno: se nel primo album si compie l'atto nel catrame, nel secondo tra le nuvole dell'azzurro; come dire che è tolta anche la speranza di un qualcosa differente dall'inferno. Nirvana sembra fatto da uno che è già morto e come angelo custode si presenta ai giovani e sensibili perdenti di tutto il mondo per svagarli, caricarli, asciugare loro le lacrime; o ai soddisfatti e appagati, impiegati per gettarli il pungolo della maledizione e farli tremare di comprensioni socialmente peccaminose. L'influsso (sia ben chiaro: se il riferimento di "Bleach" è "Fun House" quello di "Nevermind" è "Nevermind the Bollocks") dell'hardcore melodico e collegiale degli Husker Du (vedi l'assoluto "Zen Arcade", 1984) e del power-pop dei Cheap Trick si fa più presente, mentre il Sabbath e il Purple di "Bleach" retrocede alle barbe delle composizioni sul versante hard-rock più Kiss e Neil Young (già saltuariamente e a vario scopo presente in "Bleach"). Il chitarrismo ritmico, spreciso e a "wall of sound" di Cobain è quello che traghetterà il noise negli anni 90: un noise in chiaro e scuro ma sempre limpido, fresco, epidermico, fatatamente giovane (vedi la raccolta di inediti "Incesticide", 1992). I Green River erano stati fondati dal chitarrista Stone Gossard e dal bassista Jeff Ament. Dopo la dipartita di Mark Arm, continuarono il discorso con il progetto Mother Love Bone (1988-1990: vedi "Aplle", 1990). Venuto meno (prima vittima-grunge: overdose di eroina) il cantante del gruppo, Andrew Wood, i due si lanciarono in un patetico e orrendo album-memoria assieme al cantante e al batterista dei Soundgarden: Chris Cornell e Matt Cameron. Per l'occasione, il quartetto si chiamò Temple Of The Dog. Integerrimi e instancabili, Gossard e Ament reclutano per i loro nuovi Pearl Jam un benzinaio-surfista originario di San Diego dalla voce in grado di non invidiare nessuno: tecnicamente impressionate ed evocativa, oltre che roca e limpida assieme (tra Buckley, Thomas e Morrison): Eddie Vedder farà del calore delle sue corde una spalla da offrire come consolazione/ beneficenza a chiunque ne abbia bisogno. I Pearl Jam si riveleranno progressivamente come i più legati all'hard-rock classico americano anni 70 (gli Springsteen e Young elettrici, soprattutto) sfornando una serie di classici più o meno retrò. I Pearl Jam non servono a niente (per l'evoluzione del rock), ma sono rimasti gli unici, negli anni 90, in grado di scrivere canzoni (al massimo e inevitabilmente però vino nuovo in botti vecchie e vecchissime) con un'infaticabile continuità, una canzone hard-rock melodica dietro l'altra. È, la loro, la qualità della quantità: sono una fede; ma suonano (è proprio il caso di dirlo) come il soccorso di Pisa o il dopo-i-fuochi: obsoleti, per ostinazione e petulanza talora maleodoranti. I Pearl Jam: testi banalmente di rivalsa e di buoni sentimenti, riff atavici, ritmi fritti e rifritti. Tuttavia, ripeto, l'hard-rock è quello: e i Pearl Jam sono rimasti gli unici a saperlo fare. Oggigiorno vi sono alcuni che continuano a fare il ciabattino: sanno farlo, ma a chi interessa più? In ogni caso: 1) un elenco di almeno 15 brani degni di nota e trascinanti; 2) un album ("Vs", 1992) estremamente devastante e senza compromessi: primitivo, totale, animalesco, panico, crudo; sono meriti incontestabili dei Pearl Jam (tra l'altro, prima dell'attuale senilità, intrattenitori formidabili dal vivo).A continuare sulla linea devastante-inascoltabile-perforante dei Melvins ci pensarono (sia pur deviati da un sentimento molto melodico) gli Alice In Chains (vedi il letterale "Alice In Chains", 1995: dove Alice è più una pornostar che una bambina): pesanti, metallici, brutalmente lenti, percussivi. La loro è la nenia del disfacimento in liquefazione. I più a vario titolo pervertiti e politicamente scorretti di tutto il grunge che, in mezzo a tanti maledetti verso se stessi ma pieni di carità e compassione verso il prossimo, suonano come una stonatura indigeribile del genere. Melodici sì, ma solo per offendere di più: come i proventi delle vendite fossero usati per sbeffeggiare l'acquirente credulone. L'album "Alice In Chains" del 1995 è stato clamorosamente ignorato dalla critica. Si tratta di un capolavoro post-rock (che riflette cioè, alienato tecnicamente e concettualmente, sul rock passato senza prospettiva per il futuro): l'industrial-metal tra "Prong Pantera" del precedente lavoro (1992) viene dilatato in un soffuso che perde in violenza quanto acquista in umore cupo, allucinato, oltremondano, drogato, afflitto, defunto; come se si contemplasse con distacco il proprio cadavere. La resa di questa sulfurea, post-moderna, drogata, inquietante, di un certo qual fantasy-cowboy Alice si deve soprattutto a Layne Staley che reinveste lo strumento voce, approntando una rivoluzione sfinente. Il cantato è nenioso e corale, impassibile e apatico come non mai, dilatato: sembrano i cori Beatles messi al ralenty e imbalsamati dal maestro dell'alienazione Ian Curtis. Ne risulta una costipante veglia onirica e oscuramente visionaria, con una radicalità e totalità che richiamano quella del doom onnipresente sabbathiano. Ecco una tragedia (in senso teatrale) orgiastica, mannara, con il demone dell'infanzia, trasposizione hard del blues acido e noise di Nick Cave, del quale si riprende però solo la componente passiva (il fuori dal mondo) e non quella attiva (la compassione). In questo album non ci sono anime, ma cose: cose fluttuanti in uno spazio fantasmagorico cabalisticamente segnato da simboli insignificanti.

A inizio 90 la macchia d'olio del grunge si espande prima in tutta l'America quindi in tutto il mondo: Stone Temple Pilots, Smashing Pumpkins ("Mellon Collie and the Infinite Sadness" del 1995, con il brano "Bullet With Butterfly Wings", massimo esempio di grunge americano fuori Seattle), Silverchair, Bush, Mad Season, Creed, Blind Melon, Stiltskin sono solo alcuni dei nomi.

La cosa artisticamente più interessante che ha a che fare col grunge, e che può in parte essere considerata come grunge al femminile, è il movimento delle "riot grrrl". Qui le cose si fanno complesse; le spiego così: 1) il termine riot grrrl nacque per disegnare i sommovimenti appunto di neo-femministe (giovanissime) ad inizio 90; 2) queste erano però femministe sui generis, ben lontane dalle "suffragette", predicavano in sostanza la gestione della famiglia come una band punk: in realtà volevano dire che era necessaria la furia punk per sovvertire i binari di soprusi, noia, ingiustizia, squallore, tradimenti, qualificanti la vita domestica; 3) avessero potuto, non so se avrebbero voluto la famiglia tutta casa e chiesa, però questa per contrasto richiedevano, dato che l'ordine delle cose era l'opposto: ma forse lo spirito di contraddizione prevaleva sul resto; 4) in ogni caso il punk alle riot grrrl fu dato, ovviamente da altre riot: e il punk d'allora era grunge; 5) tuttavia tecnicamente e anche concettualmente (stupri, abusi domestici, lesbismo) tutto era partito a inizio anni 80 quando le Frightwig di San Francisco (vedi "Cat Farm Faboo", 1984) ebbero una grande idea: fare garage-punk al femminile di protesta anti-maschile, solo che non riuscirono a trovare i mezzi per attuarla, ogni loro riff, cadenza o ritmo, come anche tema trattato, sarà ripreso successivamente, ma amplificato, allargato, reso espressionistico; le Frightwig suonavano nell'effetto come Siouxsie and the Banshees con in più una voce tra le prime sistematicamente urlatrici della storia del rock tutto: Cecilia Lynch, che da sola teneva banco; 6) nel 1982 Wendy Williams dei Plasmatics aveva interpretato in modo assoluto il garage-metal "Stop": ferocia e riff assoluti per il brano più influente su tutto il movimento riot e non solo; 7) dal 1985 a Los Angeles ci pensarono le L7 a fare quello che le Frightwig non erano state in grado di fare: un album dietro l'altro con una violenza dietro l'altra; inventarono il grunge, chiamato per l'occasione fox-core, parallelamente ai maschietti ma poterono pubblicare la loro invenzione soltanto col successo di questi (vedi "L7" e "Smell The Magic": 1990, 1991); 8) sempre su quella costiera, da San Francisco, proposero un fox-core tribale, edipico ed estremo fin dal 1987 le Babes In Toyland (vedi il capolavoro "Fontanelle", 1992): il nichilismo da storico diventa cosmico, l'urlo di Bjelland è brado, quindi eccelso e totale; 9) il fox-core che già faceva scuola e gruppo o confraternita a sé, trapassa nel riot e quindi nel grunge con le Hole (vedi "Live Through This", 1994) di Courtney Love. L'ultimo album grunge ideologicamente e contenutisticamente propositivo e innovativo è targato 1991 ("Nevermind" è la traduzione, come temine, filosofica di "grunge"). Da allora, niente più di nuovo sotto il sole, per quanto riguarda il panorama rock: tutto quello che di "nuovo", interessante, stimolante e significativo è stato fatto con chitarra-basso-batteria non a caso è stato chiamato "post-rock". Il grunge, in talune sue brezze apparso così fresco e nonostante tutto spensierato, semplice, diretto: il grunge, il bambino, ha storicamente costituito le campane che suonano a morto per il rock. Prima di interrogarsi sul valore della vita e sul fatto che simbolo di morte sia un vecchio piuttosto che un neonato, si guardi la copertina di "Nevermind". Alla risposta si apponga il significato di quest'ultimo titolo o parola.

Discografia

Album

Green River - Come On Down (1985)
Primo album hardrock-grunge

Melvins - Gluey Pork Treatments (1987)
Primo album metal-grunge; rifondazione dell'uso di tutti gli strumenti rock; estremo, avanguardistico, importante e sottovalutato come pochi nella storia; invenzione dello stoner-metal

Mudhoney -Superfuzz Bigmuff Plus Early Singles (1990)
Invenzione del grunge

Nirvana - Bleach (1989)
Il più grande album grunge; Nessuno nella storia ha fatto di più; Alcuni lo stesso

L7 - L7 (1990)
Il più importante album fox-core

Nirvana - Never Mind (1991)
Se "Bleach" è il nero questo è il celeste; il suicidio è visto non più dalla crosta terrestre, ma dai superni; il disco socialmente più importante della storia assieme a "Nevermind the Bollocks"

Soundgarden - Badmotorfinger (1991)
Hard-rock di alta scuola

Nirvana - Incestide (1992)
Una raccolta di inediti in grado di conciliare dialetticamente il nero e l'azzurro di Bleach e Nevermind per una reazione di acidi e basi programmaticamente ostica e anticommerciale: la melodia, congenita a Cobain, qui si fa spesso da parte

Peal Jam - Vs (1992)
Senza quest'album la storia del rock sarebbe stata la stessa, quella del mondo no

Babes Toyland - Fontanelle (1992)
Il più grande album di tutti i tempi di un gruppo con membri solo femminili

Hole - Live Through This (1994)
Le Hole non hanno fatto un brano memorabile ma offrono mille spunti assoluti

Alice In Chains - Alice In Chains (1995)
Allucinato, apaticamente nevrotico, disumano, febbrile, oltremondano, perverso, post-tutto


Canzoni


Mudhoney - Touch Me I'm Sick (Superfuzz Bigmuzz plus Early Singles, 1988)
Prima canzone grunge e manifesto del grunge tutto; inno generazionale

Mudhoney - Need (Superfuzz Bigmuzz plus Early Singles, 1988)
Istituzionalizzazione schema grunge melodia-rumore-urlo; toccante

Mudhoney - If I Think (Superfuzz Bigmuzz plus Early Singles, 1988)
Altra corda del toccante: lo schema è il punk-folk dei Pogues

Nirvana (Bleach, 1989)
Tutte le canzoni sono impeccabili

Nirvana - Smells Like Teen Spirit (Nevermind, 1991)
La canzone più grande di tutti i tempi

Nirvana - Lithium (Nevermind, 1991)
"Sunday morning is everyday, for all I care"

Nirvana - Lounge Act (Nevermind, 1991)
Come uno scrollo di spalle per la sopportazione del tutto

Pearl Jam - Black (Ten, 1991)
Il blues del grunge

Pearl Jam - Rearviewmirror (Vs, 1992)
Il blues del grunge

Alice In chains - Angry Chair (Dirt, 1992)
Decisa melodia del malessere sferzata di continuo

Soundgarden - Head Down (Superunknow, 1994)
Un inaspettato post-grunge semiacustico

Cranberries - Zombies (No Need to Argue, 1994)
O'Riordan ha tutto in testa ma non riesce a dirlo se non quando si trova scritti brani come questi; anche dal nulla può venire fuori un gioiello della portata di inno generazionale ed esistenziale: possente, toccante, scuro, perfetto, immortale

Stitskin - Inside (The Mind's Eye, 1994)
Esempio di grunge europeo al maschile

Smashing Pumpkins - Bullet with Butterfly Wings (Mellon Collie and Infinite Sadness, 1995)
Massimo esempio di grunge americano fuori Seattle

Alice in Chains - Shame in You (Alice In Chains, 1995)
Si solleva dal disco come un'oasi: ma le sue armonie se sono di pace lo sono solo di quella eterna (da scontare all'inferno)

Faith No More - Digging The Grave (King For A Day, 1995)
Tre minuti e quattro secondi di perfezione nella dialettica tra pieni e vuoti, nel testo, nel parlato e nelle urla.

Anouk - Nobody's Wife (Together Alone, 1997)
Esempio di grunge europeo al femminile
Pietra miliare
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