Quanto segue è la Parte Prima e il primo capitolo della Parte Seconda della "Storia geografia e concetto del rock hardcore. Usa 1978-1991" di Tommaso Franci, uscita nel 2006 presso Arduino Sacco Editore in Roma, che ne detiene il copyright. Il volume è ordinabile, oltre che dall'Editore, in tutte le librerie del territorio nazionale e in siti quali www.ibs.it, www.libreriauniversitaria.it, www.unilibro.it.
Parte Prima. I concetti di Proto-hardcore, Hardcore e Post-hardcore
Premessa
L'accezione del termine "rock" adottata in quest'opera è ristretta. Con essa si intende un genere di musica popolare eseguito con tre strumenti: chitarra e basso elettrici e batteria; cantato ad una voce; e derivato dal country per certe tematiche e certe impostazioni vocaliche e strumentali nonché per la forma della canzone e soprattutto, passando attraverso il rock n' roll degli anni Cinquanta, dal rhythm and blues tramite l'accentuazione del ritmo e la frammentazione del flusso blues. Storicamente, l'espressione di queste direttive prese avvio negli Stati Uniti d'America attorno al 1967 e, sempre negli Stati Uniti, conchiuse l'orizzonte della propria ricerca attorno al 1991.
Da un punto di vista contenutistico il rock può considerarsi un effetto collaterale di quella diffusione tra le masse di cultura scientifico-libraria elementare che contraddistingue l'epoca moderna e contemporanea in Occidente. Nel breve volgere della sua storia esso ha idealmente e semplicisticamente ripercorso le tappe fondamentali di questa cultura, il cui moto può essere descritto come un passaggio da posizioni di integrazione e disponibilità nel rapporto uomo-mondo, a posizioni di contrasto e lacerazione. L'hardcore è uno stile che esprime questa seconda ed ultima fase del rock.
1. Il Proto-hardcore
Con "new wave" veniamo a indicare una stagione della musica e del costume rock originatasi a New York nella seconda metà degli anni Settanta del Novecento e, al di là delle sue multiformi estrinsecazioni, caratterizzata dalla volontà di cambiare la concezione della musica rock in direzione di una maggiore coscienziosità e attenzione per i contenuti espressi. Il movimento newyorkese da una parte criticava il rock tradizionale e soprattutto quello contemporaneo per la scarsezza di riflessione socio-esistenziale, dall'altra proponeva argomenti e modalità con cui compiere questa riflessione, il che valeva come un radicale rinnovamento.
Gli argomenti potevano investire problematiche sociali come estremamente individuali ma dovevano farlo con intelligenza ed in polemica verso l'opinione comune. Le modalità dovevano, sia che si esprimessero in modo veemente oppure controllato, dare un senso di malessere, di profondo incupimento della visione del mondo e di apatia. Salvo varie eccezioni elette a fonte di ispirazione, il limite del rock tradizionale era stato, per la new wave, quello di non insistere sufficientemente sul tasto della coscienza critica e di restare sostanzialmente confinato al livello del divertimento fine a se stesso.
La new wave per la prima volta prese il rock programmaticamente sul serio, considerandolo non più come un passatempo ma come un qualcosa per cui ne doveva andare della vita stessa. La cosa importante da notare a riguardo è che con ciò problematiche quali quelle nichiliste, che la cultura letteraria ed artistica avevano iniziato ad affrontare da almeno due secoli, entrano nell'ordine delle idee del popolo e delle masse. Ne consegue, in linea di principio, uno stravolgimento dei rapporti tra uomo e mondo forse mai prima registrato in maniera talmente radicale e diffusa.
Come nella storia dell'arte si passa dalla classica estetica del bello alla moderna estetica del brutto, così nel rock, che a modo suo ripercorre le tappe fondamentali della civiltà occidentale, si passa dall'estetica del bello degli anni Sessanta e Settanta, con suoni prevalentemente armoniosi e canto prevalentemente intonato, all'estetica del brutto tipica della new wave, con suoni cacofonici e canto sgradevole. Va da sé, che fin dagli anni Sessanta v'erano avanguardie rock, poi infatti prese a modello dalla new wave, che vantavano stecche e stonature; del resto siamo abbondantemente oltre la metà del Novecento: da tempo l'arte era giunta all'estetica del brutto e la filosofia alla considerazione del nulla.
Anche il rapporto apocalittico con la tecnologia, proprio della new wave, è ovviamente qualcosa di frusto negli ambiti di riflessione e di pensiero più alti, dai quali del resto almeno indirettamente proviene: ma è egualmente importante perché significa l'allargamento popolare di simili concetti.
Una parte della new wave, che ben presto divenne fenomeno di proporzioni planetarie, trovò il suo linguaggio nel ritorno alle origini più semplici e crude del rock, di contro alle sofisticatezze cui questa musica era ritenuta essere giunta nel corso degli anni. Usiamo la categoria di "proto-hardcore" per trovare un minimo comun denominatore ai musicisti rock americani che seguivano questa linea della new-wave, perché attraverso la rivisitazione di certi loro espedienti si produrrà l'hardcore vero e proprio. Invece ciò che è passato alla storia come "punk" all'interno del nostro discorso lo possiamo in teoria considerare indifferentemente o come proto-hardcore oppure come una forma della new-wave sviluppatasi a Londra a partire dal 1976. La scelta di questa seconda accezione è tuttavia raccomandata dal fatto che l'hardcore sarà un fenomeno eminentemente americano.
Il punk non nacque in Inghilterra, anche se qui trovò la sua massima espressione. Esso nacque di fatto a New York come sottocategoria della new wave. L'esportazione di questa sottocategoria in Inghilterra non va considerata quindi come la nascita vera e propria del punk ma più che altro come la sua tenuta a battesimo. E forse nemmeno di un battesimo si è trattato, dal momento che già dal dicembre 1975 a New York si pubblicava la rivista "Punk", madre di tutte quelle che poi saranno le "fanzines" hardcore. In Inghilterra il punk trovò più che delle forme dei contenuti forti da esprimere tratti dalle disagiate condizioni sociali ed esistenziali della classe operaia. Come spesso accade nel rock, mentre in America si compiono invenzioni in Inghilterra si brevettano o meglio si commercializzano: il punk nacque negli Stati Uniti ma nessuno, per così dire, se ne accorse; soltanto dopo che questo dilagò a Londra si credé di importarlo in America e si credé di importare una novità quando non era altro che merce di casa propria. Ad ogni modo, se si vuole parlare di punk americano, sarà possibile farlo solo intendendolo come proto-hardcore e più che altro in riferimento a certe manifestazioni intercorrenti tra la diffusione del punk in Inghilterra a partire dal 1976 e l'istituzionalizzazione dell'hardcore in America nel 1978 e negli anni seguenti.
Il proto-hardcore ha un'applicazione cronologica e una ideale. La prima corrisponde all'incirca agli anni 1976-1978; la seconda a quei gruppi rock americani che operando prima o dopo questo periodo posseggono tuttavia caratteri per i quali è utile ricondurveli idealmente.
In linea di massima il proto-hardcore riguardò ventenni socialmente disadattati che nelle periferie delle grandi città, in un'epoca che vedeva un sensibile aumento della delinquenza metropolitana, trovavano un senso alle loro esistenze percorrendo con decisione un tracciato, forse mai interrottosi, che partiva dal rock n'roll più violento anni Cinquanta, passava per il rhythm and blues revival ed il garage-rock anni Sessanta e culminava nel cosiddetto "rock di Detroit".
A Detroit, ma in stretti rapporti con New York, tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio dei Settanta avevano operato svariati gruppi che pur nella diversità della proposta erano accomunati da un suono violento, metallico, veloce e sgradevole, accompagnato da una voce che più che cantare urlava sguaiata e selvaggia. I contenuti dei loro brani erano riconducibili tutto sommato a quelli classici del rock n' roll e del rhythm and blues prima e del rock poi: sesso, immoralità, qualunquismo, celebrazione degli istinti più bassi e meschini all'insegna di un edonismo che diventava protesta e destabilizzazione sociale solo indirettamente. Tuttavia si facevano strada anche temi e toni opposti, che allora erano pienamente new wave e che poi saranno fatti propri dall'hardcore: la desolazione e povertà della vita metropolitana, l'insoddisfazione, l'insofferenza, la riflessione sul senso della vita in sé. Se il rock n'roll e il rhythm and blues erano divertimento, con il rock di Detroit si iniziò a riflettere sul non-divertimento, sulla sua impossibilità e insensatezza; e si iniziò a speculare sul suo opposto: la depressione e l'apatia. Il fatto è che mentre il rock n'roll utilizzava una musica esagitata per far ballare e per dare alla vita la forma di una danza scatenata, adesso ci si serviva di una musica più assordante di quella rock n'roll per predicare l'inerzia, il vuoto d'anima, l'impossibilità di una vita vera. Si inizia polemicamente a porre come valori i disvalori: a partire dalla sporcizia del corpo specchio di quella di un animo suo malgrado degenere, fino a scrivere canzoni d'odio per chi, tradizionalmente, si erano scritte sempre canzoni d'amore. La formula canonica per sintetizzare questi fenomeni è quella di "teenage depression".
I protagonisti del proto-hardcore - da non identificare con i rappresentanti del "rock di Detroit" ma con i loro figli putativi - possedevano quindi una buona conoscenza della storia della musica popolare americana dell'ultimo ventennio. Ed anche da questa derivava loro una non trascurabile preparazione tecnica che si manifestava in infuocate esibizioni dal vivo. Queste avvenivano nei vari club per giovani che stavano nascendo per i medesimi motivi per i quali nascevano i gruppi che vi suonavano: creare occasioni per il bisogno di nuove forme di autoidentità giovanile. Questa motivazione principale fu però da subito causa ed effetto dell'adozione del proto-hardcore per moda o tendenza, come poi accadrà in parte con l'hardcore. Il principale locale dell'epoca e il punto di riferimento di tutta la new wave era il "CBGB's" di New York (ma si noti che sin dal nome, "Country Blues Grass Blues", il locale si richiamava alla tradizione).
Raramente i gruppi proto-hardcore riuscivano a pubblicare un album. E specie i più estremi dovevano accontentarsi della pubblicazione di qualche singolo. Ciò è dovuto al fatto che ancora queste manifestazioni non avevano coscienza di sé, non erano diventate un movimento né avevano un nome e quindi non potevano essere lanciate dalle case discografiche, salvo sporadici, anche se significativi, casi di un lancio programmatico con il preciso scopo di creare una nuova tendenza. Inoltre non vi era quella che poi sarà la rete di case discografiche indipendenti senza la quale l'hardcore non avrebbe avuto modo di esprimersi.
2. L'hardcore
Come è ristretta la nostra accezione del termine "rock", così e ancor di più lo è quella del termine "hardcore". Con essa intendiamo un sottogenere della musica rock sviluppatosi in varie ondate negli Stati Uniti d'America e soprattutto a Los Angeles tra il 1978 e il 1991 e caratterizzato formalmente da canzoni brevissime velocissime violente e urlate e contenutisticamente da una filantropia di stampo post-nichilista.
Le forme
La canzone rock base ha una lunghezza media di tre o quattro minuti, ritmiche tese ma non esasperate, suoni rudi e chiassosi ma non assordanti, canto impostato e sofferente ma perlopiù riportabile al tono colloquiale. Se dal 1967 è stato tutto uno stravolgere in un senso od in un altro questa medietà a forza dei vari sottogeneri rock quali il rock "duro", il rock "acido" o "psichedelico", il rock "progressivo" eccetera, l'hardcore è lo stravolgimento più estremo delle forme rock, le quali vengono esasperate al massimo. La canzone hardcore base ha una lunghezza media di un solo minuto, ritmiche irrefrenabili, suoni che valgono come un fascio accecante e un sibilo assordante, il canto che è uno sproloquiare talora inintelligibile e che si declina nelle tonalità del pianto, dell'urlo, del verso bestiale, dell'arringa, dell'amara ironia.
Tali forme si sono rivelate necessarie da un lato in virtù dei contenuti di protesta che dovevano esprimere e dall'altro in relazione all'età dei loro autori.
I contenuti
Il rock'n'roll degli anni Cinquanta aveva abbattuto barriere sociali e razziali; bisogna tuttavia attendere la fine degli anni Sessanta affinché la musica popolare, attraverso il rock, prenda una maggiore coscienza di sé. Anche la rivoluzione musicale di fine anni Sessanta venne tuttavia fagocitata dall'ordine civile precostituito e congelata per un decennio: sino all'esplosione della new wave a fine anni Settanta, a sua volta congelata sino alla istituzione del "grunge" fra gli anni Ottanta e Novanta con la seguente morte del rock.
In questo circolo, apparentemente conclusosi in un nulla di fatto, dei veri e propri contenuti rivoluzionari sono isolabili, sono stati efficaci e si sono espressi nel modo più compiuto tramite quella modalità di new wave che fu l'hardcore. Essi furono resi possibili grazie all'estensione dell'alfabetizzazione, la quale fece entrare all'interno del popolo certe tematiche che poi si diffusero a macchia d'olio fino a divenire moda, quando storicamente sembravano destinate a rimanere chiuse nelle aule universitarie o nei circoli culturali. Uno dei mezzi che il popolo aveva a disposizione e che anzi si costituì parallelamente alla nascita di questa urgenza espressiva fu il rock, in tale senso culminato con l'hardcore in quanto questo fu l'unico suo movimento storicamente ed organicamente capace di assumersi l'onere di affrontare simili questioni tutto sommato ignorate o trattate troppo superficialmente anche dal solo precedente movimento di aggregazione giovanile per portata all'hardcore paragonabile: la psichedelia hippie degli anni Sessanta.
Tali contenuti giunti alle masse a seguito di un'alfabetizzazione a tappeto, sono di due ordini: uno storico ed uno esistenziale; e valgono come autocoscienza collettiva.
Nel contesto di una alfabetizzazione e acculturazione indotta nelle masse non solo attraverso la scuola ma anche e in certi rispetti soprattutto attraverso quelli che proprio per questo motivo si chiamano "mass media", quotidianamente e in tempo reale il singolo è bombardato da notizie e fatti, inizialmente di cronaca ma pronti a divenire di storia contemporanea, in un modo tale che non ha precedenti. Dalle notizie e fatti bruti alla loro più o meno semplicistica e coatta concettualizzazione, il passo è breve se non necessario. Così che fin dalla più tenera età l'individuo è come costretto a farsi una propria idea sul mondo storico in cui vive. E siccome la storia è storia di esistenze, occuparsi della prima significa anche occuparsi delle seconde. Cioè a dire che l'individuo, sin da ragazzo, è portato alla riflessione sulla propria esistenza, sia oggettiva in quanto l'individuo è personaggio storico sia soggettiva in quanto l'individuo è essere sensibile. Gli strumenti di questa riflessione, strumenti che valgono quasi come cause, sono la scuola da una parte ed i mass media dall'altra. Le idee più trite dei grandi pensatori ed artisti del passato e del presente, banalizzate e mortificate, vengono mischiate con i motti e i commenti dei giornalisti in merito agli avvenimenti di cronaca ed ai vari aspetti della società. Ne deriva una notevole propulsione che nel suo aver bisogno di sfogo e catarsi si cerca o si crea gli strumenti espressivi più semplici e diretti. L'hardcore fu uno di questi strumenti espressivi in un determinato contesto ed in una determinata stagione del XX secolo.
Se il punk fu uno dei mezzi di espressione, alternativo o parallelo al crimine, dei figli delle classi più deboli ed esasperate della società inglese, già in esso, in quanto corrente della new wave, il motivo economico era inscindibile da quello di riflessione esistenziale. Riflessione esistenziale che diventa prioritaria nell'hardcore, per il quale il mondo storico e sociale vale come specchio dell'anima. Tuttavia, nei limiti in cui la natura umana si identifica con la storia e la società, occuparsi della prima o della seconda consegna alla fine i medesimi risultati. E allora è inscindibile, anche se non indistinguibile, la riflessione hardcore sull'individuo da quella sulla società: il primo, del resto, vive nella seconda e quindi, in buona parte e in quanto suo figlio, si identifica con essa.
Sarebbero necessari almeno un manuale di storia contemporanea e uno di sociologia per avere un'idea pur superficiale delle tematiche che sottostanno come cause alla riflessione esistenziale hardcore. In grande approssimazione è qui possibile ricordare che tali tematiche si rifanno da un lato ai fenomeni macroscopici della storia mondiale contemporanea e dall'altro a quelli microscopici legati ai rapporti di forza entro uno specifico contesto sociale e geografico, che è quello metropolitano e americano. I due aspetti sono poi recepiti come uniti perché causati da un unico, giudicato perverso, sistema globale. Del resto, gli Stati Uniti sono in rapporti con tutti i paesi del mondo ed anzi, almeno per un certo rispetto, sono attualmente la nazione più in vista del pianeta Terra, quella con cui, di fatto, si identifica o deve fare i conti l'odierna umanità.
In un unico volgere di discorso, l'hardcore si oppone alla guerra, all'imperialismo bellico ed economico, all'ingiustizia, alla massificazione, alla cattiveria, all'indifferenza, al sessismo, al razzismo, al fascismo, alla corruzione, all'autorità, alle ideologie religiose e politiche, al maltrattamento degli animali, all'inquinamento e ovviamente alla barbara tradizione americana della pena di morte. Stato, Chiesa e famiglia sono i suoi bersagli polemici in quanto principali costituenti di una società sbagliata ed in quanto organi attraverso cui si trasmettono i disvalori appena citati.
L'estremo opposto dell'hardcore è sostenuto dal conformista borghese. Secondo la prospettiva hardcore la borghesia in quanto conformismo ha portato socialmente a mortali contraddizioni economiche, ideologicamente all'alienazione e alla massificazione, esistenzialmente al nichilismo. Per conformista qui si intende chi ha il proprio pensiero o opinione quale risultato di un reale o immaginato condizionamento da parte di un'altra persona o gruppo di persone; chi, per avere informazioni sul proprio pensiero ed essere, si basa sull'osservazione altrui; chi è un "attore sociale", una "maschera" e non una persona. Lavoro, razza e sesso sono i campi principali dove il conformista prende posizione e nei quali l'hardcore mira a confutarlo dichiarandosi perciò anticonformista. Il conformista è a favore dell'autorità, l'anticonformista contro. Tanto più difficile è poi essere contro un'autorità rappresentata dalla massa in quanto mancanza di volontà.
Del resto non esiste, secondo l'hardcore, una persona che in quanto tale è "normale"; normalizzazione e istituzionalizzazione è anzi spersonalizzazione e cioè disumanizzazione. Per questo, per contrasto, in quanto i normali non sono uomini perché omologati, è necessario, al fine di essere uomini nel senso pieno e creativo della parola, dirsi anormali. Per l'hardcore bisogna essere curiosi, critici, attivi, ambiziosi, sensibili; di contro ai conformisti che sono massificati, apatici, che sono degli zombie, dei non vivi, che sono chiusi in scatola e che stanno imbambolati davanti all' "american dream" trasmesso in televisione.
L'ideologia fascista, massima espressione di conformismo e autorità, è il peggior nemico per l'hardcore; salvo essere esteriormente e provocatoriamente usata in certe sue dinamiche come mezzo per destabilizzare il presente ordine di cose considerabile come neo-fascista. Quella di borghesia e fascismo diventa un'equazione per l'hardcore.
Essere contro la società vuol dire essere contro le sue istituzioni (scuola, polizia, famiglia) e contro la linea di un progresso concepito solo come tecnologico, industriale e materiale e che si risolve in un progresso dell'alienazione che significa regresso in quanto disumanità.
Alla parte critica segue la parte propositiva, la quale coincide con un' "anarchia" intesa e vissuta sia utopisticamente sia pragmaticamente. Dalle fanzine e testimonianze dell'epoca hardcore risulta che l'anarchia era concepita come dovere di rispettare la libertà altrui e come diritto alla propria: la solidarietà e la libertà sono considerate l'essenza del genere umano. Anarchia è rifiuto di essere controllati e volontà di prendere in mano la propria vita: quella di anarchia come caos e distruzione è ritenuta solo un'idea popolare. C'è la coscienza che eliminare le fondamenta della società senza avere prima una valida alternativa è delittuoso come lo furono, ad esempio, i regimi nazisti e comunisti; ma l'anarchia hardcore si propone di valere come una concreta e fattiva alternativa. L'anarchia hardcore è una concezione nel senso buddistico di percorso interiore; essa in modo graduale e riflessivo vuole con la persuasione cambiare l'animo della gente: e non è solo sommovimento ("riot") e distruzione d'oggetti (che rappresentano "il sistema"). Nella utopica società anarchica ognuno è polizia a se stesso: se tutti sono anarchici non c'è bisogno di poliziotti perché nessuno è minacciato dal momento che nessuno farebbe mai del male a qualchedun'altro. L'hardcore anarchico non dice no alla legge ma sostiene che non deve esserci bisogno di una legge perché tutti devono essere legge a se stessi e rispettare gli altri. L'anarchia ci sarà, secondo tale concezione, solo quando la gente diverrà responsabile dei propri atti. Quando gli individui vivranno in pace senza le autorità che li puniscono, quando la gente avrà abbastanza coraggio e buon senso per parlare onestamente e giustamente con gli altri, solo allora ci sarà anarchia. Il popolo hardcore non ha un capo perché non vuole avere un capo; e ciò è giusto, secondo l'hardcore, perché è impossibile avere un capo senza che questo sia corrotto.
Sia la sinistra marxista che la destra capitalista sono per l'hardcore sbagliate: il cambiamento che propone la sinistra è infatti sempre all'interno di un sistema corrotto. L'anarchia vorrebbe un cambiamento totale.
A questo peculiare anarchismo si associa poi un individualismo inteso come unica reazione ed antidoto possibile per l'anarca che vive nella capitalistica società di massa. Entro l'individualismo trova spazio la riflessione interiore. Nelle fanzines si leggono dichiarazioni come la seguente: "Ricerca un onesto, spesso spaventoso, punto di vista dentro di te e fatti domande del tipo: Chi sono io? Cosa voglio dalla mia vita? Cosa potrei volere? Cosa potrei fare? Alla fine, il processo ti porterà senza dubbio a rifiutare di conformarti a molti dei ruoli e delle aspettative sociali". Oppure: "Usa la tua mente, tratta gli altri con rispetto, non giudicare dalle apparenze, supporta gli altri nella loro lotta ad avere il diritto di essere se stessi, contribuisci ad un cambiamento positivo del nostro mondo". Infine: "Per cominciare vi dirò che cosa penso che l'hardcore non sia: non è una moda, un certo modo di vestirsi, una passeggera fase di ribellione giovanile contro i genitori, non è l'ultima tendenza di grido e neanche una particolare forma di stile musicale; esso è un'idea che guida e motiva la tua vita. La comunità hardcore che esiste, esiste per supportare questa idea attraverso la musica, l'arte, le fanzine e altre espressioni della creatività personale. E qual è quest'idea? Pensa da te stesso, sii te stesso, non prendere solo quello che la società ti propina, crea il tuo proprio ruolo, vivi la tua propria vita".
Così, con Kierkegaard, si potrebbe riassumere, in tutta la sua ingenuità e gravezza, la problematica esistenziale hardcore, che poi coincide con quella esistenziale in senso assoluto: Dove sono? Che cosa vuol dire il mondo? Che cosa vuol dire questa parola? Chi mi ha attirato nel tutto e poi mi ha lasciato? Chi sono io? Come sono entrato nel mondo? Perché non mi hanno domandato niente? In che modo sono diventato parte interessata nella grande impresa che si chiama realtà? Perché devo essere parte interessata? Non è una cosa libera? E se sono obbligato a starci, ditemi almeno dov'è il direttore, ho alcune osservazioni da fargli. Non c'è direttore?
Per contro, e senza saperlo, l'analisi hardcore coincide con quella, vecchia di due secoli (o in anticipo di due secoli), di uno Schopenhauer: Tale è la vita dei più: vogliono, sanno ciò che vogliono, vi aspirano con quel tanto di successo che è sufficiente per non farli cadere nella disperazione, e con quel tanto di inuccesso che basta a proteggerli dalla noia e dalle sue conseguenze. Di qui una certa serenità, una certa pace interiore. E tutti lavorano, lavorano sempre, con gravità e con aria d'importanza, come fanciulli assorti nel gioco. È sempre un'eccezione, se una vita di questo genere viene deviata (per poco) dal suo corso. L'hardcore si incarica di questa deviazione nel convincimento che in essa consista la vera vita.
La società americana è accusata dall'hardcore di essere puritana e patriarcale: "Noi siamo gli eredi della supremazia bianca, di un mondo patriarcale e capitalista. Noi rigettiamo la nostra razza e la nostra posizione sociale, la nostra cultura, storia e morale e tutte le istituzioni (lavoro e genitori per primi) che le portano avanti". La società patriarcale impedisce tra l'altro ai maschi di piangere, di mostrare i loro sentimenti più intimi, teneri, vulnerabili e contraddittori: quei sentimenti che fanno l'uomo e che sono espressi dall'hardcore il cui canto è giustappunto un pianto.
La polizia da una parte e la religione dall'altra incarnano tutto ciò che è sbagliato nell'autorità: massificazione, corruzione, sadismo, sessismo, razzismo, fascismo. Da qui il motto hardcore: "I swear to God, I hate cops". Pare del resto essere condivisa dall'hardcore la considerazione russelliana per cui la persecuzione e la perdita della libertà si trovano sempre là dove si riuniscono questi due fattori: l'opinione che si debba mantenere una generale ortodossia e un corpo di ufficiali aventi il diritto e il dovere di punire le possibili deviazioni.
Volendo trovare delle referenze culturali al coacervo contenutistico del rock hardcore dovremmo partire dal "conosci te stesso" e "sapere di non sapere" di Socrate, passare dalla tolleranza e dall'antidogmatismo di Locke, dall'illuminismo di Beccaria, dalla critica alla religione di Feuerbach, dalla sociologia di Marx e dall'individualismo di Stirner; dovremmo giungere al filantropismo pedagogico di Basedow, all'anarchica alienazione dell'alienazione di Bakunin, al pragmatismo americano, al pacifismo di un Russell e alla liberalistica "Dichiarazione d'indipendenza" di Jefferson con il monito della felicità; senza trascurare l'esistenzialismo positivo di un Agostino e quello negativo di un Kafka, nonché la categoria di maschera di Pirandello.
L'hardcore inoltre si considerò un movimento di avanguardia e non trascurò di richiamarsi alle avanguardie d'inizio Novecento come il "Futurismo" ed il "Dada", le quali, prima ancora che una valenza artistica avevano una valenza attitudinale (parola cara al punk come all'hardcore) che si manifestava nel sovversivismo, nell'oltraggiosità ed eccentricità e nell'arroganza.
La natura umana per un verso e la società capitalistica per l'altro conducono al nichilismo, secondo l'hardcore, il quale, concentrandosi sugli aspetti positivi della natura, utopisticamente nega la società costituita per negare il nichilismo e fattivamente esorta con forza i giovani a non cadere nelle maglie del nichilismo e, se pur costretti a vivere in una natura ed in una società avverse e disumane, a farlo nel miglior modo possibile, nel modo più umano e dignitoso e cioè secondo i precetti dell'amore, della pace, della libertà e dell'intelligenza critica.
Gli autori
L'hardcore è il movimento rock con i protagonisti più giovani: la maggior parte dei gruppi hardcore è stata formata da minorenni, talora poco più che bambini. Solitamente si va dai 12 ai 18 anni.
Questi adolescenti, i "kids", abitavano nelle metropoli americane, prima fra tutte Los Angeles, che proprio tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli Ottanta registrava un poderoso e incontrollato incremento di popolazione, con tutte le conseguenze che ciò comportava. Di estrazione sociale media o medio bassa frequentavano la scuola o comunque orbitavano attorno al suo ambiente: anche per questo, per una questione di età, le loro problematiche non riguardavano, in primo luogo, come invece accadeva nel punk inglese, il problema del lavoro, della disoccupazione e della povertà.
I traumi che spingevano questi ragazzi a esprimersi attraverso il rock erano, prima ancora che sociali, psicologici ed esistenziali: va poi considerato un elemento secondario o indiretto il fatto che causa dei secondi fossero i primi. I "kids" avevano a che fare, prima che con il salario basso, con famiglie o disgregate o puritane, con una scuola bigotta e conservatrice, con la solitudine prodotta dalla vita metropolitana, con i fatti di violenza che si presentavano quotidianamente e ad ogni livello ai loro occhi.
Tanto ignoranti di tutto - dalla storia della civiltà a quella del rock - quanto ignorati, questi piccoli uomini avevano il tempo di un'intera adolescenza, lunga almeno sette anni, per guardare e interrogare il mondo che li aveva visti nascere. Si ponevano così domande sul senso della vita il cui scandaglio risale almeno a Socrate, senza però avere le capacità culturali e intellettuali per intavolare adeguatamente simili questioni alle quali la scuola e la società li avevano portati senza poi assisterli in alcun modo. Esistenzialmente veniva a crearsi una spirale di domande senza risposte valevole come una condanna al nichilismo e al suicidio: da soli, i giovani, contro genitori e scuola, trovarono l'uscita da questa spirale attraverso l'hardcore che si configura quindi come la negazione del nichilismo e del suicidio e come l'affermazione dell'umanità e della vita soprattutto.
Volgendosi dal lato esistenziale a quello storico e sociale, anche qui i kids trovavano valide motivazioni per il nichilismo e il suicidio: politicamente le guerre e le ingiustizie, socialmente la massificazione e l'alienazione, sembravano non portare ad altro e invece, con l'hardcore più consapevole, sorse in questi giovani l'utopia anarchica all'insegna di un ribellismo che assumeva il significato di lotta per la sopravvivenza in un mondo a tutti i livelli soffocante.
Ma se il mondo è sbagliato sia nel pubblico che nel privato, per cambiarlo o per cambiarci noi in esso, non resta che fare tutto da soli: è il motto del "Do it yourself", che non poteva che provenire da figli abbandonati nel senso più profondo e cronico dai genitori e che conduceva ai vari aspetti dell'hardcore, davvero l'unico fenomeno rock ad essere interamente dominato dai suoi protagonisti. Questi ragazzi infatti non solo erano gli autori, i produttori e gli esecutori della musica che suonavano ma, oltre ad esserne anche i fruitori, tanto che il pubblico o il destinatario musicale finisce nell'hardcore per coincidere con l'autore della musica, erano loro che organizzavano concerti e gestivano locali, inventavano danze e modi di vestire, fondavano riviste e soprattutto piccole etichette discografiche indipendenti.
La lotta al sessismo condotta dall'anarchia hardcore, portava almeno in linea di principio le ragazze ad essere protagoniste del movimento. Nei fatti, si attestano gruppi femminili e una ragguardevole presenza femminile in gruppi misti; ma, se anche questa presenza femminile è la più consistente che la storia della musica rock ricordi, la stragrande maggioranza degli autori hardcore sono comunque maschi. Va da sé, che l'unico movimento rock progettato da sole donne, quello delle "riot grrrl", quando sorgerà ad inizio degli anni Novanta sarà possibile e dovrà essere inteso, nelle forme e nei contenuti, come una eminente propaggine o derivazione hardcore.
Se i kids, volutamente ignoranti della musica rock del passato, con cui non si identificavano, e per questo puri figli della new wave, immisero nel rock i contenuti più impegnativi che esso abbia mai avuto, anche in virtù dell'età dovevano pensare in modo non secondario al divertimento. Il mondo hardcore quindi, e per prima la velocità irrefrenabile della musica hardcore, era anche un mondo di divertimento. Ma era un divertimento come può essere divertimento una catarsi intesa come esorcizzazione pubblica dei paralizzanti pensieri privati.
Con tanto cinismo quanta consapevolezza dei propri limiti, ma anche con una profondità di ragionamento che denota la coscienza di sapere immutabile un certo stato di cose, il "kid" hardcore veniva invitato dalle fanzine ad adottare questo atteggiamento nei confronti di genitori e società: "Tell them you're angry, then go home and watch Tv". Questa è la prova provata del fatto che l'hardcore sia diagnosi e insieme sintomo di quel male - la società contemporanea per un verso e la natura umana per l'altro - di cui si fa terapeuta.
Le testimonianze dell'epoca, esterne al mondo hardcore, parlano, per qualificare il seguace hardcore tipo, di "un biondo ossigenato di sedici anni che vive solo in un hotel di periferia; che è pagato dal Governo per stare lontano dai guai e che affitta uno studio prove col suo assegno mensile; che abbandona il suo lavoro o il suo studio per mettere su una band di ragazzini foruncolosi".
Il pubblico e lo show
Gli autori hardcore, per motivi d'età, di dischi venduti e di ideologia non erano delle rockstar. Si mescolavano anzi, nella vita quotidiana come durante lo show, con i coetanei che facevano parte delle varie comunità hardcore anche se non suonavano strumenti. Gli autori anzi andrebbero quasi considerati come i portavoce della comunità hardcore che in essi si identificava e che durante lo show celebrava i propri valori. L'hardcore toglie la separazione tra musicista e pubblico e quello a cui si assiste, o meglio si partecipa, non è un "concert" ma uno "show".
Nello show si assiste ad un rituale contraddittorio come i contenuti che si vogliono esprimere e che si prestano a venire fraintesi. Da un lato difatti v'è la solidarietà della comunità hardcore con i valori di pace, tolleranza e vita, dall'altro v'è un modo di esprimere questi valori antifrastico ossia che passa attraverso rappresentazioni ed atti violenti, bestiali e autodistruttivi come i disvalori che si combattono.
La musica durante lo show è un rumore assordante e inferocito; la danza hardcore è, come quella del punk, il "pogo", un darsi spinte e spallate a vicenda in modo più o meno violento e scomposto; a questa si unisce lo "stage-diving", la pratica di salire sul palco e gettarsi sul pubblico sottostante. Inoltre l'autore della performance - ma sia chiaro che non è una regola - sputa, vomita, urina, si mutila, lancia oggetti, distrugge strumenti, urla incessantemente: e lo fa non perché sia favorevole a tali comportamenti ma perché rappresentandoli durante il concerto li esorcizza per negarli nella vita vissuta. La performance hardcore insomma è nichilista perché rappresenta uno stato di cose, storico sociale ed esistenziale, nichilista ma tale rappresentazione non vale come adesione bensì come contestazione e quindi come oltrepassamento del nichilismo. Sputi, vomito e urla vengono forniti dal performer suo malgrado, perché è costretto da uno stato di cose perverso. Ciò poi non significa che occasionalmente o nei fatti non vi sia un compiacimento in simili atteggiamenti da ricondurre peraltro alla immatura età dei membri della comunità hardcore.
Contrastante è anche il rapporto con la droga, l'alcol e il sesso. Da una parte l'hardcore condanna i primi due e richiede di vivere il terzo solo come amore; dall'altra in certe sue dinamiche cede alla droga e all'alcol ed al sesso fine a se stesso come per rinfacciare al mondo il suo stato perverso. In ogni caso le tre componenti, dal rock n' roll prima e dal rock poi ampiamente e banalmente caldeggiate, vengono in linea di principio negate e, quando praticate, praticate con una coscienza esistenziale sconosciuta alla musica popolare precedente.
Gli show avvenivano, solitamente il sabato sera, in piccoli locali senza separazione tra musicisti e pubblico e alla presenza di sole cento o duecento persone - ma anche di molte meno: l'hardcore è quanto di più lontano dalla concezione dei grandi raduni rock dove masse anonime passivamente sostengono i propri miti. Esso anzi critica il rock anche per questo suo modo d'essere che significa essere solidali al disumano sistema mercificato.
Allo show poi non partecipava una sola band, ma generalmente tre, che suonavano, in considerazione anche della brevità dei brani e della foga dell'esecuzione, circa mezz'ora l'una. Tra i club passati alla storia ricordiamo a Los Angeles il "Masque" ed il "Whiskey"; a San Francisco il "Mabuhay Gardens"; ma ogni cittadina americana aveva il suo club storico.
Molte esibizioni venivano interrotte per l'intervento della polizia.
Le riviste
Le riviste, dette "fanzines", hanno svolto un ruolo fondamentale nell'elaborazione del rock hardcore. Se esse pilotavano forme, contenuti e costumi di questa musica, erano, perlopiù e a scanso di equivoci, rette da ragazzi che facevano la medesima vita e condividevano i medesimi ideali rispetto a chi suonava. Come in una comunità, chi si occupa di una attività e chi di un'altra. Ogni città, ogni villaggio americano come aveva il proprio locale hardcore così aveva la propria, amatoriale rivista - spesso concepita, stampata (si trattava di semplici fotocopie) e diffusa negli ambienti scolastici. E come gruppi e locali nascevano e morivano anche in pochi mesi, così facevano la maggior parte delle fanzine.
Poche, ma oltremodo significative, le testate con tirature da vere e proprie riviste professionali: a New York c'era la madre di tutte le fanzines, la rivista "Punk", che a metà anni Settanta lanciò l'omonimo fenomeno. Propriamente, e per ovvii motivi, questa però non è da considerare una fanzine hardcore; come punti di riferimento in tal senso vanno invece prese le tre leggendarie fanzine californiane sorte ad inizio anni Ottanta: "Maximum Rock n' Roll", "Flipside" e "Slash"; con l'aggiunta di "Profane Existence", da Minneapolis.
Le etichette indipendenti
Con l'hardcore, di fatto, nacquero anche le etichette indipendenti. Era quasi una prassi che un gruppo, una volta formatosi, pubblicasse a proprie spese il singolo o l'album d'esordio e, autoproducendosi e autopublicandosi, desse anche un nome ad una presunta etichetta discografica: la propria. Alcune di queste etichette indipendenti, ben avviate fin dall'inizio, sono riuscite a sopravvivere e oggigiorno, dopo oltre vent'anni, sono in certi casi diventate quasi delle major. Ricordiamo la SST, l'Epitaph (entrambe di Los Angeles), l'Alternative Tentacles (di San Francisco), la Touch and Go (di Chicago), la Dischord (di Washington), la Twin/Tone (di Minneapolis) e la Taang (di Boston), tutte fondate tra il 1977 e il 1981 e destinate a rapppresentare le maggiori etichette indipendenti americane della storia.
Larga diffusione avevano le "compilation"; solitamente prodotte e diffuse dalle fanzine, incarnavano appieno lo spirito hardcore comunitario, impegnato e autonomo.
L'abbigliamento
Contrariamente al punk, l'hardcore non ha un proprio costume; i ragazzi hardcore portavano, con particolari più o meno stravaganti, i vestiti di tutti i giorni: pantaloni, camicia e scarpe - e neanche obbligatoriamente jeans, maglietta e trainers. Si limitavano, per così dire, a infierire su questi vestiti che si trovavano indosso sdrucendoli, strappandoli, mettendoli sino a lacerarli. Ciò valeva come uno specchio di una vita che era interna e non esterna ad una società o situazione pur contestata e disapprovata. Quest'abbigliamento letteralmente casual non impediva poi che dilagassero spille e capelli colorati alla moda punk; che fosse corrente l'uso di portare fissa la maglietta della band preferita; che si personalizzassero i propri vestiti con scritte e strappi. Quello che conta è comprendere come non vi fossero regole o dettati e che per far parte della comunità hardcore non fosse necessario, neanche a livello di abbigliamento, conformarsi come i punk nella comunità punk o i metallari in quella metal o, prima, i "figli dei fiori" nella comunità psichedelica.
L'abbigliamento, o per meglio dire il look, oltre che dall'estro individuale, dipendeva poi in una qualche percentuale dalle peculiarità delle varie zone e contesti: a Washington, per esempio, ci si rasava i capelli e si calzavano anfibi; fra gli "skateboarders" (l'accoppiata hardcore/skateboard era diffusissima) si portavano pantaloni corti e scarpe da ginnastica. Ciò che contava era la povertà dell'abbigliamento: non soltanto niente marche ma preferibilmente panni sciupati. È solo con l'hardcore che in modo massiccio diventa corrente l'uso - anche da parte di benestanti - di panni strappati e scarpe sfondate del tutto simili a quelli dei poveri di ogni epoca. Il rock'n'roll negli anni Cinquanta aveva i suoi vari lustrini e anche la new wave (con varie cospicue eccezioni) non si era troppo distaccata da questa tradizione. Con l'hardcore l'abbigliamento non ha più valore ed è anche grazie ad esso - riecheggiato pure in questo dal grunge - se oggi si può girare in strada con pantaloni strappati o coi capelli spettinati senza perciò venire tacciati di povertà o sporcizia. Quella di non giudicare le persone dal loro aspetto esteriore è forse l'unica massima della cultura hardcore ad aver avuto un qualche riscontro sociale effettivo.
Il contesto storico-sociale
A solo titolo di cronaca possiamo qui rammentare come in America il passaggio dagli anni Settanta agli anni Ottanta fosse caratterizzato, fra l'altro e limitatamente ai condizionamenti più diretti per ciò che concerne la vita sociale ed esistenziale dei kids d'allora, da ritrovati tecnici come il videoregistratore, l'walkman ed i videogiochi; da flagelli come l'aids; dalla crescita della delinquenza, dell'inquinamento e della pornografia; dalla "guerra fredda".
In un simile contesto nasceva poi - era il primo agosto 1981 - Mtv e dilagavano alla televisione serial e talk-show: tutte cose che contribuivano a creare quella società massificata invisa all'hardcore.
Tre nomi incarnarono storicamente i tre ideali combattuti dall'hardcore: Ronald Reagan, Giovanni Paolo II e John Lennon (morto proprio nel 1980). Praticamente per tutta la storia dell'hardcore questi tre nomi hanno rappresentato i tre nemici mortali in quanto rispettivamente massimi rappresentanti dello Stato, della Chiesa e dello star-system; ossia dei settori più degeneri e nefasti di quella società massificata (pop) che è, per l'hardcore, il male del secolo, se non la fine dell'umanità. (Fra le altre pop-star invise in modo connaturato all'hardcore, questo figlio ribelle del pop che critica il pop pur dovendo starvi all'interno, vi sono Bob Dylan e i Led Zeppelin).
La società, il pop, reagiva al fenomeno hardcore o condannandolo o isolandolo o riducendolo, dove se ne intravedevano i profitti, a moda. La componente autodistruttiva e violenta dell'hardcore veniva portata avanti dalla cattiva e superficiale rappresentazione che ne fornivano televisioni e giornali: nei talk show di metà anni Ottanta il fenomeno hardcore diventa un argomento forte e nei serial televisivi il tipo hardcore un personaggio immancabile. Nei talk show si parla di "curare dalla malattia o dalla pazzia hardcore" con soldi e psicologi. Nei film il rock hardcore è considerato causa diretta di sadomasochismo, suicidi, omicidi, stupri, tossicodipendenza - quando era proprio Hollywood a rappresentare la patria di tutto questo.
Tra l'84 e l'87 soprattutto si cercò di fare dell'hardcore una parodia di se stesso. La causa di ciò non stava tutta ovviamente nella distorta visione popolare: i ragazzi hardcore, per primo perché ragazzi, con i loro atteggiamenti spesso ingiustificati e fine a se stessi, con il loro voler reagire al disumano shock della società moderna con uno shock musicale ed esistenziale altrettanto disumano e nichilista - la negazione della negazione - non facevano che giustificare le posizioni degli "adulti" o dei "genitori"; i quali ad ogni buon conto non avevano solo la colpa di averlo creato loro il mondo hardcore ma anche avevano la colpa di non aver aiutato i figli a comprendere il proprio mondo e di non aver compreso loro stessi perché i figli chiamassero il mondo "hardcore" e lo vivessero da hardcore.
Il peggior danno arrecato dai media alla società hardcore fu quello di accomunare hardcore e "skinhead". Gli skinhead (le "teste rasate" neo-fasciste) c'erano prima e ci sono stati dopo l'hardcore e se è vero che molti skinhead furono hardcore è vero anche che pochissimi hardcore furono skinhead. Furono gli skinhead ad appropriarsi del linguaggio hardcore, non l'hardcore (antirazzista) a ricercare il razzismo. A Washington si rasavano i capelli e calzavano anfibi proprio gli appartenenti al sottomovimento hardcore denominato "straight-edge" e dichiaratamente caratterizzato dalla filantropia, solidarietà e tolleranza dell'hardcore più evoluto e cosciente.
Il contesto geografico
L'hardcore fu un fenomeno di dimensioni nazionali e al contempo locali. Diffuso in modo capillare per tutti gli Stati Uniti, aveva per questo medesimo motivo una diffusione estremamente frammentaria; nel senso che gruppi, club e fanzine restavano circoscritti perlopiù al loro luogo di origine. Questo per via del fatto che con la logica del "fare tutto da sé" è impossibile, nonché non voluto, estendere notevolmente il proprio raggio d'azione. Nel pullulare di gruppi, club e fanzine solo pochi di questi avevano una risonanza che andava oltre la città o la regione. I tour delle band hardcore (organizzati anch'essi da ragazzi) erano o di cortissimo raggio o, ad ogni modo, talmente improvvisati da risultare sfinenti per chi doveva compierli.
È importante notare che uno dei concetti fondamentali del mondo hardcore fu quello di "scene". La "scene" sarebbe cioè la scena hardcore locale; la comunità hardcore presente nei vari stati o nelle varie città o anche nei vari quartieri. Per cui si parla di una "scene" texana, di una di San Francisco e così via: a seconda di quanto siano circoscrivibili i caratteri comuni delle varie realtà.
L'hardcore nasce come musica e riflessione metropolitana; poi, quando si diffonde, e nel mentre si diffonde ancora il progresso/regresso dell'uomo alienato, si rivela un linguaggio adatto anche all'espressione delle solitudini delle campagne. E ciò perché esso, per definizione, non ha valenze solo storico-sociali - e dunque particolari - ma anche e forse soprattutto esistenziali - e dunque universali.
La periodizzazione
L'epoca 1978-1991, per quanto riguarda la storia dell'hardcore, può essere divisa in vari modi. E non sarebbe per nulla insensato neanche insistere sulla continuità formale e contenutistica dell'hardcore e quindi intendere la sua storia in un solo spezzone. Tuttavia, come dovrebbe risultare dalla "Parte seconda", è efficace e giustificato distinguere tre fasi hardcore principali.
La prima fase, che va dal 1978 al 1983 e che è a sua volta divisibile nei periodi 1978-1980 e 1980-1983, vede la nascita del genere (anni 1978-1980) e la sua maturazione per certi aspetti definitiva (anni 1980-1983). La seconda fase - dal 1983 - è interessata da una rifondazione del genere con l'esasperazione delle sue forme ed il sintomatico passaggio del suo centro di gravità da Los Angeles alle varie città e anche campagne d'America. Si diparte da questa seconda fase una sorta di età di mezzo (anni 1984-1987) dove trovano spazio i grandi gruppi post-hardcore. La terza fase infine (anni 1987-1991) vede una specie di revival hardcore con il ritorno all'hardcore losangeliano delle origini, benché debitamente potenziato e complicato.
3. Il Post-hardcore
Mentre per la categoria di hardcore abbiamo adottato un criterio esclusivo, per quella di "post-hardcore" faremo l'opposto adottando un criterio inclusivo. Infatti categorie redatte a posteriori quali le nostre, trovano la loro ragion d'essere non solo nell'utilità generale che hanno ma soprattutto nella loro funzione di mezzi a partire dai quali poter elaborare concetti e significati. Se nel primo caso fondamentale era delineare l'ortodossia di un genere a partire da campioni di purezza formale e contenutistica, adesso fondamentale è trovare quei generi e sottogeneri della musica rock che in alcuni dei suoi rappresentanti sono stati significativamente influenzati dall'hardcore.
Alla categoria post-hardcore verranno quindi conferite di fatto due valenze. La prima, con valore sia temporale che ideale, farà riferimento a quei gruppi e album che, pur sulla linea hardcore tuttavia, per eccesso o difetto, non ne rispettano pienamente i dettami. È questo il post-hardcore vero e proprio ma anche quello meno interessante perché immediatamente riconducibile all'hardcore, tanto che buona parte della critica, del pubblico e degli stessi musicisti scambia tranquillamente l'uno con l'altro. In una confusione da noi evitata, è bene ricordarlo, solo per motivi di scelte convenzionali pur se non arbitrarie perché aventi un importante riscontro effettivo allorché si svolge il lavoro di critica o di ascolto.
La seconda valenza del termine post-hardcore è quella dalle ripercussioni più significative poiché, andando fino in fondo con l'analisi, ci accorgiamo che gran parte del rock statunitense degli anni Ottanta e Novanta è inspiegabile senza l'esperienza hardcore. Non ci sarà allora da stupirsi se, per motivi assai diversi, rientreranno in questa categoria non solo gruppi appartenenti a generi tanto distanti dall'hardcore quanto il rock-folk o il metal, ma interi generi rock come il grunge o il cosiddetto indie-rock.
È infine opportuno richiamare ancora la categoria di nichilismo per comprendere meglio le differenze tra hardcore e post-hardcore. Abbiamo visto che l'hardcore si opponeva al nichilismo della società contemporanea e in generale ad ogni nichilismo, cioè ad ogni svalutazione - voluta o non voluta - della vita e dell'essere. Tale opposizione avveniva crudamente - come negazione della negazione. Attraversato il nichilismo, l'hardcore era poi in grado di proporre valori positivi. Se però l'hardcore, come movimento, ha avuto la sua fine, o per meglio dire tante fini, ciò significa che il suo tentativo di superare il nichilismo o non è riuscito o non si è mantenuto a lungo. Il post-hardcore concettualmente nasce quindi in una situazione di stallo: dall'opposizione tra nichilismo e anti-nichilismo è derivata una sorta di risultante zero. Cosa fare? La risposta del post-hardcore di fatto è quella di vivere entro questo zero: ossia senza la negatività del nichilismo - condannata - ma anche senza la positività dell'hardcore - rivelatasi impraticabile.
Se l'hardcore è distante dal punk perché segna il passaggio dal concepire la rivoluzione socialmente al concepirla esistenzialmente o individualmente, il post-hardcore è distantissimo dal punk perché non contempla più rivoluzioni ad alcun livello.
Parte Seconda. Storia e geografia del Rock Hardcore
1. Los Angeles e la California del Sud
Los Angeles è la città dove nasce e muore l'hardcore. L'hardcore è anzitutto rock losangeliano; e non solo perché qui si trovano il maggior numero di band hardcore e le etichette indipendenti più importanti: ma anche perché il contesto sociale di questa metropoli rilascia quella forma di tipo umano che costituisce il referente ideale per la requisitoria hardcore, essendo Los Angeles - tanto più a fine anni Settanta - il luogo al mondo dove le degenerazioni e le contraddizioni della nostra civiltà risultano più madornali ed eclatanti.
Non a caso, a varie ondate, si assistette ad un vero e proprio esodo di molti gruppi hardcore dagli altri Stati alla California e a Los Angeles in particolare.
Proto-hardcore
A partire dal 1976 sono riconducibili all'alveo proto-hardcore losangeliano nove gruppi principali: Zeros, Dils, Weirdos, Simpletones, Controllers, Rotters, X, Legal Weapon.
Gli Zeros di Javier Escovedo furono una tipica formazione proto-hardcore, significativa più per quello che rappresentò che per la musica eseguita: i singoli del 1977, "Don't Push Me Around/Wimp"," "e del 1978, "Wild Weekend/Beat Your Heart Out"," "non vanno infatti oltre un fiacco garage-punk melodico scopiazzato dai Ramones. Interessanti invece le dichiarazioni di Escovedo. I musicisti favoriti della sua cerchia, per non dire generazione, erano New York Dolls, Stooges, Velvet Underground e Lou Reed, David Bowie, Kiss, T-Rex; mentre venivano definiti punk addirittura Seeds e Animals.
Gli Zeros suonarono con un gran numero di formazioni note e meno note, dai Germs, agli Wipers, ai Clash. I locali erano per lo più i canonici: Masque e Whisky a Los Angeles, Mabuhay Gardens a San Francisco, CBGB'S e Max's Kansas City a New York. Come si vede, anche i palchi più prestigiosi dell'epoca venivano aperti a complessi di secondo piano come gli Zeros. Circa l'età dei membri del gruppo basti dire che solo Escovedo poteva guidare un'auto, con la quale, in un sol giorno, gli Zeros si ritrovavano a fare anche centinaia di miglia, per andare ad uno spettacolo e per tornare in tempo per recarsi a scuola l'indomani. Ai loro concerti, nonostante la blandizia della musica, il pubblico si dava alla "Pogo dance"; segno che all'epoca nemmeno le innocue canzoncine degli Zeros erano esperite come prive di combattività.
Anche i Dils dei fratelli Kinman furono un modello per eccellenza di gruppo proto-hardcore; tra il punk inglese più melodico e ricordi di metà anni Sessanta, dal merseybeat inglese ai Byrds. Del 1977 il loro classico singolo "198 Seconds Of The Dils", con "Class War "e "Mr. Big": composizioni da un minuto e mezzo granitiche, rumorose e immediate, tutte ritornello e concitazione, che notevolmente incideranno nella nascita dell'hardcore, di cui potrebbero anzi considerarsi come i primi esempi; sia nelle forme che nei temi - a sostegno della classe lavoratrice e dei più deboli. Ma nell'insieme l'operato dei Dils è troppo gracile, inconcludente e incentrato sul divertimento per venire ricondotto a pieno titolo all'hardcore: la comunque fondamentale "Class War" suona come una felice, forse casuale, eccezione.
I Last dei tre fratelli Nolte, fra il 1976 ed il 1985, furono una ottima band di power-pop e di revival anni Sessanta - folk, psichedelia, surf. Dell'hardcore non condivisero nulla, se non certi atteggiamenti esteriori e qualche ritmica particolarmente scandita. Il loro classico è l'album "L.A. Explosion!", del 1979.
Gli Weirdos invece proposero in una serie di singoli ed ep, tra il '77 e l'80, uno sguaiato punk-rock volutamente cinico e disimpegnato che, con maestria e proprietà di mezzi, ridicolizzava tutto, a partire dallo stesso punk-rock. L'eredità di "We Got The Neutron Bomb", "Destroy All Music", "Skateboards to Hell", che a sua volta faceva tesoro della tradizione americana per condurla alla cacofonia, è più cospicua di quanto è stato pensato.
A un sol passo dall'hardcore per le ritmiche, la semplicità del suono e i testi equivoci e provocatori, i Simpletones è più opportuno, per le voci bianche stile Beach Boys ed una certa blandizia generale, inserirli, un po' come i Ramones ai quali sono prossimi, nel proto-hardcore. Il loro materiale inciso tra il '78 ed il '79 è raccolto in "I Have A Date": "I Like Drugs", "Nasty Nazi", "God Save the Pope", "I Wanna Be Dead", sono composizioni gracili e frenetiche che dicono cose terribili in modo gioviale e serafico. L'effetto è di Beach Boys spietatamente velocizzati che cantano testi da Sex Pistols.
Formazioni come i Simpletones, sebbene non producessero materiale memorabile né avessero troppa coscienza del loro operato, sono di un'importanza decisiva per lo stabilire le coordinate del genere hardcore. Si trovarono proprio allo spartiacque tra il vecchio ed il nuovo mondo, con elementi dell'uno e dell'altro che se lasciano indecisa la loro posizione rendono questa al contempo centrale ed esemplificativa. I ritornelli ai limiti del revival tra il malsano e la spiaggia di "Tiger Beat Twist", "I Have a Date" e "California", ma anche gli sperimentalismi smaliziati di "Disco Dave" e "Crisco Disco", si collocano alla base dell'hardcore melodico californiano, anche di quello degli anni Novanta, che si costituirà quadruplicandone il ritmo e rendendone strazianti i motivetti.
Completano il repertorio dei Simpletones "T.V. Love", "Don't Brother Me", "Dead Meat", "Kirsty Q", "Rock 'n' Roll" e le più dure "Dee Jwah "e "Love Is Wrong": brani diversi nella loro ugualità e meritevoli tutti di citazione e ricordo per essere, per un motivo o per l'altro, fondamentali.
Pure i Controllers sono un caso assai esemplificativo. Contesi per un verso tra la tradizione americana, sia country che surf, ed il nuovo verbo inglese del punk, - come dimostra "Controllers",la raccolta dei loro inediti uscita nel 2000 - per altro verso precorsero varie sfumature di quello che sarà l'hardcore futuro, anche del più recente, e col brano "Slow Boy", dal singolo omonimo del 1979, giunsero ritmicamente ad ottenere un risultato già considerabile hardcore.
Infine, le loro pose di adolescenti autolesionisti e spregiudicati, il loro avere un ragazzo di colore nella formazione di contro ad ogni pregiudizio razzista e soprattutto di contro ad una società considerata tale, ebbero non poca eco tra i protagonisti del nascente hardcore.
I Rotters furono un sincero e notevole complesso di punk-rock; lento come il punk inglese rispetto all'hardcore e spregiudicato come l'hardcore americano rispetto al punk ortodosso; rasentarono il noise. Morbosi e cupi, i loro singoli del '78 e del '79 trasfiguravano aspetti quotidiani della vita d'allora ma si lanciavano anche in provocazioni desolate come "I Wanna Be The Feuhrer".
I Rotters scaldarono appropriatamente l'ambiente per le compagini hardcore che di lì a poco sarebbero venute ed incarnarono, durante i concerti, quella che sarà in parte l'estetica standard del genere: jeans strappati, magliette bisunte, camice sbottonate, scarpe sfondate su corpi non ancora sviluppati. Inoltre dettero il là ad un'interpretazione marcia, sulfurea, anti-estetica, non trash comunque ma sempre avvincente, del rock; con capacità in fase di esecuzione e composizione.
Rockers dell'era new wave, gli X, quartetto a due voci di John Doe ed Exene Cervenka, coniarono un distintivo suono tanto memore del rock n' roll anni Cinquanta quanto radicato nell'epoca della depressione e del degrado giovanili. "Los Angeles", l'album d'esordio del 1980, formalizza questo suono, ma bisogna attendere il successivo "Wild Gift" (1981) perché alla forma si aggiunga l'ispirazione.
Nascono così "We're Desperate" e "White Girl", sentimentali e fataliste nenie dello sconforto, dove il brutto dei contenuti è sempre redento dal bello della forma, come la voce maschile alternata alla femminile in un lancinante effetto di giovinezza e speranza che trapassano. "Universal Corner "è poi lo standard del suono X.
"Under The Big Black Sun" (1982) è ancora più ispirato e annovera la travolgente "Because I Do" e la tragica "Real Child Of Hell", circondate da una costellazione di episodi melodici ad alto tasso di drammaticità ed inventiva. Seguono altri quattro album (1983, 1985, 1987, 1993).
In parte accostabili agli X, i Legal Weapon avevano un patetismo anche più viscerale grazie a un suono cupo e al canto scorato di Kat Arthur. Da annoverare fra le esperienze più caratteristiche e sincere della new wave, pubblicarono due album nel 1982 entrambi colmi d'ispirazione: "Death Of Innocence" e "Your Weapon". Nel secondo si trova la power-ballad "Caught In The Reigh", il capolavoro che gli X non sarebbero stati capaci non tanto di scrivere quanto di interpretare e che da solo vale come testimonio di tutta la stagione new wave, con la sua gioventù che dopo aver interiorizzato la disperazione e la morte le espelleva in bellezza e vita.
Hardcore
Anche solo limitandosi alle principali, le formazioni hardcore di Los Angeles sono qualche centinaio. Dovremmo perciò fare una scelta valevole in modo esemplificativo.
D'obbligo iniziare dai Germs. I Germs hanno avuto la funzione storica di portare in America il punk dei londinesi Sex Pistols, il quale così potrà trasformarsi nell'hardcore californiano, genere che solo in questo frangente ci si rese conto coincidere in buona parte con la musica già inventata a metà anni Settanta dai newyorkesi Ramones, musica tuttavia riproposta ora in chiave tragica ed heavy e non più comica e pop.
I Germs non nacquero dal nulla: tuttavia furono i primi a concretizzare in un album programmatico, pur con tutte le sue contraddizioni, il genere hardcore; per questo vanno considerati il gruppo più importante di tutto l'hardcore - a prescindere dal fatto che ne siano o meno il migliore - e uno dei più importanti del rock tutto, se tali sono i gruppi che aprono un sottogenere e arricchiscono e consentono la sopravvivenza così al genere rock.
I Ramones sono i padri dei Sex Pistols ma non del punk; i Sex Pistols sono i padri dei Germs ma non dell'hardcore. Le innovazioni dei Ramones (oltre al look e ai testi) furono due: canzoni brevissime (un minuto) e chitarre rifuggenti ogni assolo, confinate in un accompagnamento violento e rumoroso. I Sex Pistols continuarono nel sottotono della sezione ritmica, ma rispetto ai Ramones aggiunsero, con Johnny Rotten, la voce sistematicamente più estrema sino ad allora (è la gola di Rotten a fare le canzoni dei Sex Pistols). Inoltre i Sex Pistols, con "Anarchy In The U.K.", dettero la canzone socialmente più importante della musica rock: per la prima volta dopo molte migliaia di anni l'uomo, il popolo, il pop, il punk, reclama la propria volontà autodistruttiva. Prima del '77 il fenomeno era limitato a singoli individui o cerchie comunque ristrette; dopo il '77 diverrà moda; negli anni Ottanta la natura da cui partire.
I Germs aggiunsero alla violenza della chitarra Ramones e a quella della voce di Rotten la prima sezione ritmica davvero sistematicamente violenta e potente della storia del rock. In termini di potenza, se i Ramones valgono 1 (la chitarra), come i Sex Pistols (la voce), i Germs - come l'hardcore: e per questo ne sono i padri - 4 (voce, chitarra, basso, batteria). L'hardcore è un fenomeno opposto al punk quanto l'esterno all'interno; riguarda più l'interiorità che la forma, la riflessione che il fisico, più la natura che la storia. Il punk è anarchico, l'hardcore anarca. Il punk giunge al nichilismo, l'hardcore lo dà per presupposto. Il punk giunge al suicidio; l'hardcore parte dal post-mortem, dall'impotenza innata. Ciò nel 1977 era ancora in nuce, testimonianza ne è la somma di contraddizioni e incertezze che caratterizza il fenomeno Germs; contraddizioni e incertezze che tuttavia non impediranno loro di istituzionalizzare per primi il genere hardcore.
Jan Paul Beahm (poi Darby Crash) e George Ruthen (poi Pat Smear) erano (come tutti gli hardcorer a venire) due collegiali (classe 1958) figli della media borghesia (non come i punk inglesi, figli della classe operaia, quella stessa soggetto e referente della loro musica).
Crash, in qualsiasi epoca fosse nato, qualsiasi cosa avesse passato, sarebbe stato il medesimo: il suo problema, il suo punto, era connaturato alla sua personalità, era la personalità stessa: al di là del tempo e di ogni altro condizionamento, egli era una forza della natura. Soddisfece tale forza con l'omosessualità, l'alcolismo e l'eroinomania. Egli era tanto più fragile e delicato quanto più irriducibilmente e patologicamente avverso all'adeguarsi non solo a qualsiasi stato precostituito, ma a qualsiasi stato in senso assoluto. Perennemente insoddisfatto, in disagio, sulle spine. Ciò lo conduceva, più che alla nevrosi, alla depressione e a un fatale sgomento. Si trattava, per prolungare o finalizzare in qualche sparuto modo l'esistenza, di trovare una forma espressiva adeguata a tale retaggio; la sua fortuna, la sua condanna a morte, fu di trovare tale forma espressiva diciottenne, ai primi del '77, in uno show televisivo: davano i Sex Pistols.
Pat Smear accompagnò con una chitarra scordata e sfinita e analfabeta la voce di Crash, prototipo di ogni voce hardcore, cioè (all'interno del non-cantare) meno cantilenante di quella punk di Rotten, meno discorsiva, e più sgolata, più profonda, meno iconoclasta, autodistruttiva piuttosto. Una giovane ragazza bionda, tra il vissuto e l'ostentato, all'inizio vestita come una punkette londinese, ben presto antesignana della moda dark, Lorna Doom, suonando il basso nei Germs, rivoluzionerà su larga scala l'uso dello strumento; il suo basso, veloce potente rimbombante, molto più che semplice strumento ritmico, bensì strumento atmosferico, costituirà il punto di riferimento tanto per l'hardcore (velocità), tanto per il dark/new-wave (atmosfera depressa), tanto per il metal (potenza). Don Bolles, alla batteria (della quale esasperò l'uso del charleston e dei piatti in genere), compì il definitivo passaggio dal rock n' roll revival dei New York Dolls, dal punk (molto più blando) dei Sex Pistols, all'hardcore. C'erano già arrivati i Ramones, per quanto riguardava la velocità: mancava loro però potenza e sistematicità. Con questi ritrovati tecnici i Germs, che dovevano essere l'ultima punk band all'inglese, divennero la prima band hardcore americana. Durarono meno di tre anni, dal 1977 al 1980: allora esisteva appena il punk, dopo di loro vi saranno hardcore, dark e grunge.
Anche esteriormente sembra che i Germs abbiano profetizzato tali manifestazioni. Non si trova una fotografia di Crash in cui egli sia riconoscibile. Lo sguardo, almeno quello - spaurito, assente, rassegnato - rimane; per il resto, e non si tratta solo di una questione di look ma anche di simboli espressivi, si passa dal moikano-punk, al dark in tutto e per tutto, all'ostentato casual dell'hardcore, a vari tocchi glam, al nazi-fascista, al jeans strappato grunge; dal biondo al moro, dal grasso al magro. In questo caso, non è civetteria menzionare tali componenti ma un dovere necessario per comprendere appieno tutto il profondo spirito che aleggia attorno a ogni brano dei Germs.
Crash era insoddisfatto di ogni abito, come di ogni canzone, di ogni uomo come di ogni donna (e non solo a livello sessuale), di ogni droga come di se stesso, dell'Inghilterra (dove si recò nel 1980) come dell'America. Se non si fosse suicidato il 7 dicembre del 1980 con una ingente dose di eroina, i Germs per tutte queste forze divergenti all'interno della sua personalità sarebbero comunque finiti.
Dopo il singolo del luglio 1977 "Forming"/"Sex Boy" e l'Ep del 1978 "Lexicon Devil", nell'ottobre del 1979 uscì l'album"(GI)", prodotto da Joan Jett delle Runaways. Quindici pezzi, 28 minuti (con una media dunque di meno di due minuti a pezzo); più una progressione conclusiva da 9 minuti. Due i luoghi idealmente imprescindibili dell'album: "Land of Treason", per la forma: hardcore esemplare, saturo di commozione, che procede sempre uguale e sempre diverso, senza ritornelli e per la durata di due minuti, quando potrebbe durare all'infinito; "The Other Newest One", per i contenuti: ballata affranta e spigolosa che recita "You're not the first you're not the last / Another day another crash". "What We Do Is Secret" è la quintessenza dell'hardcore, già la sua brevità - mezzo minuto - lo dichiara. La forza della composizione sta nella sezione ritmica: corposa e veloce come non si era mai sentita. Poi la strofa e il ritornello strascicato, sempre al massimo, di Crash che fin da qui sfodera un commovente retrogusto melodico. "Manimal" dilata la formula hardcore in una composizione che sembrerebbe più estesa ma anche più tiepida fino all'urlo corale e indiano di Crash, sorta di corrispettivo del western-epico di Ennio Morricone. Gioiello di sensibilità e sentimento estetico, questo espediente vorrà dire molto per i Dead Kennedys e l'impostazione vocalica di Jello Biafra in particolare. "Our Way" è imperniato su un melodismo ossessivo e commovente; un hardcore al rallentatore dove emerge la chitarra sincopata e scordata, già grunge, di Smear: dai T.S.O.L. ai Bad Religion, quando si tratterà di fare un hardcore particolarmente ispirato dal lirismo, questo sarà il punto di partenza più sincero e pietoso. "We Must Bleed" è una sorta di precipizio deflagrante che per la possanza delle strutture, l'ossessività della batteria e del basso, potrebbe già essere speed-metal (ecco perché i Metallica sono l'opposto degli Iron Maiden...).
Il finale, con la gola di Crash che rischia di strozzarsi, è l'unica spiegazione possibile degli eccessi dei Nirvana come "Territorial Pissings". Con "Media Blitz" si passa al terreno dei Cheap Trick, che, messi a tempo hardcore, forniscono uno dei suoni più nostalgici ed emozionanti degli anni Ottanta. La conclusiva "Shut Down" "(Annihlation Man)" con i suoi 9 minuti doveva essere il polpettone più o meno psichedelico più o meno progressive di turno. Invece dai tempi di "White Light/White Heat" non si sentiva niente del genere in termini di rumore sinfonico finalizzato all'espressione.
I Germs qui portano i Velvet Underground nell'epoca punk, portano il noise nel punk. I Germs qui inventano i Sonic Youth. Più particolarmente, dalle singole dissonanze (e violenze: Crash urla e basta) di questa composizione prenderanno ispirazione i gruppi grunge più estremi: Mudhoney, Babes In Toyland - ma anche alternativi come i Melvins. L'unica composizione del tempo paragonabile a questa suite anti-suite è non a caso "Sex Bomb" dei Flipper. Il principio disumano di tutto il pezzo si trova poi sparso dal garage-industrial dei Chrome al blues-punk acido dei Birthday Party. Smear, nel non fare nessuna nota, dimostra di essere un fondamentale artefice dell'innovazione strumentale e, con gli altri strumentisti, che la solita zolfa per la quale i gruppi hardcore non saprebbero suonare vale solo per qualche frustrato e arido tecnico.
Non solo per motivi di ordine cronologico, dopo i Germs bisogna occuparsi dei Black Flag. Considerati il maggiore gruppo hardcore e presi a modello da un numero sconfinato di band hardcore e non durante tutti gli anni Ottanta, l'operato dei Black Flag è tuttavia parzialmente da ridimensionare e precisare. Formati nel 1977 dal chitarrista Greg Ginn, che con i suoi ventiquattro anni potrebbe quasi essere il padre dei kids hardcore che di lì a poco verranno, esordirono l'anno seguente con l'Ep "Nervous Breakdown". L'opera è storicamente la più importante dei Black Flag. Primo, perché inaugura la prassi di fondare etichette indipendenti per pubblicare i propri lavori: e la SST di Ginn, tuttora attiva, sarà tra le più importanti occupandosi anche di Minutemen, Meat Puppets, Descendents, Saccharine Trust, Husker Du, Dinosaur Jr, Bad Brains; secondo perché i quattro brani dell'Ep gettano effettivamente le basi per il genere. "Nervous Breakdown", "Fix Me", "I've Had It" e "Wasted", pur pagando ancora un debito alla tradizione rock n' roll, si posero come i brani più violenti, brevi e incisivi dell'epoca.
Quello che poi sarà il cantante dei Circle Jerks, Keith Morris, fin da subito inaugura lo standard della voce hardcore: tirata, sfinita e puerile. Il bassista Chuck Dukowski dispensa tutta la sua esperienza nell'aiutare il batterista Brian Migdol a tenere un ritmo il più possibile nevrastenico. Nei testi, siamo comunque ancora attorno alle tematiche che erano state, ad esempio, della scuola di Detroit.
Di due anni dopo, del 1980, quando ormai l'hardcore è già stato fondato, è l'Ep "Jealous Again", prodotto da Spot (che seguirà i Black Flag sino all'84), con Chavo Pederast alla voce e Robo alla batteria.
È poi la volta nel 1981 del significativo singolo "Louie Louie", con Dez Cadena alla voce e seconda chitarra. Qui si palesa la compresenza nei Black Flag della tradizione e dell'innovazione. La prima sta nella cover del classico di Richard Berry, la seconda nel brano "Damaged I "che con le sue dissonanze, spigolosità e rallentamenti già si pone oltre l'hardcore. Su questo pezzo si baserà, nel medesimo anno, il suono del primo album dei Black Flag, il classico "Damaged", con alla voce e quinto membro del gruppo, l'ex S.O.A. Henry Garfield, adesso Henry Rollins.
Le 15 tracce dell'album sono truci, pesanti, dissonanti, esasperate dal rauco canto di Rollins, vicine non a caso al coevo e maschio suono di Washington (da dove Rollins proveniva) e pressoché estranee a quello da collegiali californiano. Dalla sgradevolezza - sotto tutti i punti di vista - si tira fuori un'estetica del flagello e dell'abiezione: "Six Pack", "Thirsty and Miserabile", "Depression", "Room 13" sono un susseguirsi di studiati conati di vomito che rifuggono la forma-canzone e, pur ancora restando nell'alveo hardcore, si pongono a modello per tutta una serie di generi e sottogeneri a venire, dal metal al grunge all'elettronica più pesante.
All'opera non si può non riconoscere spessore, qualità e soprattutto cognizione di causa. Quello che in parte manca è la spontaneità dell'ispirazione: ciò che sembra un marasma senza freni è invece fin troppo calcolato. Lo dimostrano luoghi divenuti classici come "Gimmie Gimmie Gimmie" ma che peccano di autoreferenzialità. Ad ogni modo "Damaged" va annoverato tra gli album storicamente più significativi apparsi in ambito rock nel 1981.
Dopo tre anni di concerti, che fecero dei Black Flag il gruppo più popolare, coi Dead Kennedys, della congerie hardcore, nel 1984 vengono pubblicati ben tre album a nome Black Flag, i quali segnano numerosi cambiamenti. Da una parte si completa il passaggio al post-hardcore, dall'altra si modifica ancora la line-up, con Bill Stevenson dei Descendents alla batteria e (dal terzo album dell'84 in poi) Kira Roessler al basso.
"My War" è un'opera dura, ai limiti del metal, sostenuta nei suoi episodi migliori, come la title track e "Forever Time", dalla gola scorticata di Rollins. Si incupisce ulteriormente il suono senza abbandonare le dissonanze, i cambiamenti di ritmo, le sbavature studiate che avevano fatto la fama del gruppo. La grande varietà delle ritmiche e delle declamazioni di Rollins aprono la strada alle fortune di tutta di una serie di complessi cosiddetti alternativi come, ad esempio, i Faith No More. "My War" è capace anche di essere atmosferico, puntando sulla desolazione e l'impotenza, fatte carne nei singhiozzi di "Scream". "Family Man" è invece un lavoro d'avanguardia. Scinde i due punti di forza dei Black Flag, i salmi di Rollins e le disarmonie di Ginn, proponendo sei pezzi di sola recitazione di Rollins, quattro solo strumentali e uno di voce più musica.
Nel complesso l'operazione è giustificata, non annoia e interessa, soprattutto nelle tessiture strazianti di Ginn, espressive e fantasiose. Tutti gli ingredienti sono adesso pronti per "Slip It In", formalmente considerabile il più completo lavoro dei Black Flag dopo "Damaged". V'è una qual certa ricerca della forma-canzone nel rock n'roll della title track, vi sono esperimenti ritmici e rumoristici, alzate supersoniche come "My Ghetto". Mancano però le urla di "My War" che, evocative come erano, fanno preferire quell'album a questo.
Nel 1985 i Black Flag danno ancora tre album: "Loose Nut", "In My Head", più lo strumentale "The Process of Weeding Out" che di fatto inaugura quella che sarà la carriera di Ginn dopo i Black Flag. L'impatto sonoro, nonostante certe corposità heavy-metal, è nel complesso attutito e anche la fantasia un po' raffreddata; se si aggiunge poi che, per motivi di scelta o di stile, i Black Flag non hanno mai scritto canzoni memorabili, possiamo ritenerci di fronte a lavori assai sopra la media ma nondimeno in buona parte fine a se stessi, più interessati ad esercitarsi che a comunicare. Quanto detto vale soprattutto per "Loose Nut", perché "In My Head" mostra carattere e motivazioni, facendo parte appieno e con onore di un'epoca che vedeva protagonisti i Naked Raygun. Ogni pezzo di quest'album anzi, per la varietà delle ispirazioni e degli espedienti stilistici, dal jazz in giù, meriterebbe un'analisi a parte e va ritenuto, con "Damaged" e "My War", al vertice della produzione, del resto quasi sempre di alto spessore, dei Black Flag.
Il terzo complesso fondativo per l'hardcore losangeliano, che è in buona parte come dire per l'hardcore tutto, fu quello dei Bad Religion. All'insegna di una inusitata coincidenza tra meriti e popolarità, i Bad Religion del cantante Greg Graffin e del chitarrista Brett Gurewitz, vanno annoverati tra i maggiori gruppi hardcore, per aver, con altri, rifondato un'ultima volta il genere, aprendo la stagione fine anni Ottanta - inizio anni Novanta, e per aver precocemente dato vita all'etichetta discografica indipendente "Epitaph", che col tempo diventerà fra le tre o quattro maggiori d'America pubblicando gruppi hardcore stile Bad Religion, ossia d'hardcore oltremodo veloce e potente nonché melodico.
Tematicamente, le liriche di Graffin partono dalla solite questioni di politica sociale e giungono a mettere in musica, rivivendole moralmente, biologia antropologia e cosmologia, dei cui risultati ci si serve per un'amara eppure non nichilistica riflessione sulle sorti umane. I Bad Religion sono quindi un gruppo per lo più votato alla dimensione pubblica: non accoppiano sociale ed esistenziale, pubblico e privato, ma dato oggettivo storico e dato oggettivo naturalistico. Eccezione lo sono poi anche per aver necessitato di ben otto anni prima di raggiungere la loro vera dimensione, quando la stragrande maggioranza dei gruppi rock dice ciò che ha da dire agli esordi. Forse questo è dovuto all'alta compiutezza formale in cui consiste la vera dimensione dei Bad Religion e che non poteva essere raggiunta da quindicenni quali essi erano agli inizi, nel 1980.
Come ancora poteva accadere, nel 1981, per la pubblicazione del loro primo omonimo ep, i Bad Religion fondarono con pochi spiccioli l'"Epitaph". L'Ep, necessariamente raffazzonato, contiene il loro primo piccolo classico," Bad Religion": al di là dei motti anticlericali, musicalmente si registra un hardcore assai debitore del punk inglese e del garage-rock; il testo invece si pone subito tra i più maturi e umanamente responsabili dell'epoca: "See my body, it's nothing to get hung about/ I'm nobody except genetic runaround/ Spiritual era's gone, it ain't comin' back/ Don't you know the place you live's a piece of shit?/ Don't you know blind faith in life will conquer it?/ Don't you know responsibility is ours?".
Sul primo mediocre album, "How Could Hell Be Any Worse?", del 1982, compare un altro classico, "Fuck Armageddon ... This Is Hell", cupo, frustrato, lacerante, catartico.
Dopo l'album del 1983, "Into the Unknown", il connubio tra Graffin e Gurewitz si scioglie una prima volta. A nome Bad Religion comunque Graffin fa uscire nel 1984 l'Ep "Back to the Known", che contiene le introverse "Frogger"e "Along the Way", i primi suoi due vertici di lirismo e sentimentalismo umano.
Dopo quattro anni, i Bad Religion si riformano e danno avvio alla loro vera e propria carriera. Il primo album del nuovo regime, "Suffer", inaugura, nel 1988, la nuova e floridissima stagione dell'hardcore californiano; più in generale, accanto ai lavori degli Screaching Weasel, fa rivivere all'hardcore, dopo Germs e Bad Brains, una terza ed ultima giovinezza. Il nuovo sta nell'estrema velocità, potenza e compattezza dei brani, tuttavia privi, da un lato, di metal, e dall'altro di urla: quello di Graffin è un recitar cantando che si basa su delicati equilibri di sfumature all'interno di un complessivo tono monocorde.
Benché inauguri una scuola, la proposta dei Bad Religion, sofisticata com'è, risulterà per buona parte inimitabile: "Suffer", che la qualifica, è un album che mette l'epos nell'hardcore, è un album di epica hardcore, fatto di brani brevissimi e concentratissimi, in apparenza uguali uno all'altro, ma invero assai diversi e ciascheduno sinfonicamente elaborato. All'interno di un bastimento da una parte enciclopedico in forme e contenuti e dall'altra rigidissimo nel levigato risultato finale, emerge, non facile da scorgervi, più perché trovata che perché cercata, anche la melodia. Il successivo "No Control", del 1989, porta tali forme ai vertici di ispirazione e armonia, qualificandosi come il massimo album dei Bad Religion: "Change of Ideas"," Sanity"," Progress"," Anxiety "e "The World Won't Stop", ciascuna con una tematica e un taglio preciso, costituiscono l'incarnazione dell'ideale di un hardcore progressivo iperconcentrato. L'ambientazione post-nuclerare richiama per contrasto la preistorica, denudando così la perenne natura umana.
A missione compiuta, "Against the Grain", del 1990, non prova neanche a continuare sulla strada del precedente, oramai portata sino in fondo. Trova anzi la sua forza in innesti hard-rock e nella varietà macroscopica della proposta: "Modern Man", ultimo grande risultato dell'estetica di "No Control", "Anesthesia" e "Flat Earth Society", eretici e maliziosi arena-rock strabocchevoli di sentimento, ne danno la levatura tutt'altro che trascurabile.
Seguiranno, sino al 2004, altri nove album, con i Bad Religion, la formazione hardcore più longeva della storia e con all'attivo più pubblicazioni, alla conquista della celebrità planetaria.
Dietro i tre gruppi summenzionati vengono i Circle Jerks e i Descendents, si direbbe. In realtà Circle Jerks e Descendents, lasciando fuori dalla questione i Germs, non hanno un'importanza minore di Black Flag e Bad Religion. Anzi, furono loro a coniare, strettamente parlando, il suono tipico dell'hardcore losangeliano, volgarmente detto beach-punk e fatto di velocità e melodia.
Lasciati i Black Flag, Keith Morris formò i Circle Jerks nel 1979. Il loro esordio dell'anno seguente con l'album "Group Sex" va considerato una delle tappe fondamentali dell'hardcore, di cui all'epoca rappresentò, insieme all'opera dei Germs, la più completa definizione. Se i Germs facevano ancora canzoni e i Black Flag erano carichi di influenze del passato, i Circle Jerks spazzano via tutto, rimanendo con un suono scarnificato, secco, velocissimo ed elementare. In un quarto d'ora vengono costipati 14 brani - il che è un record - quasi indistinguibili l'uno dall'altro e sistematicamente avversi alla benché minima bellezza e melodia. Si tratta di un flagello frazionato concepito per le bolgie più concitate durante i concerti e capace di trovare il compimento della sua spinta propulsiva in lunghi testi urlati velocissimamente e portatori di contenuti articolati ma in parte irresponsabili e oltranzisti, non avendo ancora il genere hardcore preso pienamente coscienza di sé.
Il principale testo è quello del manifesto "Live Fast Die Young", il quale, contrariamente a quanto si è soliti ritenere, da una parte rappresenta un caso di ironia antifrastica per cui si afferma una cosa per significarne un'altra, dall'altra predica di vivere velocemente e di morire giovani solo nei limiti in cui ciò consente di attingere al vero succo della vita. Si tratta quindi, a ben vedere, di un inno alla vita e non all'autodistruzione. Bisogna morire giovani perché il perverso mondo eretto dagli adulti porta trentenni e quarantenni, gli uomini maturi, a vivere vite che non sono vite, vendute come sono al conformismo e all'impersonalità o usate come vittime o artefici di guerre nucleari.
Ogni pezzo comunque è un repertorio di idee e tematiche basilari per l'avvenire dell'hardcore: dalla mercificazione del sesso, per cui si è contro e non a favore del concetto di "group sex", alla conseguente impossibilità oggigiorno di veri sentimenti, alla contestazione delle mode frivole e del dominio delle grandi marche su tutto, alle ingiustizie della giustizia, alla burocrazia, e più in generale alla perversione per cui è al potere e predica il bene chi invece fa solo del male, e ciò a livello della comunità statale come di quella familiare.
Nel corso degli anni Ottanta i Circle Jerks, che pur avevano già compiuto la loro missione d'avanguardia, produrranno altri quattro album, uno migliore dell'altro. "Wild In the Streets", nel 1982, si fa apprezzare notevolmente per una grande forza propulsiva e un'instancabile vena che tuttavia non porta pressoché mai ad un brano concepito sottoforma di canzone e così memorizzabile. Ad ogni modo su quest'ulteriore capitale album, più levigato, vario e potente del primo, si baserà l'ultima stagione dell'hardcore melodico californiano di fine anni Ottanta ed inizio Novanta. "Golden Shower of Hits", dell'anno seguente, non mostra i benché minimi segni di cedimento e promuove i Circle Jerks tra i massimi gruppi hardcore di sempre: "Parade of the Horribles "trova anche un'accattivante melodia.
Inoltre il suono dei Circle Jerks è sempre più fresco e smaliziato, capace davvero di servire da esempio per tutti. "Wonderful", nel 1985, punta, per la prima volta decisamente, sull'ironia ed in questo trova un po' la sua croce e delizia. Tuttavia la voce di Morris è sempre più versatile e, quando vuole, ruggente; e la chitarra di Greg Hetson mai banale e capace delle più svariate evoluzioni. Lavoro tanto inferiore ai precedenti quanto al di sopra dello standard medio e capace di scariche energetiche come "Firebaugh "e "I&I". "VI" nel 1987 torna, e con sapienza, alle sonorità più dure: "Beat Me Senseless" è ai limiti del metal, "Casualty Vampire" spazza via ogni epigono dell'ultim'ora e mostra quale sia stato il progresso dei Circle Jerks rispetto al fondamentale quanto acerbo esordio. Nel corso dell'opera si fa ampio uso di quei riff banditi nel 1980 e si lascia affacciare melodie fatte andare di pari passo con l'accrescimento della potenza musicale.
I Descendents del batterista Bill Stevenson hanno di fatto inaugurato a inizio anni Ottanta la stagione d'oro del genere e saranno necessariamente tenuti come punto di riferimento anche da chi, a fine decade, offrirà gli ultimi esempi hardcore. I Descendents rappresentano innanzitutto i kids, questo sono e a questi si rivolgono; così le loro tematiche sono più interessate alla vita di tutti i giorni ed ai rapporti con la famiglia che alla politica in senso proprio. Anche le relazioni con le ragazze, quando vengono trattate, lo sono in modo volutamente puerile, il che non significa privo di sensibilità.
Se Stevenson componeva il materiale, il suono veloce e melodico era dato al complesso dal basso di Tony Lombardo e dalla chitarra di Frank Navetta, mentre Milo Aukerman, con la sua voce impube, è il vero protagonista e segno distintivo dei Descendents, incarnando il modello per ogni cantante hardcore melodico avvenire.
Dopo l'inconsistente singolo d'esordio del 1979, "Ride The Wild", giunge nel 1981 l'Ep "Fat", dove "My Dad Sucks "e "Mr. Bass" registrano una notevole maturazione compositiva ed esecutiva, ponendosi tra i vertici formali dell'anno corrente e mostrando in cosa consista il canone hardcore. Dell'anno dopo è l'album di riferimento del gruppo, "Milo Goes To College", che contiene i capolavori "Parents"," ""Jean Is Dead" e "Hope"; elegie meste, tirate e catartiche, sublimate melodicamente e conchiuse nel minuto e mezzo; canzoni in grado di sostenere e confortare l'abbandono di una generazione.
Dopo tre anni di assenza, che sono un'eternità per un gruppo hardcore difatti già dato per spacciato, e con Ry Cooper alla chitarra, esce nel 1985 "I Don't Want to Grow Up". Opera assai inferiore alla precedente ma capace in modo significativo di affermare l'ortodossia hardcore in un'epoca di crisi; annovera "Ace" e "My World".
L'anno dopo, "Enjoy!" vede Doug Carrion al basso e segna un ritorno ad un suono più spartano e se non meno melodico, meno levigato. Le atmosfere ispirate e trascinanti del primo album sono un lontano ricordo e si cerca di sostituirle con esperimenti talora fine a se stessi. "Days Are Blood", "Kids "e "Hurtin' Crue", sono sostenuti sì da ritmi al cardiopalma ma più che altro da un Aukerman cresciuto che adesso ringhia.
Il terzo album in tre anni, "All", del 1987, con Stephen Egerton alla chitarra e Karl Alvarez al basso, ha un suono ancora diverso; non privo di vivacità e di spunti, pur non convincendo appieno, offre comunque varie melodie e soprattutto ritmi squadrati di derivazione metal nonché interessanti inflessioni depravate. La perizia sembra aver preso il sopravvento sull'ispirazione ma una fantasia, seppur fredda e latente, è ben presente, tanto da far considerare quest'album, vario, completo ed originale, il migliore dopo quello d'esordio e capace di fare invidia a formazioni come i Faith No More.
Subito dopo i Descendents si sciolgono. Riappariranno una decade più tardi, nel 1996, con tutti i componenti originari dell'82 più Alvarez ed Egerton. "Everything Sucks", differentemente da quanto di solito accade in simili circostanze, è opera ispirata e feroce, la più vicina al classico dell'82 e capace di meravigliare, dopo tanti anni, per il dinamismo di un gruppo di cui finisce per rappresentare uno dei vertici. A distanza di otto anni segue, nel 2004, "Cool To Be You", purtroppo assai scadente e sottotono.
I Circle Jerks stanno ai Descendents come, ad un livello forse meno elevato ma non meno importante, gli Angry Samoans stanno agli Adolescents.
Gli Angry Samoans del batterista Mike Saunders e del cantante Gregg Turner, furono tra i primi gruppi hardcore di Los Angeles. Ebbero forse il difetto di non prendersi troppo sul serio, insistendo eccessivamente sulle modalità più demenziali della critica sociale e finendo per svilire le forme di canzoni che altrimenti sarebbero state per l'epoca sistematicamente all'avanguardia. Sul primo album del 1980, "Inside My Brain", prodotto da Lee Ving con l'assistenza di Spot, le influenze dichiarate di Dictators, Ramones e Damned riescono, in brani veloci e potenti come "Hot Cars "e "Inside My Brian" a passare in secondo piano e a consentire agli Angry Samoans di rappresentare il modello per tutta una serie di esperienze avvenire.
Un notevole progresso registra il loro classico "Back From Samoa" del 1982, con Jeff Dahl al basso. Quattordici pezzi da un minuto l'uno di amaro sarcasmo, che annoverano la melodica "My Old Man's a Fatso", la tagliuzzata e capace nel ritornello di fare scuola "Lights Out", l'oscena "They Saved Hitler's Cock" e soprattutto da una parte i quindici secondi ai limiti del grind-core di "You Stupid Jerk" e dall'altra la semiballata "Ballad of Jerry Curlan", trascinante e catartico capolavoro che anticipa il grunge.
Del 1987 è il nostalgico e contemplativo ep "Yesterday Started Tomorrow", con "Electrocution" e "It's Raining Today". L'anno dopo, ormai in completo campo post-hardcore, esce il vivace album "STP Not LSD", che punta soprattutto sulla melodia nel tentativo di accattivarsi le simpatie delle nuove generazioni indie.
Anche gli Adolescents, per forme e contenuti, rappresentano uno dei gruppi cardine di tutto l'hardcore. Composti dal cantante Tony Cadena, dai chitarristi Rikk e Frank Agnew, dal bassista Steve Scoto e dal batterista Casey Royer, con l'omonimo album del 1981 portarono avanti la lezione dei Germs in un clima lugubre per via delle prime manifestazioni di rock gotico proposte, tra gli altri, dai T.S.O.L. Le tredici tracce dell'album sono una più importante dell'altra. Per concisione e dispiegamento di programmi, i manifesti andranno detti essere "I Hate Children", "Self Destruct" e "No Friends", dove si dispensa un nichilismo sadomasochista e irresponsabile, con una volontà antifrastica meno evidente che in altri gruppi.
Gli Adolescents sono "adolescents", e dicono "I hate children", cioè di odiare se stessi: in teoria dovrebbe essere una denunzia contro dei genitori e una società che portano, per le loro aberrazioni educative, allo sgomento i propri figli; ma il canto oltremodo sofferto, la sezione ritmica cupa, le chitarre imbronciate potrebbero anche non richiedere tale interpretazione e far propendere per la letterale, che poi condurrebbe direttamente al suicidio. I vertici di melodia e tragicità sono "Who Is Who" e "No Way", che rigurgitano di solitudine, impotenza e fatalismo giovanili. Il numero d'avanguardia è "Amoeba", funereo e surrealista corale che alla velocità della luce rappresenta il fondo delle tenebre.
Riportiamo adesso altri tre casi esemplificativi, quelli di Gears, M.I.A. e Wasted Youth.
Apparentemente formazione vecchio stampo dedita al rock n'roll più sciovinista e reazionario, i Gears furono capaci nel 1980 di registrare il classico "Rockin At Ground Zero" che dell'hardcore incorporava la velocità percussiva dopo averne assimilata a fondo la dimensione sotterranea e zigrinata. Lavoro ben suonato, con brani di maniera al limite del revival ma scritti sempre con vigile cognizione di causa e, se non ispirazione, notevole fantasia. La musica è divertimento e spasso solo in parte; malcelato, un po' ovunque, un senso di precarietà e sconforto che il fischiettare del capolavoro "Wasting Time "acuisce e spalanca in un toccante ritornello per consegnarlo alla mestizia di "Teenage Brain" e ai ritmi frastagliati di "Heartbeat Baby "e "Last Chance", dove la melodia c'è per essere vilipesa. Ogni canzone comunque è capace di vivere di luce propria e di bastare a se stessa ponendosi come un potenziale singolo che, avesse meno intelligenza, potrebbe dirsi da classifica.
I Gears passano dal proto-hardcore al post-hardcore collocandosi di diritto in un pieno, anche se mai estremo, hardcore - perdipiù praticato con la coscienza di chi avverte i giochi come finiti e le ideologie cadute e che come ultima serietà non sa fare altro che non prendersi sul serio.
I M.I.A. del chitarrista Nick Adams e del cantante Mike Conley si formarono nel 1979 in Nevada, ma furono costretti, come tanti altri, ad emigrare in quella California del Sud dove l'hardcore melodico era di casa. Del 1982 è il mini-album "Last Rites for Genocide & M.I.A.", assai prossimo al pop-core venato di nero di Rikk Agnew e T.S.O.L. ma allo stesso tempo capace di rappresentare uno standard credibile per l'hardcore californiano tutto; formalmente con le zigzaganti "Cold Sweat" e "Angry Youth", contenutisticamente con "I Hate Hippies", polemica verso l'ingenuo e ipocrita idealismo da "figli dei fiori". Del 1984 è "Murder In A Foreign Place", l'opera di riferimento dei M.I.A., un concentrato di stornelli melanconici e disillusi, non privi di soluzioni grottesche e forti di ritmiche sostenute. "Boredom Is the Reason", "Who Will Survive" - soprattutto - e "Used T Know Me" sono i migliori risultati dei M.I.A., che chiusero la loro carriera senza infamia né lode con "Notes From The Underground", del 1985 e "After The Fact", del 1987.
Tra i più fedeli seguaci dei Germs, anche se contenutisticamente sostituivano l'esistenzialismo apolitico di quelli con un impegno politico anarchico, furono i Wasted Youth. "Reagan's In", del 1981, conteneva"Fuck Authority", "We Were On Heroin" (che recita "I don't care if I die / I'll take the money from my mum just to buy it [heroin]"), "Flush the Bouncers", col "search & destroy" che due anni dopo sarà dei Metallica, e "Problem Child", che vorrebbe essere la biografia del punk/teppista medio non redento dall'hardcore.
Dopo un lungo silenzio il chitarrista e leader Chett Leher dette una nuova vita al gruppo nella seconda metà degli anni Ottanta inaspettatamente passando, come i Bad Brains ma con inferiori risultati, ad un originale e sperimentale arena-rock, veloce e non potente, ridotto all'osso eppur barocco, onnicomprensivo di uno stato storico-biografico di né carne né pesce nel quale si tratta solo di sopravvivere, magari dandosi all'umorismo e all'edonismo più fine a se stessi. Ridendo e scherzando vengono così aperte le porte ai vari Faith No More, Jane's Addiction ed Extreme, oltre che istituzionalizzato il sound più classico del passaggio tra gli anni Ottanta e i Novanta.
"Get Out of My Yard" (1986) è un capolavoro nel suo genere: senza mai abbandonare il rock adotta incedere funk e pop-metal compattandoli in tempi hardcore da due minuti.
Un caso a sé sono i Channel 3 di Mike Magrann che costituirono un importante esempio di gruppo melodico, a veder bene non del tutto ortodosso né dal punto di vista delle forme, più articolate, distese e varie rispetto alla prassi, né dal punto di vista dei contenuti, poco o per nulla giocati sulla comunanza di propositi con una qualsiasi società hardcore o gruppo giovanile. L'album di riferimento dei Channel 3 è "I've Got A Gun"; uscito nel 1982, contiene almeno quattro pezzi da antologia. "Fear Of Life" è un manifesto di scorrettezza politica e morale che fa parte di quei fulmini a ciel sereno capaci di minare alle fondamenta gli assunti di valore portati avanti dal mondo hardcore: "No responsibilities/ I'm not ready to the real world/ I'm twenty-three/ Got no job, got no girl, got nothing at all/ I live in my own little fantasy/ Hey man, fuck you!". "Catholic Boy" ritorna invece a portare acqua al mulino hardcore, nella sua reiterata polemica contro quella forma di spersonalizzazione rappresentata dalle religioni ed in particolare dalla cristiana: il brano è immaginato come un dialogo o un appello a un ragazzo da recuperare da quella che qui rappresenta la perdizione e che chiederebbe di vivere e morire "by the same ten rules".
Stesso discorso, riferito a una non meno dogmatica e aberrante civiltà, in "Strength in Numbers". Da ogni punto di vista, il vertice è "Double Standard Boys", ritratto di una ragazza orfana di madre e trascurata dal padre che il soggetto sarebbe disposto ad amare come nei romantici sogni di lei se solo questa a sua volta non fosse entrata nella logica disumana dominante. Se ne andrà con uno che come tutti oggigiorno non sa che "il sesso non ha nulla a che fare con l'amore".
Nel 1983, il secondo album, "After The Lights Go Out", seppur non abbandona l'hardcore, ne diminuisce l'impatto, tramite farciture di riff hard-rock, cantilene rock n'roll, e l'accuratezza della produzione. I Channel 3 preannunciano con quest'altro importante lavoro tutto un filone protrattosi nella seconda metà del decennio e oltre. Il migliore resta comunque il brano più vecchia maniera, "What About Me?", coi suoi scenari di sconforto, rendenti solo parzialmente da una velocità parossistica: "Another early motel morning/ Just another lonely person in this cold dark world/ No more love no more dreams".
Prima di giungere alla svolta di cui si resero protagonisti i Suicidal Tendencies e che portò ad una vera e propria rifondazione dell'hardcore, bisogna occuparci di quei gruppi che con più o meno coscienza si posero sulla linea di questa seconda maniera grazie all'intensificazione della prassi hardcore canonica. Questi sono quattro: i Battalion Of Saints, gli Youth Brigade, gli Ill Repute e gli Stalag 13;a cui vanno aggiunti i molto più mediocri Decry e Mad Parade.
I Battalion Of Saints del cantante George Anthony ebbero nella congerie hardcore un ruolo al contempo eretico e di ortodossia reazionaria. Il primo si manifestò negli atteggiamenti esteriori del gruppo; il secondo, più importante, in una musica che pur adottando espedienti del thrash metal in voga tuttavia non concedeva nulla ai vari post-hardcore, siano essi intesi in termini di oltranzismo oppure di depotenziamento sonori. I contenuti dei testi inoltre rientravano pianamente nei canoni hardcore facendo tanto più strindere parole di pace, tolleranza, accusa umanitaria e sociale in bocca a straccioni alcolizzati, drogati e perdigiorno. I Battalion Of Saintsemersero nel 1982, più che all'apice della prima stagione hardcore, al momento del suo eclissarsi. Il seguente 1983 sarà l'anno di Bad Brains, Suicidal Tendencies, D.R.I. e della rifondazione di un movimento per nulla intenzionato ad esaurirsi. Per la vecchia scuola significava in ogni caso il tramonto. Bisognava scegliere: o estremizzarsi e passare al secondo hardcore; o rinunciare e inventarsi un proprio post-hardcore, magari in modo da giungere all'heavy-metal.
Nel 1984, nel pieno di questo processo, esce l'unico album dei Battalion Of Saints, "Second Coming", che se non mette in discussione un irriversibile corso di avvenimenti, trova non solo in sé la propria ragione di essere ma anche sigilla un'epoca su cui a questo punto dovrà davvero calare il sipario. Se non fosse per la mancanza di assoli alla chitarra, per i tempi dimezzati e la brevità dei brani, infine per la voce volutamente senz'arte di Anthony, questa musica potrebbe considerarsi anche prossima a quella di gruppi thrash metal dell'epoca come gli Exodus. Comunque la linea non viene mai oltrepassata e abbiamo quattordici pezzi da un minuto e mezzo l'uno suonati con verve e trasporto e sorretti dalla sofferente e devastata voce del capogruppo. "My Minds Disease", "Buddies and Pals", "Doomed World "scorrono veloci e facili ma sono pienamente tenuti su da sincerità e da un'accortezza di dettaglio che impreziosisce il loro avanzare senza pause e ostilmente chiuso alla melodia.
Dopo lo scioglimento della band i suoi due ex-chitarristi (Chris Smith e Donny Diaz) moriranno per gli eccessi del loro stile di vita; testimonianza palpabile di quanto i Battalion Of Saints fossero per natura estranei ad un mondo apparentemente degenerato ma in realtà etico come quello hardcore che quasi non conta vittime e che comunque ne ha molte meno di qualsiasi altro movimento rock a partire dagli anni Sessanta in poi.
Gli Youth Brigade di Adam Stern, accompagnato dai due fratelli alla sezione ritmica, nel 1984 detterno con "Sink With Kalifornija" un solido esempio di quell'ortodossia hardcore ormai al suo autunno. A parte la riuscita "Modest Proposal", che pure contiene il verso pacifista "I hate you, you hate me but we don't know why", l'album è indicativo soprattutto per i suoi contenuti programmatici che costituiscono davvero una summa dell'ideaolgia hardcore: filantropismo, critica sociale, solidarietà, comprensione dei problemi adolescenziali, pacifismo, voglia di vivere. "Fight To Unite" recita ad un nuovo adepto della confraternita hardcore: "You get discouraged, about wasting time/ On a bunch of kinds with simple minds/ But kinds can grow and minds get smart/ Don't be negative it's a start/ No one's forced you, you can leave/ It's no impossibile if you believe". In "What Are You Fighting For" si sostiene che anche chi crede di combattere per la pace e la libertà inevitabilmente combatte per uccidere e per l'odio perché "combattere" è comunque "stupido"; dinanzi al razzismo, alla discrimazione ed al nichilismo ci si chiede "Is this the virtute of a rational man?"; del resto "Knowledge is the way to see/ Ignorance is your enemy". Il più alto valore rimane l'individuo - da rispettare nel rispetto altrui; e le domande che ci si pone sono: "What price happiness?" e "Where are we going?".
L'orizzonte si allarga anche a considerazioni, per quanto ingenue comunque di matrice filosofica, come quelle di "Who Can You Believe": "It seems that life is a system a duality at best/ A choice of taking this or that/ Yet there's more than east or west/ Don't limit yourself dispite what you've been taught/ It's so hard to decide what's right or wrong/ Trust and Faith are just mere words/ Everything is relative and most is just for show/ Close your eyes and listen to yourself and then let go". Gli Youth Brigade testimoniano che l'hardcore è contro l'apatia, la Guerra - vista come sorta di mostro metafisico -, il nucleare, gli olocausti; a favore della responsabilità e dell'autocoscienza. L'ultimo incoraggiamento è quello di "Care": "Care, you've got to care/ Search for a way to live more than a day" - con parole che hanno un gran peso, in un contesto degradato e privo di valori come quello dell'adolescenza d'inizio anni Ottanta.
Gli Ill Repute furono a dir poco esemplari sia nelle forme, fatte di un hardcore assai potente e corposo tanto da inaugurare la seconda maniera del genere, che nei contenuti, forti di un intransigente e sensibile filantropismo. Il loro catartico capolavoro, capace di sposare sapientemente queste due componenti, è l'inno "Book and It's Cover", sull'ep del 1984 "What Happens Next", fondamentale pubblicazione costellata da una serie di micidiali e polemici brani contro la logica del "sex, love and rock n' roll" e rispecchianti in pieno l'ortodossia ideologica dell'hardcore. Nel 1983 era uscito l'Ep "Oxnard Land of No Toilets", con "Turn the Guns Around" che recita: "The next day all the papers write/ Another girl was killed last night/ Her mutilated body/ Was found out on the beach/ Why do people die?/ I sit and wonder why"; e nel ritornello: "The only solution is a inside revolution"; praticamente la sentenza migliore per esprimere il concetto dell'esistenziale anarchia hardcore.
Una considerazione a parte merita il canto sgolato di John Phaneuf, che dà il suo meglio in tiratissimi episodi di sapore Minor Threat come "Fill It Up "o in sarabande alla Dead Kennedys come "Cherokee Nation" a sostegno dei nativi americani. Senza dubbi risultano gli Ill Repute la migliore band di quelle che veniamo analizzando tra l'hadcore classico losangeliano e i Suicidal Tendencies.
Sulla scia dei Minor Threat, di cui sono i principali discepoli formalmente e contenutisticamente, gli Stalag 13 dettero nel 1984 con "In Control" un lavoro energico e senza compromessi, che rimpinguò non poco le casse di uno stato come quello hardcore allora complessivamente vittima di recessione sia nella fantasia che nell'autenticità. "Conditioned", "No Excuse "e" The Choice Is Yours"," " sono brani corposi, epidermici e veloci, basati sul frazionamento dei tempi e le improvvise esplosioni di voce e chitarra. Una sospirata ed efficace iniezione di vitamine e carboidrati in un corpo ed in un ambiente che ne avevano tutto il bisogno.
Concludiamo con i mediocri Decry, il cui album "Falling"del 1984, con accenti e toni dark, non va oltre la media standard del genere e con i Mad Parade, meri epigoni senza convinzione e fantasia, tra elementari melodie e ritmiche fredde e robuste ai limiti del metal. Costoro furono se non altro significativi di uno stato di cose: l'esaurirsi dell'hardcore classico californiano.
Con Bad Brains e D.R.I., i Suicidal Tendencies - che quindi completano quelli che si possono chiamare "i gruppi della svolta dell'83" - del cantante Mike Murr furono i principali artefici della seconda maniera hardcore, quella più estrema, più vicina al metal, genere che influenzerà non poco nei suoi versanti più heavy. Questa seconda maniera hardcore, sorta attorno al 1983, sarà poi più o meno presente in pressochè tutte le forme di rock estremo future: a partire dai Metallica, dai Napalm Death ai Pantera non c'è formazione che non ne sia debitrice.
I Suicidal Tendencies non sono un gruppo d'avanguardia come i D.R.I., né la loro ideologia rispetta del tutto l'ortodossia hardcore, anche se le loro equivoche riflessioni morali vanno per lo più intese in senso antifrastico. L'iper-realismo espressionista della formazione funge quale critica di una realtà e società degradate e mostruose. L'omonimo debutto dei Suicidal Tendencies, nel 1983, è ad ogni modo uno degli album imprescindibili del rock. La ricerca dell'hardcore viene portata alle sue estreme conseguenze, formali e contenutistiche, con un'inventiva, una foga e una sincerità che hanno pochi rivali. I 12 brani dell'album sono, per un motivo o per un altro, tutti fondamentali. Citiamo la sceneggiata "I Saw Your Mommy (And Your Mommy Is Dead)" e l'arringa "Fascist Pig" per i contenuti, così come "I Shot the Devil "- con il Diavolo che, al solito, si declina nelle persone di Reagan, di Lennon e del papa; "Suicide's An Alternative/ You'll Be Sorry "e "Institutionalized" per le forme: canto psicotico e scorato, musica ora ipercinetica ora zompante in modo sornione e cinico.
Dopo uno iato di quattro anni, i Suicidal Tendencies si ripresentano in veste di gruppo metal, fra Anthrax e Megadeth ma con tutta una serie di contaminazioni dai Bestie Boys in giù. "Join The Army" (1987) e "How Will I Laugh Tomorrow" (1988) vantano - specie il secondo - uno dei suoni più freschi del panorama rock dell'epoca, con chitarre squadrate, talora notevoli studi ritmici e recitativo melodrammatico. Se "Controlled By Hatred" (1989) è un passo falso, "Lights Camera Revolution" (1990) rappresenta l'assalto più pesante e la riflessione più amara della carriera dei Suicidal Tendencies: con le debite referenze che si spostano da Anthrax e Megadeth fino ad anticipare i Metallica del 1991 e i Pantera.
Una volta oltrepassata con il secondo hardcore la soglia sonora del primo hardcore che si credeva insuperabile, l'alternativa possibile stava tra la fine dell'hardcore (post-hardcore) e lo sviluppo di una ricerca che partisse dai nuovi risultati conseguiti. In quest'ultima chiave, ma con una saldezza di principi che rimanda all'hardcore classico, vanno intese le attività di Rich Kids on LSD e Insted.
Nel 1985 "Keep Laughing"dei Rich Kids on LSD ebbe un rilievo che non sarà mai evidenziato abbastanza. In quell'età di mezzo nella quale sembravano possibili solo opere di valore di isolati e tali da costituire un'eccezione oppure, e soprattutto, nella quale poteva sembrare non esserci spazio se non per il post-hardcore, i R.K.L.riescono ad erigere un colossale muro di ortodossia hardcore, ripartendo dalla rifondazione del genere operata dai gruppi del 1983 ma ponendosi pienamente all'interno del genere stesso e non oltrepassandolo sino a raggiungere il metal come forma di post-hardcore. L'album, sempre incentrato su ritmi scalmanati, trabocca di fervore, fantasia e partecipazione per una causa, quella giovanile, che sembra rinverdire di colpo. "Think Positive", "Feelings of Hate", "Senseless Violence" sono brani capaci di reggere con la loro potenza l'intero genere e trasportarlo a quella che, così quasi senza soluzione di continuità, potrà dirsi la sua ultima stagione. Tuttavia i R.K.L. vanno lasciati nel loro contesto e non presi come precursori di quello stile, meno morboso e cadaverico, quasi solare invece, che costituirà l'hardcore di fine decade.
Pure la non sottovalutabile funzione storica degli Insted fu quella di traghettare l'hardcore classico dei Descendents dai primi anni Ottanta ai primi anni Novanta (quelli del revival di Bad Religion e Screeching Weasel) in un medioevo sconosciuto, illustre e sperimentatore ma proprio per questo immemore del più originario suono hardcore. Gruppo abbastanza mediocre compositivamente e tecnicamente, gli Insted trovano la loro funzione proprio in questa mediocrità capace di renderli reazionari quando c'era bisogno di esserlo. Thrash metal e ska (due delle deviazioni che l'hardcore seguiva all'epoca) offrono all' hardcore degli Insted una spinta interna che comunque non ne pregiudica l'ortodossia rispettata nei testi, nella ripetitività, brevità e mancanza di compromessi di brani che sono come una disperazione incapace di esprimersi appieno.
I testi da una parte si affiancano a quelli dei Bad Religion (gli argomenti principali: la morale e la riflessione sulla natura), dall'altra esplicano al massimo la linea filantropica dell'hardcore: i valori sono "essere se stessi", "essere onesti e corretti", "combattere contro le menzogne", "proteggere il mondo che abitiamo" e nel proteggere questo proteggere noi stessi. Non bisogna inquinare il mondo con lo smog come non bisogna inquinarci con la falsità e la cattiveria, con la droga e il nichilismo: "La tua vita è fatta per essere vissuta: perché vuoi distruggerla?"; "Dopo non c'è una seconda possibilità". La cosa più amara è poi il "rimpianto".
In ogni brano si possono trovare motti di propaganda non tanto politica quanto esistenziale e sociale. Il tutto all'insegna dell'hardcore più estremo, come a voler dire che la morale è compatibile col divertimento e le passioni giovanili. Negli Insted si vede bene come, più o meno consapevolmente, l'hardcore si sia incaricato di comunicare ai giovani col linguaggio dei giovani: non con libri e prediche ma con il rock. E di comunicare candidamente contenuti che appartengono anche da millenni alla natura umana: dal conosci te stesso di Socrate al pacifismo di Russell, dallo stoicismo al pragmatismo. I genitori di questi ragazzi hanno ringraziato con la più totale incomprensione.
Del resto dal momento che costoro non furono in grado di insegnare una strada a figli che se la sono dovuta trovare da soli, poi non potettero certo apprezzare la preziosità vitale di questa strada. I due manifesti degli Insted non si trovano negli album "Bonds Of Friendship" (1988) e "What We Believe" (1990) ma nella raccolta postuma "Proud Youth" (2004) e sono "One World" e "For The First Time", due punti di riferimento, anche formali, per l'hardcore tutto. Riportiamo il testo del primo: "Mother nature will provide us with nothing, when careless living leads to destruction. And as our earth grows old, will our future generations have something to told. One world - we must protect. One world - we must correct. It's our responsibility. How many more years are we gonna live like this? We need to think about it before there's nothing left! Then there's no second chance".
La fine degli anni Ottanta è un periodo di assestamento; ancora non domina il programmatico hardcore revival di inizio anni Novanta e bisogna quindi distinguere caso per caso partendo dalle quattro assai diversificate proposte di All, Gorilla Biscuits, No For An Answer e Creamers.
Riprendendo il nome dall'ultimo album dei Descendents, nel 1987 il batterista Bill Stevenson chiamò All il suo progetto costituito dall'ultima formazione dei Descendents, con il bassista Alvarez e il chitarrista Egerton, meno Aukerman. Il mediocre Dave Smalley fu il cantante prescelto; proveniva da due complessi mediocri quanto lui: i Dys di Boston e i Dag Nasty di Washington. "Allroy Sez", del 1988, propone un hardcore melodico e del tutto insipido; pensato ad uso e consumo dei collegiali, evidentemente ritenuti alla stregua di pivelli privi di ogni sensibilità ed intelligenza. Siamo agli antipodi dei precetti di "Milo Goes To College"; siamo a constatare lo squallore di un genere musicale ridotto a sciatta moda. Non meglio i successivi album con Scott Reynolds all'incolore canto: "Allroy's Revenge" (1989) e "Allroy Saves" (1990). Seguono ulteriori pubblicazioni negli anni Novanta.
I Gorilla Biscuits furono titolari, nel 1989, dell'album di hardcore estremo "Start Today". Quattordici brani ben confezionati, con schiettezza e proprietà di mezzi, tra Insted e Youth Of Today. Nel calibratissimo marasma tuttavia pochi episodi lasciano un segno o sviscerano qualcosa da ricordare. "Start Today" dovrà più che altro essere considerato un traguardo formale dell'hardcore, di un hardcore ostico e anti-melodico, agli antipodi quindi rispetto alla maniera dominante a Los Angeles, quella dei Bad Religion.
Ai Gorilla Biscuits sono in parte accostabili con l'album "A Thought Crusade"del 1989 i No For An Answer,che dettero un esempio integerrimo di hardcore estremo ai limiti dell'heavy-metal e ricco di proselitismo umanitario. Opera più di quantità che di qualità, più di fiato che di fantasia, servì comunque per portare acqua al mulino hardcore e ne ribadì gli stereotipi pur ponendosi nell'interpretazione metal e non melodica dell'ultima stagione hardcore, nell'interpretazione cioè che in California è seguita dal minor numero di band.
La pubblicazione principale dei Creamers è l'album "Love Honor & Obey" del 1989. Dodici brani per venti minuti con influenze di X ed Avengers. Reazionari, enciclopedici, manieristici, sinceri i Creamers sono un gruppo revival perchè operante in un'epoca in cui la loro musica non è più attuale. Tuttavia (come nelle urla reiterate del finale di "Wrong Embrace") contribuiscono ad insegnare il punk-rock alle riot grrrl. Forniscono loro gli espedienti formali per poi essere riempiti dei contenuti del nuovo movimento para-grunge. Due chitarriste, una cantante, due uomini alla sezione ritmica. Sembra un gioco - già l'età del gruppo è improponibile: non minorenni ma ultraventenni. Eppure proprio dall'esperienza, dalla maturità, dalla consapevolezza di operare fuori dal tempo e solo per l'ideale, deriva la forza, la fantasia, la qualità di un'opera irripetibile che si colloca tra gli Avengers e le Babes in Toyland ad una velocità alla Ramones e Bad Religion.
Fra pezzi da un minuto e mezzo si distinguono "Road Kill" e "Love Honor & Obey", che denotano una profonda conoscenza del rock, che sono fantasiosi, per nulla piatti pur senza perdere in compattezza. Si tratta di variazioni, talora impercettibili, quasi sempre sofisticate, sullo stesso tema e alla stessa velocità, assai sostenuta ma priva di una violenza che non avrebbe permesso un tono fondamentale da hardcore narrativo.
Nel contesto dell'hardcore-revival californiano promosso dai Bad Religion e dalla loro Epitaph, anche se propriamente non facenti parte nemmeno di questo, si collocano i NOFX e gli Offspring.
I NOFX, del bassista e cantante Fat Mike e del chitarrista Eric Melvin, fanno cronologicamente parte dei gruppi hardcore revival di fine anni Ottanta, anche se il loro crudo stile degli inizi pare una stonatura nel melodico contesto californiano. Sotto l'egida dei Bad Religion faranno, con gli Offspring ed i Rancid, la fortuna economica dell'Epitaph. Esordirono nel 1988 con il concitato "Liberal Animation", sostenuto soprattutto dall'urlo animalesco del leader. Nessun brano è memorabile ma la tensione non cala mai e la scarsezza di cose da dire è compensata per un verso da un ritmo vertiginoso e per un altro dalle evoluzioni di Melvin, che rasentano lo speed-metal.
Onnipresente il modello dei primi D.R.I. "S&M Airlines", dell'anno dopo, è relativamente più melodico e smussato; pur mantenendosi a ritmi da capogiro registra le prime avvisaglie di quelle che saranno le future coordinate seguite dal gruppo: lo ska ed il reggae. "Ribbed", nel 1991, oggi eletto dal pubblico a classico, prosegue sulla medesima linea, accentuando ulteriormente la melodicità, la pochezza di contenuti da comunicare ed il divertimento fine a se stesso.
Nel 1993 è la volta di "White Trash, Two Heebs & A Bean", con le sue robuste iniezioni di jazz, ska ed espedienti vari per lo più pretestuosi. I NOFX si rivelano dei professionisti senza scrupoli che col tempo otterranno il raggiungimento dei loro scopi: la celebrità planetaria e cioè il benessere economico. I NOFX sono tra i soli quattro o cinque gruppi hardcore riusciti in questo, forse anche perché, alla fin fine, non sono un gruppo hardcore. "Punk In Drublic"nel 1994 arricchì così le casse dell'Epitaph; in un anno che per quest'etichetta valse come aver vinto la lotteria nazionale: fece uscire difatti anche "Smash"degli Offspring e "Let's Go" dei Rancid; in pratica, specie il primo, bestseller popolari. "Heavy PettingZoo" nel 1996 è sempre meno musica, sempre meno hardcore e sempre più spettacolo, cabaret, musichall, oltretutto col vizio della ballad. "So Long & Thanks for All the Shoes" nel 1997, con "It's My Job to Keep Punk Rock Elite", sembra voler recuperare la dignità perduta, e nonostante il dispiego dell'ormai solita strumentazione di tromba, trombone, tuba, tambourine eccetera, il solito ska ed il solito reggae, riporta almeno in parte ai primi album. "Pump Up The Valuum" nel 2000 è invece ancora un mezzo passo indietro, dispensando comunque sempre un grande mestiere sia in fase di composizione che di esecuzione di brani ormai prossimi alla produzione in serie e che fanno dell'imprevedibilità la loro prevedibilità.
Mentre il maggior difetto dei NOFX è stato sin qui l'eccessiva autoindulgenza e inclinazione allo spasso gratuito, quello di "The War on Errorism", del 2003, uno dei tanti concept contro la politica estera di Bush, è di proclamarsi serio e impegnato avendone scarsamente il diritto.
Formati nel 1985, in pieno medioevo hardcore, gli Offspring ce la fecero a resistere sino alla nuova e potente ondata che nel 1989 riuscirono a cavalcare pubblicando il loro omonimo album d'esordio. Lavoro piatto, insipido e mal suonato, ottiene due punti a suo favore nella voce rauca e teatrale di Dexter Holland e soprattutto nel rispetto integerrimo dei dettami del genere, ponendosi anzi in modo reazionario nei confronti del melodismo ipercinetico allora dominante di derivazione Bad Religion, e piuttosto incorporando inflessioni metal. Nel corso degli anni Novanta e Duemila gli Offspring saranno tra i pochissimi gruppi hardcore ad entrare nelle classifiche di vendita che finiranno per dominare compromettendosi con la musica di consumo.
Venendo finalmente all'hardcore-revival vero e proprio, ci occupiamo di quelli che probabilmente sono i suoi massimi esponenti a Los Angeles: i Down By Law e i Pennywise.
I Down By Law rappresentarono nel 1991, con l'omonimo album d'esordio, il miglior frutto della lunga attività del chitarrista e cantante Dave Smalley, ex Dag Nasty ed All, per l'occasione assistito dalla produzione di Brett Gurewitz. L'album è compatto e formalmente inpeccabile e si inserisce nel filone dell'allora imperante scuola Bad Religion, facendolo però in un modo ancor più melodico dei coevi Pennywise, memore in definitiva dell'operato dei Descendents. Quello proposto è, parafrasando un titolo dell'album, surf hardcore, tutto sommato gioviale e spensierato e creato apposta quale colonna sonora per scorribande adolescenziali a lieto fine. Il manierismo e l'affettazione non ne compromettono l'elevato tasso di fruibilità, nel quale soltanto, del resto, trova il proprio senso d'essere. Forte dei consensi trovati tra il suo pubblico di ragazzini, Smalley continuerà con il progetto Down By Law, arrivando, sino ad oggi, a presentare una decina di album.
I Pennywise sono un gruppo clone dei Bad Religion massicciamente appoggiato dall'Epitaph. Tuttavia il loro esordio omonimo del 1991 va considerato un classico dell'hardcore melodico e ipercinetico losangeliano, poiché, grazie alle doti esecutive del quartetto, raggiunge quell'amalgamata perfezione formale propria solo a "No Control". Con quest'opera troviamo oggettivata la quintessenza hardcore: testi filantropici tra privato e politica, canto adolescenziale, ritmiche squadrate ed esasperate. Dei quattordici, freschissimi brani, tutti vicendevolmente basati l'uno sulla variazione dell'altro, si fa ricordare "Bro Hymn", corale ed epico canto dedicato a tre giovani amici tragicamente scomparsi che dovrebbe essere funebre ma che si tramuta in inno alla vita. È grazie a esempi come questo che l'hardcore si oppone al mito della gioventù bruciata e si schiera dalla parte della ragione, dell'etica non ipocrita e del sì alla vita umanamente vissuta, rinfacciando al rock n' roll degli anni Cinquanta e al rock che lo ha seguito tutta la superficialità e inconsistenza che spetta loro.
Forti di una consistente cerchia di ammiratori, i Pennywise hanno proseguito la loro carriera, raggiungendo nel 2003 il ragguardevole traguardo del settimo album ufficiale.
Post-hardcore
In virtù della nostra ristretta definizione del termine hardcore, ci troviamo a considerare nel post-hardcore un numero di gruppi maggiore di quello rappresentato dai gruppi hardcore. Ma questo non dipende dalle nostre categorie: dipende dalla realtà; da una realtà dove tuttosommato in pochi sono in grado o in vena di fare hardcore ortodosso e in molti (i più) variano sul tema in modo da abbandonare lo stile di partenza per approdare inevitabilmente al post-hardcore. Lo stesso potrebbe dirsi del rock in generale. La maggior parte dei gruppi cosiddetti rock non fanno musica rock per come siamo venuti definendola ma piuttosto e propriamente parlando musica leggera.
Vista la grande varietà delle forme post-hardcore non è sempre possibile parlare di filoni o di tendenze ma perlopiù dobbiamo dedicarci al singolo caso; quasi che ogni gruppo faccia storia a sé ed anzi si sia costituito come un gruppo, e quindi abbia una propria identità, grazie appunto al fare storia sé.
Fra proto-hardcore, hardcore e post-hardcore, i Flesh Eaters di Chris Dejardins si presentarono con l'omonimo, deragliante e raffazzonato ep del 1978, che rimane il loro capolavoro. I quattro brani dell'opera, suonati e soprattutto registrati in modo quasi amatoriale ma cantati con la varietà di ogni registro possibile, sono uno più originale e stravagante dell'altro. Vista l'epoca, i Clash da una parte e i Dead Kennedys dall'altra vengono inevitabilmente anticipati, anziché seguiti. "Disintegration Nation" è un sabba dal refrain irresistibile che indica in una misurata idiozia e in un fondo di desolazione i segni particolari dei Flesh Eaters, i quali primeggiano proprio sul terreno dove troppi epigoni hanno fallito perché privi della giusta ispirazione e capacità. "Agony Shorthand", più lineare, specula su una melodia ubriaca ostentando un ritmo da fanfara; "Twisted Road" concentra in un minuto giri di chitarra rockabilly d'alta classe, crescendo corali tutta emozione e un siparietto a mo' di intervallo; "Radio Dies Screaming" riesce nel miracolo di non cedere minimamente in qualità e ispirazione; fagocita blues ed epica e procede macinando storie e sentimenti in un girotondo urlato e contemplato che reitera un ennesimo, memorabile motivetto. Pochi possono vantare un esordio come quello dei Flesh Eaters, e non solo in campo hardcore. Capaci anche del giusto distacco, essi si fecero carico di tutta la tradizione americana, che presero in dosi omeopatiche per uno scandaglio a ritmo d'hardcore arguto ma mai fine a se stesso. Se ne ricorderanno i Feederz.
Il primo album, "No Questions Asked", nel 1980, pur non deludendo, lima il suono, lontano dall'ammaliante farfugliare di due anni prima. Ogni brano, costruito come una canzonatura o uno scioglilingua, è ben articolato; trionfano velocità e varietà; i pretesti per destare l'attenzione ci sono tutti, quello che manca è forse qualcosa che non sia un pretesto. Ad ogni modo siamo ad alti livelli, e non solo rispetto al rock hardcore.
Dejardins è una sorta di sciamano che evoca surreali atmosfere horror ambientandole tutte nel mondo quotidiano senza nessun aldilà o elevazione trascendentale. Notevole infine il suo talento melodico che emerge sempre dal tribalismo dissonante di brani saturi di hardcore quanto della musica americana più tradizionale fatta di country, blues e rock n' roll. "Suicide Saddle "è il vertice del versante più serioso, "Cry Baby Killer" - un reggae-punk alla Clash ma con più espressione - di quello demenziale. Ma le due componenti sono continuamente fuse, in una seria demenzialità o in una demente serietà e sublimano con empatia crescente nella frenetica "Ten Inch Razor". "Diminoes "è tipica: strofa veloce e hardcore, ritornello genuflesso e melodico. In "Crazy Boy" emergono tutte le fonti tradizionali dei Flesh Eaters, con una sezione ritmica frastornante e impietosa, tra rock n' roll e retrogusto dark. "The Child Comes First "dimezza i tempi in un putrefatto hardcore tra luna-park e cimitero. "Home of the Brave" rende la ricetta ancor più lancinante e vertiginosa. Da apprezzare soprattutto la capacità di passare nel giro di pochi secondi ad atmosfere diverse, innestando melodie, assoli o deliqui laddove non ci si aspetterebbero: "Police Gun Jitters" è tutto questo, sino a sfociare in un ipnotico scioglilingua. "No Question Asked "raggiunge a ritmo frastagliante l'epico, anche se cantato con una sorta di rigurgito, come se il mondo si infrangesse continuamente. "Sleeping Sickness "suona come dei Ramones in lacrime; "Jesus Don't Come Through the Cotton" è il suo corrispettivo pubblico a ritmo di mitraglia.
Dejardins è fondamentalmente un cantautore dark e i Flesh Eaters sono solo un pretesto per la sua espressione. "A Minute To Pray A Second To Die", nel 1981, con al basso John Doe degli X, è totalmente post-hardcore; otto brani d'atmosfera e flagellazione, intensi e ricercati per un gotico tutt'altro che dozzinale e reso raffinato dall'uso ampio ma appropriato del sax, come in "Satans' Stomp". L'album, da riscoprire, è il vertice della seconda maniera dei Flesh Eaters.
I due lavori successivi, "Forever Came Today"(1982) e soprattutto "A Hard Road To Follow" (1983) propongono un suono più potente; dalla velocità hardcore si passa alla lentezza di un morboso pop-metal perduto nel deliquio e ricco di numeri floridi e interessanti, tutti urlati in modo espressionistico; un esempio, "Buried Treasure". Il risultato è, per dirla una, assai più avvincente di quello coevo, e parimenti tra sesso e mummia, degli inglesi Cure. Nel corso degli anni Ottanta Dejardins farà uscire tre album a nome Divine Horseman. Quindi verranno riformati i Flesh Eaters, per ben altri cinque album l'ultimo dei quali è del 2004.
Qualche connessione può trovarsi tra Flesh Eaters e Dickies. I Dickies costituirono il maggiore e alla fine più serio esempio di rock demenziale capace di sfruttare ritmiche hardcore. Proponevano brani concisi, veloci e chiassosi che - in linea di principio in modo non troppo diverso dai Ramones - partendo dal rock n'roll, dai vocal-group degli anni Quaranta e Cinquanta, dal mersey-beat e passando per cabaret e music-hall, imbastivano scenari kitsch tra telenovele e cartoni animati, con i quali offrire un'interpretazione deformata e perversa di una società che a forza di deformità e perversioni non può che andare a rotoli. Come accade sempre con i gruppi demenziali, la parodia dei Dickies era onnivora e, a partire dalla musica commerciale, dalle soap-opera e da tutte le ipocrisie di un mondo di celluloide, coinvolgeva tanto il punk che il metal che le stesse generazioni dei giovani, per così lasciare con un amaro retrogusto di pessimismo, spossatezza e disillusione.
Il loro classico è il rabbioso "The Incredible Shrinking" del 1979, seguito da "Dawn", dello stesso anno, e da "Stukas Over Disneyland", del 1983. I Dickies, che nel frattempo avevano suggestionato i gruppi più disparati, dai Fastbacks in giù, si riformarono nel 1988.
Diverso dai precedenti ma con ancora decisi elementi di truce umorismo è il caso degli Urinals. Gli Urinals erano tre studenti universitari coinquilini. John Talley-Jones (basso e voce) fu il capo della loro avventura. Con una batteria (tre tamburi, due piatti, una gran cassa) e il resto della strumentazione ridotti ai minimi termini, i tre riuscirono a fare di questa in parte cercata necessità una trovata virtù. Si tratta di un suono amatoriale, a tratti inintelligibile, minimale, miniaturizzato ma sempre retto da quell'intelligenza che non fa mai calare la partecipazione dell'ascoltatore.
Gli Urinals in tre anni, dal 1978 al 1980, con la loro new wave entrarono di diritto nella storia del rock perché proposero espedienti e contenuti una decade prima che venissero cristallizzati e riconosciuti. Furono l'espressione dell'interiorità sensibile e angosciata, del pianto dell'adolescente metropolitano; e lo furono attraverso forme fatte di ritmi veloci, cacofonie, melodie urlate e genuflesse.
Gli Urinals sono i capostipiti di espressioni indie proprie di fine anni Ottanta, ma divenute moda e apprezzate solo oggi che possono considerarsi vicine al cosiddetto "post-rock": il "lo-fi" e lo "shoegaze". Queste forme, cerebrali perché minimalistiche, mostruose perché troppo gracili, hanno trovato numerose culle anche e soprattutto fuori dagli Stati Uniti.
Se i giochi possono dirsi conclusi nella Scozia dei Jesus and Mary Chain prima (1985) e nell'Irlanda dei My Bloody Valentine poi (1991), in anni più recenti è stato portato avanti il discorso di queste terre periferiche, dimenticate dal mondo del rock e fuori dal tempo, da giovani autori che, nei casi migliori, hanno avuto il buon gusto o l'onestà di servirsi dell'elettronica. Il riferimento è al dream-pop elettronico islandese (Sigur Ros, Mum) come al synth-pop di San Diego (Xiu Xiu). Gli Urinals propongono brani lunghi uno, due minuti, dove, tra l'esempio inglese degli Wire e quello americano dei Minutemen, ha luogo una terza via percorsa da un amaro, umoristico, mai volgare sentimento che sarà poi quello della new wave più larga e popolare: quella inglese che, divisa tra synth-pop e post-punk, giungerà sino all'Italia dei Diaframma. Abbiamo un rock-garage base alla Kinks il quale (tramite Byrds) esprime però tenui, rassegnati, scuri e adolescenziali stati d'animo.
Il capolavoro del primo omonimo Ep, pubblicato nel 1979, è "Hologram", che potrebbe impreziosire il coevo "Unknown Pleasures"dei Joy Division. "Hologram "fonde Byrds (il jingle-jangle della chitarra) e la new wave inglese (dai Byrds giustappunto propiziata): dieci anni prima degli shoegaze siamo di fronte a un brano minimalistico, onirico e disumano, di un disumano fatto da un bambino.
Nel secondo Ep, risalente sempre al '79 e intitolato "Another Ep", fanno scuola "Black Hole "- miniatura alla Byrds, e così cantata, che in un minuto tiene il cuore con un epos gracile e splendido, paragonabile a Nico: giallo e nero danno uno strano grigio quale colore di questa musica - e "I'm Bug" - blues mostruoso e dissanguato, capace di fondare quello che sarà il sound di Albini e dei suoi Big Black e Rapeman.
Del 1980 è il singolo "Sex"/"Go Away Girl": "Sex" annuncia Big Black, Pussy Galore e Jon Spencer: ripartendo dai Jefferson Airplaine della Slick più tesa, si ha un epico e disperato garage-blues, perverso perché suicida; "Go Away Girl" invece spiana la strada ai Meat Puppets: due fraseggi liquidi e poi un feroce e roboante hardcore.
Degli altri brani del repertorio Urinals, una trentina, dal 1997 raccolti nella compilation "Negative Capability", vanno ricordati almeno "Scolastic Aptidude"," "con il fatalismo raccolto in una corsa concitata e ostacolata da spregiudicati intermezzi noise (quella spregiudicatezza sempre mancata, ad esempio, ai Cure, e talora fine a se stessa, ad esempio, in Zappa) e "I Hate", informe e desolato noise con costole di squillanti riff sbranati da urla e ringhii. "Salmonella" è invece, a forza di suoni sgradevoli e sgolamento, tra i primi esempi grunge ante litteram - tanto che potrebbe considerarsi un live dei Nirvana.
A sé infine "Presence of Mind"." "È come la versione estroversa dell'introversione di "Hologram": a fine anni Settanta insegna il rock a tutti i posteri: garage-rock rumoroso e potente come i primi Kinks (vedasi il riff maniacale della chitarra), incedere oscuro alla Joy Division, lancinanti dissonanze Velvet Underground. La voce urla nera, infantile e disperata. La sezione ritmica è esasperante come in "Hate Tthe Police "dei Dicks, brano con il quale si condivide il raro stato del rock più pieno (né troppo forte né troppo piano), oltre che l'ispirazione di un fascinoso cancro tutto interiore. In questi due minuti ci sono di già i Sonic Youth e con questi il suono di gran parte degli anni Ottanta. Il brano dovrebbe entrare - come extra, beninteso - tra i grandi classici sconosciuti: "So Cold" dei Rocket From The Tombs, "Never Tell" dei Violent Femmes, "Budd" dei Rapeman," If It Kills You" dei Drive Like Jehu.
Ancora con un tono del tutto peculiare e ancora con un'indole umoristica, i Fear. Estremi nei contenuti, misantropi, e nei modi, teppistici, i Fear di Lee Ving, attivi sin dal 1978, vanno annoverati tra i maggiori gruppi della loro epoca grazie al classico "The Record", pubblicato nel 1982. Forti di una tecnica non comune, una fantasia spregiudicata e una vasta conoscenza della storia della musica rock, cui aggiungevano urgenti tematiche - di degrado insofferenza oltranzismo maleducazione - da esprimere, i Fear crearono un proprio e multicolore sound: la sezione ritmica rievoca l'oscillare del metronomo, le chitarre sono calligrafiche, e su tutto si erige il canto di Ving, espressionistico melodrammatico osceno epidermico. A partire dai Faith No More, e passando per i Red Hot Chili Peppers, tanto per restare ai nomi più noti, non si contano gli allievi dei Fear.
Il capolavoro melodico e catartico di "The Record" è "Foreign Policy", che dispiega sconforto e rivalsa. Seguono la cinica "I Love Livin' In The City", spaccato di vita metropolitana intriso d'amarezza e disincanto; l'anti-romantica "I Don't Care About You (Fuck You)";" "la strabocchevole e putrida "Let's Have a War", grande saggio tecnico-compositivo;" "la trasognata, a tratti elegiaca, "Camarillo"; la torbida feticistica iper-realista "Fresh Flesh", sorta di vocabolario dell'abiezione suburbana. I Fear, anche quando andavano letti antifrasticamente, sono stati troppo spesso scambiati per irresponsabili e immorali: in realtà svolsero, e con estrema consapevolezza, un intelligente ruolo di critica sociale.
"More Beer" del 1985, sebbene spregiudicato, senza compromessi, capace di influenzare notevolemente gruppi come i Naked Raygun e superiore a tantissime altre pubblicazione, non solo post-hardcore, pecca in maniera un po' troppo compiaciuta di auto-indulgenza. La novità principale, oltre a pezzi sempre più senza capo né coda ed al canto di Ving sempre più senza limiti, è l'evidenza in cui sono messi gli sguaiati riff della chitarra. Senza discostarsi di un passo dai loro precetti, ma anzi incalzando sempre più il ritmo, i Fear pubblicano un decennio dopo, nel 1995, "Have Another Beer With Fear"e nel 2000 "American Beer", sbaragliando la concorrenza di contemporanei che tuttavia riserbano al gruppo solo la loro disattenzione.
Assai più prossimi al punk inglese rispetto alle formazioni che abbiamo trattato sinora e con un repertorio più romanticizzante, gli Agent Orange di Mike Palm esordirono nel 1981 con il classico "Living in Darkness". Album roccioso ma non devastante che sposava una solida conoscenza della musica rock con una smaliziata contiguità con la cultura punk, cenni di riff metal e attitudini ora svagate da surf music e ora claustrofobiche da dark. Senza la capacità di scrivere canzoni memorabili come quelle degli Wipers o sperimentali come quelle dei Mission of Burma, gli Agent Orange consegnarono comunque un pugno di pezzi chiassosi, diretti e non scontati come "Bloodstains,""Everything Turns Grey" e"The Last Goodbye". Anche se forse privi di una vera sostanza al di là della pur invitante forma, questi brani contribuirono non poco a creare le atmosfere di un'epoca alla quale dovettero sembrare inoltre assai più efferati ed estremi di quanto possano risultare oggi. Il manierismo cede il passo forse solo nell'accorata "A Cry For Help In a World Gone Mad", amara confessione col cuore in mano dall'incedere indefesso smorzato solo dal sentimentale ritornello.
Cinque anni dopo, nel 1986, "This Is The Voice", ripropone, assai raffreddata e sintetizzata dal melodico power-rock di "Fire In The Rain",una formula simile, pensata però per adolescenti che ormai sono cresciuti e debbono convivere con quella strada che li condurrà inesorabilmente alla mezza età. C'è inoltre forse un intento di entrare a far parte di quel filone indie che in qualche misura gli Agent Orange promossero e che si esplica in un livello formalmente definibile come a metà strada tra i Meat Puppets e il grunge. L'album, che fa forza attorno alle tirate elegie di "So Strange" e "It's In Your Head", nonostante sia inferiore al precedente e abbia qualche autoindulgenza di troppo, è curato e trova il suo senso in uno stato di depressione malinconica e trasognata.
Agli Agent Orange, per la loro matrice puramente rock, sono avvicinabili i giovanissimi Red Kross. Nel 1981 "Born Innocent"fu, parallelamente a quanto stavano facendo i Replacements con "Sorry Ma",uno spavaldo esempio di coniugazione di ritmiche e afflato hardcore con il rock ed il blues tradizionali. Ne venne fuori un lavoro crudo e proferito tutto d'un fiato, che per metà andava controcorrente rispetto alla new wave perché, come da tradizione rock n'roll, voleva essere anche una forma di divertimento, e per metà faceva emergere, della versione hardcore di questa, connotati inequivocabili quali la violenza sonora e la salita al potere comunicativo di ragazzini. "Notes and Chords Mean Nothing to Me", "Look on Up at the Bottom" e "Tatum O'Tot and the Fried Vegetables" sono potenti scariche di energia allo stato grezzo, esaltanti come una droga ma sempre con un retrogusto amaro e disilluso, che tanto, oltre all'accoppiata hardcore/rock tradizionale, insegneranno al futuro grunge.
Erano ancor più puristi del rock n' roll i Joneses Jeff Drake - con "Pill Box" sulle pillole anticoncezionali, con il testamento "Criminals", con "Fix Me", con l'anche troppo ostentato revival di "White and Pretty": pezzi d'inizio anni Ottanta raccolti sull'antologia postuma "Criminal History"(2000). Nonostante andassero in giro con le magliette dei Ramones, i Joneses lo facevano solo per moda; in qualunque epoca fossero vissuti avrebbero fatto rock n' roll, per il quale la chitarra di Drake è nata: anche se non la voce, fioca e scarsamente dotata come è tipico del punk. Drake da Hank Williams, Chuck Berry, Eddie Cochran e Johnny Thunders prendeva, un po' come Jeff Dahl, più che la musica lo stile di vita fatto di sesso, droga e disimpegno; era un piccolo macho e guitar-hero. Sebbene a differenza dei Cramps i Joneses-il cui motto in pieno stile hardcore era"No studio, no budget, no promozione, no distribuzione" - fossero fine a se stessi (ma forse proprio per questo) ebbero a costituire un modello per i rocker del futuro: Guns'n'Roses per primi.
Sulla medesima linea dei Joneses ma con più convinzione e intelligenza si pongono i Powertrip dell'ex Angry Samonans Jeff Dahl, che con il classico album del 1983 "When We Cut, We Bleed" dettero un saggio di scalmanato rock n' roll sulle orme di Motorhead e Motley Crue: l'hardcore - esplicitamente presente in episodi da trenta secondi - è ormai solo un pretesto per rendere ancor più radicale gli eccessi di vita e musica tipici del rock n' roll. Dahl è un rocker vecchio stampo e parla di nichilismo e alienazione solo perché questo è il linguaggio della sua epoca: a lui interessa semplicemente ubriacarsi, drogarsi e far sesso; e accompagnare il tutto con un rock n' roll pieno di sfumature hardcore e thrash metal che se è stereotipato è anche sincero e pienamente riuscito.
Una roccaforte di ben altro spessore rispetto a Joneses e Powertrip e capace di avere un peso nell'hardcore californiano paragonabile a quello di Descendets ed Adolescents furono i True Sound Of Liberty (T.S.O.L.) del chitarrista Ron Emory, presenti nei circuiti hardcore sin dal 1978. Nel 1981 con l'album "Dance With Me" sposarono ritmiche e cantato hardcore con le atmosfere morbose e depresse del gotico o dark inglese, rilasciando un classico del genere. L'album, ben articolato, anche se un po' acerbo, può ancora considerarsi come hardcore e essere posto accanto a quello coevo degli Adolescents, specie considerando un'epoca alla quale doveva apparire comunque come estremo ed evidenziando i suoi episodi più ispirati come "Die For Me".
Il successivo "Beneath The Shadows" del 1982 è invece totalmente post-hardcore e propone un finanche eccessivo uso di tastiere in brani sinfonici e d'atmosfera nella maggior parte dei casi riusciti, anche grazie ad un egregio lavoro di produzione. È innanzitutto da elogiare la versatilità del gruppo che cesella storie acquarellate di contemplazione esistenziale nemmeno troppo frustrata o depressa, scivolando anzi talvolta nel retorico a forza di voler trovare per forza un valore nella vita in quanto tale. L'intima "Forever Old", lo spavaldo blues di "She'll Be Saying", il patetismo di "Beneath the Shadows" forniscono le coordinate di questo lavoro. "Change Today?"" "nel 1984, soprattutto in virtù del mestiere del nuovo cantante Joe Wood, potenzia e velocizza assai il suono dei T.S.O.L., che adesso dispensano pesanti e rumorose scariche non immemori di certo soul come di certo metal ma soprattutto capaci di essere evocative e urlate allo stesso tempo, prive di fronzoli e piene zeppe di urgenza comunicativa. L'album, estroverso e smaliziato, è un terzo, radicale cambiamento di un gruppo che ancora una volta coglie pienamente nel segno, dando anzi la sua opera meno invecchiata dal tempo.
Sulla stessa linea, "Revenge" nel 1986 è inferiore e più autoindulgente ma sempre meritevole d'attenzione e ben confezionato. Su un altro pianeta rispetto all'hardcore degli esordi, "Hit And Run" nel 1987 gioca un po' troppo con il cotonato hard-rock da classifica allora di moda, senza nondimeno mancare di sciorinare una grande esperienza e classe che può permettersi di spaziare dagli Ac/Dc ai Rolling Stones. Nel 1990 l'ultimo membro originale del complesso, il bassista Mike Roche, dette alle stampe assieme a Joe Wood, "Strange Love", bieco tentativo commerciale sulla falsariga del precedente.
Ai T.S.O.L. non possiamo fare il torto di non avvicinare Rikk Agnew, che fin dai tempi degli Adolescents era un loro fervido ammiratore. Sciolti gli Adolescents, Rikk Agnew passò al post-hardcore e vi resterà per sempre. Prima di Christian Death, D.I. ed altre collaborazioni, darà, nel 1982, una strana e riuscitissima opera, "All By Myself", dove si inventa una sorta di nuovo genere, il cantautorato hardcore. Il titolo, oltre che nella ideologia hardcore, trova ragione nel fatto che effettivamente l'autore qui suona tutti gli strumenti e compone tutti i brani da solo.
L'ispirazione c'è e frutta la dichiarazione d'intenti "O.C. Life", l'epica "10", la prodigiosa "Your 2 Late", il pop-core di "Falling Out", la serpentina di "Surfside"; preghiere apocrife che scorrono melodiche, veloci e laceranti come una gioventù che costretta a bruciare si dà fuoco da sé stessa per togliere ai genocidi un'ultima soddisfazione. Protagonista malcelato è la chitarra, che si inventa riff su riff, spesso memorabili. Chiude, la suite "Section 8", sorta di summa di musica totale, formata da più brani e stili ma non slegata come una cattiva tragedia e sempre dedita all'espressione del più immarcescibile groppo esistenziale.
Per una certa similarità coi T.S.O.L. e per la presenza saltuaria di Agnew inseriamo qui anche i D.I. di Casey Royer e dei fratelli Agnew (Rikk e Alfie). Nel 1985, con l'album "Ancient Artifacts", i D.I. imbastiscono la colonna sonora per i rituali tutti interiori di una depressione giovanile capace di trovare fonte di fascino in stati mentali neri e tenebrosi ormai lontani dall'esibizionismo del dark di inizio decade. Senza infine l'equivocità di satanismi vari ed eventuali, ma conchiudendo il discorso in una disincantata riflessione su una vita vissuta da atei. In maniera anche troppo atea perché la vita possa pascersi di un significato o scopo; da qui la funzione diremo di compagnia e sostegno o passatempo, intendendo questo come mantenimento in vita, della musica.
Siamo, con i D.I., in quel postumo ove, abbassate tutte le bandiere hardcore e non innalzatene altre, non si può che chiudersi in se stessi, annullando con i contenuti hardcore i contenuti dark e con le forme dark le forme hardcore. Ne derivano brani veloci ma non potenti, ossessivi ma oramai innocui, dilatati nell'evocazione e non concisi nel messaggio né dediti al proselitismo. All'estroversione si sostituisce l'introversione, al fare il ricordare. Da una riconoscibile radice comune si diparte infine anche una certa varietà sempre con un occhio di riguardo per la melodia: dai ritualismi ancestrali di "Purgatory II", alla quasi solarità di "Stand Up", per concludere con "Spiritual", dove si rivisitano e anatomizzano tanti suoni hardcore, con esperienza e creatività. "Horse Bites Dog Cries", dello stesso anno, acquista in potenza e velocità mettendo in secondo piano la ricerca programmatica di ambientazioni mefistofeliche. Ne viene fuori un suono, se non sempre convincente, tuttosommato peculiare e capace di creare una fantasiosa mitologia del quotidiano o dell'adolescenza. L'orecchiabile "Pervert Nurse" e lasperimentale "Youth in Asia",gli episodi che vanno oltre l'aurea mediocrità d'insieme. "Team Goon",del 1986, continua tra l'orrorifico e lo scansonato, l'arte e il dilettantismo, in un incessante tira e molla tra il ricreare nel post-hardcore le artificiali gesta dei Manowar e il buttarsi a capo fitto nella realtà politico-sociale. Notabili la foga di "Uncontrollable Urge" e l'amarezza di "Reagan Der Fuhrer".
"What Good Is Grief to a God?" nel 1988 prosegue, senza più però i fratelli Agnew alle chitarre, una carriera sorretta più che altro dalla costanza e quantità; l'alone di polvere che era stato presente nelle cose più riuscite del gruppo sta adesso commutandosi in uno stato obsoleto. Gli sperimentalismi ritmici e sinfonici di "Girl Scout Camp", la fuga a scavezzacollo di "She's Oscene" e l' esplosione di "They Lie, You Die" tengono a galla un lavoro che se non altro non cede né, per un verso, alle ballate né, per un altro, all'heavy-metal, mantenendosi fedele a quella insistente estetica della mediocrità e petulanza voluta da Royer.
Nel 1990 "Tragedy Again", dimostrando che ai D.I. del tempo e della musica degli altri non importi nulla, è esattamente nelle stesse sonorità di "Ancient Artifacts"; avvantaggiandosi però di produzioni e registrazioni migliori finisce per apparire più robusto e compatto. La tiratissima "Backseat Driver", bissata dall'esagitata"Love To Me Is Sin", gli episodi sopra la media. "State of Shock"nel 1994 e "Caseyology" nel 2002 chiudono indegnamente una carriera sostenuta dalla qausi sempre ispirata voce di Royer che però troppo di rado è riuscita ad avere qualcosa di veramente pregevole da cantare.
Trattiamo ora assieme le due formazioni di punta del cosiddetto ghotic rock californiano, quello stile che si occupava di horror, streghe e mondi paranormali come metafora del reale: i Christian Death e i 45 Grave.
I Christian Death furono il gruppo più estremo del ghotic rock, stile imparentato col dark inglese e, come questo consisteva in una forma di post-punk, consistente in una tematizzazione dell'hardcore in chiave horror. Se necrofilia, vampirismo, sonnambulismo, demonismo, superstizione sono le tematiche standard di un genere che ha una tradizione tanto nel cinema che nella narrativa, i Christian Death vi aggiunsero una componente esistenzialistica, dovuta al cancro interiore, al nichilismo suicida di Rozz Williams (1964-1998).
"Only Theatre Of Pain" (1982) è il classico della formazione e per provarne la sua attinenza con l'hardcore basti pensare che vi suonava la chitarra Rikk Agnew. Un diciottenne Williams innalza scorate preghiere al male, con un tono di voce lamentoso e deformato che insegnerà a tanti, da Marilyn Manson in giù. La base musicale è estremamente depressa e claustrofobica: sarà da modello per buona parte del suono anni Ottanta ovvero della cosiddetta new-wave al di fuori di Stati Uniti e Inghilterra. Non mancano tuttavia accelerazioni ritmiche e distorsioni chitarristiche. Tanto che le migliori risultano proprio le partiture meno atmosferiche, meno a tema e più umane: la morbosa "Prayer", la ballabile "Romeo's Distress", la febbricitante "Spiritual Cramp "- col verso "Killing myself for the perfect honeymoon".
Il capolavoro dei Christian Death è comunque la scorata e nobile "Deathwish" - dall'Ep omonimo del 1983, dove si trova anche la sinfonica "Desperate Hell" - con chitarre pesanti e refrain irresistibile.
Williams unendo vita randagia e personalità sciamanica, alienazione e suggestione, gioventù e morte fu, grazie inoltre alle sue doti innate, una delle figure più emblematiche della sua epoca e del suo contesto.
Già il secondo album "Catastrophe Ballett" (1984) non conserva più retaggi hardcore. E "Ashes" (1985) apre il lungo periodo dei Crhistian Death senza Williams, cioè dei Cristian Death che non sono più tali. Williams tornerà ad un suono prossimo a quello degli esordi con gli Shadow Project e l'omonimo album del 1991.
Più rock'n'roll dei maniaci Christian Death, i 45 Grave erano un navigato quintetto capitanato dal chitarrista Paul Cutler e dalla cantante Dinah Cancer e completato dal batterista Don Bolles (ex Germs), dal bassista Rob Graves (ex Gun Club) e dall'organista Paul Roessler. Il loro unico album, "Sleep In Safety", datato 1983, fece epoca per l'inserimento del brano "Partytime" nella pellicola cult "Return Of The Living Dead". In realtà, questo è sì il brano più immediato dei 45 Grave ma anche il meno atmosferico: il ritornello è puro hard-rock di matrice Kiss.
Del resto il gruppo ha uno dei sound più potenti del rock-gotico per via del fatto che vive questo con una decisa vena rock n' roll; il che provoca un effetto tanto dissacratore e autoironico quanto disperato: nemmeno il male, i morti, l'oltretomba, sarebbero valori. "Violent World "difatti è ai limiti dell'hardcore: velocità, potenza, urla. Rette da un grande lavoro di arrangiamento e produzione, le lunghe "Slice O' Life "e "Procession "danno invece la misura delle capacità evocative di un gruppo che non è mai autoindulgente e, specie nella prima, forte di un ritornello da manuale, scandisce il suono sempre in puro stile rock. Nel mezzo, tra hard-rock e gotico, i risultati più caratterizzanti: "Phantoms", con tastiere che tintinnano come uno xilofono ed un canto rassegnato; "45 Grave", rocciosa e ammaliante: il chitarrismo, invidiabile, e le inesauribili risorse cabarettistiche abbinate a una florida conoscenza della storia della musica rock, rendono ragione della peculiarità del suono dei 45 Grave.
Assieme trattiamo anche due malriuscite esperienze di post-hardcore elettronico: quella dei Flyboys e quella di Geza X.
I Flyboys - dell'omonimo Ep del 1980 - sono un complesso senza nerbo che si nasconde dietro una scarna e inutile elettronica fino ad abbracciare un vieto dark-pop oltretutto incapace di melodie accattivanti. Servono comunque da testimoni di un'epoca, inaugurando il decennio degli anni Ottanta, che nelle sue manifestazioni più aberranti e commerciali fu anche questo. Del resto hardcore e pop potevano convivere in quanto entrambi rivissuti in modo new wave. Senza contare che questa, pensandola nel 1980, rimaneva musica nuova o almeno ignota al pop tradizionale degli anni Sessanta. Soprattutto per il ritmo sostenuto e ballabile, una batteria e una voce che oggi appaiono innocue ma che allora riuscivano a creare movimento. Non era infatti il pogo l'unico ballo dell'epoca, anzi, per la maggior parte nelle serate si ballava un misto tra l'attuale scalpitio delle discoteche e l'appena passata dance anni Settanta; magari vestiti in modo carnevalesco e truccati all'inverosimile. A distanza può salvarsi solo uno strumentale - "Theme Song", tappeto ritmicamente assai veloce e sostenuto, con distorsioni di chitarra a creare un effetto spaziale.
Il produttore Geza X, accreditato, fra gli altri, in singoli di Dead Kennedys, Black Flag, Weirdos, Germs, Red Kross e Avengers, nel 1982 dette un acclamato quanto deplorevole album intitolato "You Goddam Kids", che con una presuntuosa elettronica indegna persino come sigla di un cartoneanimato giapponese, cercava di sconvolgere la sua generazione riproponendo stilemi derivati da compositori d'avanguardia come Zappa e Beefheart e da band psichedeliche come Jefferson Airplane. Dopo varie produzioni negli anni Ottanta e Novanta, Geza X raccoglierà nel 1997 il frutto del proprio discutibile lavoro con "Bitch", il singolo bestseller" "di" Meredith Brooks.
In appendice a questi due ultimi casi riportiamo anche quello dei Black Randy & The Metrosquad che nel 1980 in "Pass the Dust, I Think I'm Bowie"dettero un valido esempio di rivisitazione surrealistica e futuristica del rock n'roll, secondo un filone allora assai in voga e pienamente new wave: anche la new wave del resto consisteva in una rivisitazione, a giochi finiti, del rock n'roll. Il punto è che, mentre la new wave in generale portava avanti tale rivisitazione con seriosità, il filone al suo interno di cui ci stiamo occupando, lo faceva con sarcasmo, sprezzatura e ostentate pose da intellettuale beffardo che si compiace di irridere gli altri facendo finta di essere uno scimunito.
L'opera dei Black Randy & The Metrosquad, accostabile a quella di Geza X,è post-hardcore perché dall'hardcore riprende la velocità delle ritmiche e la spossatezza della voce, anche se poi surclassa il tutto con le fughe da piano bar delle tastiere e le controllate sevizie jazzate della chitarra.
Apriamo adesso il capitolo che riguarda i Minutemen, la più importante esperienza del post-hardcore losangeliano e certo non solo. Come tutte le avanguardie, anche quella dei Minutemen è difficile da fruire. Sfuggente come il jazz, costipante come l'hardcore, intrisa del surrealismo fatalista proprio della new-wave. Come faranno poi i Melvins, e come avevano fatto - ad altri livelli - i Germs, i Minutemen rifondano l'uso dei tre strumenti rock - e non è un caso che queste rifondazioni abbiano spesso all'origine un gruppo strutturato come trio: un trio sono ad esempio gli Halo Of Flies e i Rapeman. Così è articolato un brano tipico dei Minutemen: durata di un minuto, ritmi jazz-core, chitarra dissonante e minimalista, canto rassegnato e apatico quasi in falsetto e scandito ai limiti del rap. Le combinazioni e le variazioni a partire da questi elementi sono poi potenzialmente infinite.
Dennes Boon è il cantante e chitarrista, Mike Watt il bassista, Gorge Hurley il batterista. In 6 anni i Minutemen registreranno oltre 150 brani, che se sono in miniatura non sono meno complessi di tante suite progressive; idealmente infatti potremmo riportare simili forme musicali, sia per l'accoppiata jazz/rock che per la laboriosità strutturale, a quelle canterburyane di fine anni Sessanta e inizio anni Settanta, prima delle quali fu quella dei Soft Machine.
Lo scopo generale dell'operazione dei Minutemen è quello di fornire un gigantesco affresco della società contemporanea e, attraverso questa, della natura umana; e ciò vale sia al microlivello del singolo pezzo sia al macrolivello che ne raccoglie tutti. Si può analizzare lo specifico brano o tentare da distanza una visione d'insieme: risulterà comunque una forma barocca ottenuta con scomparti semplici o minimali; come se il complesso derivasse per legge dal semplice, il caos dall'ordine, l'intelligente dallo stupido. Il senso di inconcluso, enigmatico, sconcertante, diafano, il senso di insoddisfazione causato da una totale mancanza di catarsi e da un reiterare quasi maniacale di una pratica idealmente descrittiva sono quelli prevalenti perché specchi multipli di una verità che così è ritenuta essere.
Troppo sofisticata e intellettuale sia per i circuiti hardcore che, tanto più, per quelli commerciali, la scuola dei Minutemen sarà da modello per un numero imprecisabile di discepoli, riportabili ai due estremi costituiti da Melvins e Fugazi. Se i Melvins possono vantare il diritto di considerarsi come i maggiori allievi dei maestri, avendone colto in profondità lo spirito per poi riconvertirlo in soluzioni formali originali, i Fugazi, con la loro estetica minimalistica e barocca al contempo, risulterebbero inspiegabili senza i Minutemen che, specie in certe ritmiche, seguono sino al plagio. E se è vero che Melvins e Fugazi saranno presi a riferimento da un gran numero di complessi tanto da inaugurare veri e propri filoni musicali, tuttavia non per questo sarà in quest'ultimi avvertibile la elaborata lezione dei Minutemen.
Infatti dei Melvins e dei Fugazi verranno colti per lo più gli elementi esteriori - che li dividono radicalmente - e non gli essenziali, come la discendenza dai Minutemen, che li uniscono. Bisogna poi aggiungere, da un lato, il terzo basilare gruppo che ha preso le mosse dalle architetture dei Minutemen, quello dei Pixies; e dall'altro il maggiore referente a partire dal quale i Minutemen hanno elaborato la propria opera: i Pere Ubu. Rispetto a quest'ultimi i Minutemen sono stati più importanti per il rock perché più fedeli ai suoi principi e più abili nello scavare entro i suoi limiti e nel farlo con i minimi mezzi. Per questi motivi, anzi, i Minutemen vanno considerati tra i maggiori gruppi rock di sempre. Come spesso accade per le avanguardie, diventa anche con i Minutemen più che inutile erroneo isolare composizioni migliori di altre, perché la categoria di bello e quindi quella di migliore non è applicabile ad un operato dedotto per via teorica e finalizzato ad esprimere concetti con il suono tanto degli strumenti che della voce. I brani citati saranno quindi da intendersi con funzione esemplificativa.
L'esordio, l'Ep "Paranoid Time" del1980, è ancora prossimo all'hardcore, seppur già teso a far implodere il genere. Formalmente anzi costituisce una rivoluzione di tutti gli schemi rock dell'epoca e quindi riveste un'importanza storica difficilmente sopravvalutabile. Qui è infatti già redatto il manifesto dell'avanguardia dei Minutemen. Tra paludi di basso, cuspidi di chitarra e frenesie di batteria, "Fascist" è l'episodio più melodico e tenero.
Dopo il singolo "Joy" del 1981, con lo spettacolo trasformista di "Black Sheep" e lo scenario thriller di "More Joy", è la volta, nel medesimo anno, dell'album "The Punch Line".
Nel 1982 all'Ep "Bean Spill", con la sinuosa "Afternoons", il crescendo "Futurism Restated" e l'arringa equorea "Split Red", fa seguito l'album "What Makes a Man Start Fires?", il momento più compiuto di compresenza tra hardcore, jazz e rock. Se "Bob Dylan Wrote Propaganda Songs" attacca, in pieno spirito hardcore, l'ipocrisia del celeberrimo cantante folk, il resto dell'album è un preziosissimo campionario di miniature ridondanti negli effetti e parsimoniose nei mezzi che spazia dal melodioso ("One Chapter in the Book", "Mutiny in Jonestown", "'99"), a una sorniona aurea mediocrità ("Fake Contest", "The Only Minority"), al sermone ("Pure Joy"), al deliquio ("Beacon Sighted Through Fog", "Plight"), all'acidità pura ("Split Red"), all'esotismo ("The Tin Roof"); spesso nell'arco di un medesimo brano ("East Wind/Faith", "Colors") e comunque sempre all'insegna dell'oscuro e del pregnante ("Polarity"). In pochi potrebbero tenere il passo di tali dinamismi, tra l'altro superbamente in grado di rivisitare secondo i dettami del nuovo jazz-core - acido, tribale e nevrastenico - ogni genere o stilema della musica popolare, dal country ("The Anchor"), alla new wave newyorkese ("Sell or Be Sold" - in "Life as a Rehearsal" pare di sentire i Television), al blues acquitrinoso ("This Road").
Del 1983 è l'Ep "Buzz or Howl Under the Influence of Heat" e del 1984 la compilation "The Politics of Time", uno straordinario pot-pourri di bootleg ("Hollering", "Suburban Dialectic", "Contained", "On Trial"), di juvenilia risalenti addirittura a fine anni Settanta, quando i Minutemen si chiamavano Reactionaries ("Party With Me Punker", "Swing To The Right", "¡Raza Si!", "Times", "Badges", "Fodder", "Spraycan Wars"), di notevoli registrazioni lasciate inedite ("Tony Gets Wasted in Pedro", "Shit You Hear At Parties"), di inarrestabili flussi di coscienza, ("I Shook Hands", "Maternal Rite", "Below the Belt" - con il riff di Ufo Robot). Il tutto con una certa dedizione per la melodia ("Working Men Are Pissed", "The Big Lounge Scene" - con la chitarra che attacca proprio come in "Smells Like Teen Spirit").
Nel 1984 esce anche il doppio "Double Nickels On The Dime", il miglior album rock dell'anno, che vorrebbe fungere, coi suoi 43 brani per 73 minuti, da testamento definitivo e colossale dell'operato dei Minutemen, ma che negli effetti lascia l'hardcore a vantaggio di una inarrestabile e magistrale cavalcata tra i differenti generi della musica popolare - dal blues al funk al country - comunque sempre ricondotti entro un'interpretazione di grande carattere e uniformità.
I Minutemen sono al massimo delle proprie capacità esecutive, che consentono loro di procedere come un combo da cocktail-lounge. Con una quadriglia country quale "Corona", si affacciano il sopraffino acquarello alla Meat Puppets "History Lesson, Pt. 2" e la grande elegia "Spillage", fondativa per i Pixies. "Political Song For Michael Jackson to Sing" è la satira parallela a "Bob Dylan Wrote Propaganda Songs".
Insuperabili traguardi di formalizzazione minimalistica, fondamentali per le direzioni poi seguite ad esempio dagli Slint," vengono raggiunti in versione sia strumentale "("June 16th") sia cantata ("The Big Foist"). Nell'avvio di "One Reporter's Opinion" si vede come i Minutemen possano fare con strumenti rock quello per cui Eno e Byrne hanno bisogno dell'elettronica. "My Heart and the Real World "è una storiella tutta freschezza; "This Ain't No Picnic" una delle rare dimostrazioni di forza - in chiave quasi da soul-core ma con spunti preziosi per i Fugazi. Prodigiosa la disinvoltura della chitarra in "Nothing Indeed". "Jesus and Tequila", "Viet Nam", "West Germany "declinano in multicolori modi un impegno sociale sincero perché derivativo rispetto a quello esistenziale e reso più prezioso dall'essere espresso attraverso procedimenti avanguardistici. "D.'s Car Jam/Anxious Mo-Fo "e "God Bows to Math "segnano l'elevata media qualitativa di questi brani.
Solitamente la grandezza di una canzone, e di chi l'ha scritta, si trova nella canzone medesima, nella sua capacità di suscitare sentimenti profondi a il maggior numero di persone. La grandezza dei Minutemen va ricercata invece nella loro grande abilità e intelligenza esecutiva; prima che compositori i Minutemen erano esecutori (quando di norma, nel rock, accade il contrario). Tanto che è impossibile fare cover dei Minutemen perché, a ben vedere, questi non hanno scritto canzoni ma improvvisato numeri: numeri comunque significativi come canzoni perché i contenuti vengono posti proprio nello studio e nell'impostazione che si trovano dietro e prima della loro esecuzione. Le stesse ragioni spiegano anche perché, viceversa, i Minutemen possano fare cover valevoli come brani propri.
Per ricchezza e qualità esecutiva, e a prescindere dal suo essere coinvolgente o meno (difficile, del resto, essere coinvolgenti quando si è anti-melodici), "Double Nickels On The Dime" si candida oggettivamente tra i maggiori album rock della storia. A confronto di un'opera del genere gli acclamati e tardivi interventi, almeno in linea di principio vagamente rapportabili a questo, di un Beck Hansen, mostrano tutta la loro pochezza (cfr. "Mellow Gold", 1994).
Nel 1985 escono due Ep, uno di cover, "Tour Spiel", e uno, "ProjectMersh, che segna un decisivo cambiamento nell'estetica dei Minutemen: 6 brani mediamente lunghi più di tre minuti, con un incedere relativamente rilassato e con l'intenzione di rendere più fruibili e semplici le proprie invenzioni.
Nel 1985 viene pubblicato anche il quarto ed ultimo album dei Minutemen, "3-Way Tie for Last", che concilia la ricerca precedente con gli approdi dell'ultimo ep. Lo scioglimento del gruppo fu causato dalla morte di Boon in un incidente automobilistico avvenuto il 22 dicembre 1985, quando Boon aveva 27 anni.
Sciolti i Minutemen, Mike Watt si allontanò sempre più dall'hardcore, varando con il cantante Ed Crawford l'ambizioso ed elegante progetto Firehose, teso da una parte a sfogare tutta la fantasia e la maestria al basso di Watt e dall'altra ad interpretare con un piglio non più hardcore ma rock-classic i più disparati generi della musica popolare: dal folk al funk. "Ragin' Full On" (1986), "If'n" (1987), "Fromohio" (1989), "Flyin' The Flannel" (1991), sono operazioni di raffinato intrattenimento, intelligentemente radiofoniche ed enormemente al di sopra della media sotto tutti i punti di vista. Contesi tra atmosfere esotiche e trasognate e un certo virtuosismo esecutivo (alla batteria c'è ancora Hurley) ma senza quasi mai cadere nell'autocompiacimento o perdere il più genuino spirito indie, risultano tutt'oggi assai godibili, capaci come sono di fare storia a sé.
Trattiamo adesso altre due delle maggiori proposte del post-hardcore losangeliano, i Social Distortion e i Vandals, diversi in tutto eccezion fatta per la loro alta qualità.
Entusiasmanti e popolari furono i Social Distortion di Mike Ness (nato nel ‘62), che sposavano tradizione e innovazione, attitudine e ideologia hardcore con espedienti hard-rock, rhythm and blues, rock n'roll e country. Nel primo album del 1983, il classico "Mommy's Little Monster", si trova il capolavoro "Moral Threat". Il lungo brano, non plus ultra per le esibizioni dal vivo, è retto da crescendo, pause e accelerazioni; tra dissonanze e melodie, costituisce il sottofondo più appropriato per la sofferta e adolescenziale voce di Ness che riesce a rendere epica e sacra, senza alcun compiacimento, la vita sbandata e perduta della sua generazione.
Cinque anni dopo, nel 1988, il gruppo ritorna, celebrando i dieci anni di attività, con il convinto "Prison Bound", all'insegna della stessa formula cui si aggiunge un piglio di epica country che attenua un po' i volumi. Va tuttavia detto che il principale sostegno di questa musica sta nella voce e nell'afflato di Ness, che da solo vale anche più di quanto canta. L'omonimo album del 1990 continua sulla linea del precedente, tra Clash e Johnny Cash, curando ulteriormente la formula e insistendo particolarmente sul lato melodico.
Nel 1992 "Somewhere Between Heaven And Hell", con "Cold Feelings", non mostra alcun segno di cedimento, ed anzi vanta un interessante inasprimento nell'approccio ai brani che fa accostare l'epos da linea d'ombra di Ness a quello di Greg Graffin dei Bad Religion. L'album, che dispensa anche tanto mestiere, pur copiando sfacciatamente i Clash in "Sometimes I Do "e avvicinandosi pericolosamente ai R.E.M. in "King of Fools", è, con l'esordio e l'album seguente, il migliore del gruppo e insegnerà non poco, ad esempio, all'hard-rock dei Pearl Jam: insegnerà alla generazione grunge la musica tradizionale americana.
Nel 1996 in "White Light White Heat White Trash" basta difatti l'attacco di "Dear Lover" per garantire sulla qualità e integerrimità del prodotto. Ancora tanta robustezza, forza, ispirazione, come a dire che i bei tempi non sono mai passati. Davvero in pochi possono vantarsi di essere invecchiati così bene come Ness. Chitarre taglienti, ritmi fascianti, conflagrazioni assicurate. Tanto che possiamo considerare gli ultimi due, notevoli album e specie il secondo, più vicini all'hardcore dei precedenti. Inutile citare luoghi particolari perché quasi tutti sono ispirati e portatori di un senso d'essere e d'una esuberanza capaci di spazzare via tutte le band hardcore revival d'oggigiorno. Se non contassero considerazioni di carattere storico, "White Light White Heat White Trash"andrebbe annoverato come il migliore album dei Social Distortion.
Nel 2004 il gruppo ritorna con il più meditativo e calmo "Sex, Love and Rock 'n' Roll". Queste chiassose ballate sono sempre al di sopra della media, ma ormai suonare pare diventata una questione privata, per far sopravvivere il soggetto e non per comunicare significati all'ascoltatore.
Apparentemente farraginosa, priva di mordente e logorroica, la venticinquennale carriera dei Vandals del batterista e bassista Joe Escalante, risulta a conti fatti tra le più interessanti dell'underground americano. Esordirono nel 1982 col buon ep "Peace Thru Vandalism", frizzante hardcore da collegiali pienamente consonante con l'epoca dei Descendents. "Urban Struggle" il galoppante singolo trasmesso dalle radio delle scuole locali; "Anarchy Burger "il pezzo più urlato. Rimarrà l'unica loro opera in campo hardcore tradizionale. Fin dal primo album del 1985, "When in Rome Do as the Vandals", il suono del gruppo cambierà in una pesante e talora fine a se stessa demenzialità sulla falsariga dei Dickies, tanto che i Vandals passeranno alla storia come il gruppo di hardcore demenziale per eccellenza.
Ora, parlare di hardcore demenziale è una contraddizione in termini, se non altro considerando che questa doveva essere musica con particolare riguardo verso i contenuti. Dal momento però che ciò è stato possibile andranno ricercate le cause nel fallimento degli stessi propositi hardcore coincidenti proprio col suo divenire moda e, in quanto tale, musica sfruttabile gratuitamente. Lo scopo dei Vandals sarebbe quello di fare critica sociale tramite la demenzialità ma più che altro paiono volersi solo divertire, o meglio, paiono più interessati al lato privato che a quello pubblico della persona. Tolti gli episodi più cabarettistici, la loro proposta dell'85 consiste in brani veloci e potenti persi in ritmi di grancassa, storpiati a più non posso da coretti e vilipesi dalle contorsioni della chitarra volte a stendere il tappeto per motivetti idioti quanto orecchiabili.
Messe in chiaro le intenzioni va dato atto al gruppo di riuscire pienamente nella loro realizzazione, grazie soprattutto a solide basi tecniche che emergono nelle vignette più lineari come "Airstream", con richiami ai Dead Kennedys. L'intero album risulta ispirato e un classico per il genere; il migliore della loro fase programmaticamente demenziale. Riesce infatti a trovare anche momenti di malcelato sentimento, come nell'aria dell'epica danza semi-acustica di "Mohawk Town" o in quella più esagitata di "Big Bro Versus Johnny Sak", con l'intento di riscrivere in modo personale la mitologia del selvaggio West. Il Bowie strozzato di "Viking Suit" e la cantata corale che mette tutto a man bassa di "Bad Birthday Bash", lo confermano.
Dopo questa memorabile prova i Vandals si sciolgono, perdendo il chitarrista Jan Nils Ackerman ed il cantante Stevo. Tornerà nel 1989 nelle mani del chitarrista Warren Fitzgerald con il particolare semi-acustico "Slippery When Ill", poi riedito come "The Vandals Play Really Bad Original Country Tunes", che propone una versione alla Vandals della musica e del mondo country americano. Anche questa volta la scommessa risulta vinta: "Desert Woman" riesce a farsi prendere sul serio con le sue maestose atmosfereed "Elvis Decanter", con il suo ritmo country inesorabile, riecheggia l'inesorabilità della morte.
Come messa in atto di una terza svolta stilistica, nel 1991 è la volta di "Fear Of A Punk Planet", forse l'album più conosciuto del gruppo, che, per quanto ben suonato e prodotto, è vittima proprio di quella verbosità tra hard-rock, pop e funk che vorrebbe parodiare nel tentativo di mettere in ridicolo i complessi pop-metal allora di moda. Assai migliore "Live Fast Diarrhea", nel 1995, che torna selvaggiamente all'hardcore degli esordi.
La furia che riversa nell'ascoltatore "Kick Me" si mangia in un sol boccone tutte le nuove leve, in ogni occasione la chitarra è una stratosferica trivella e la sezione ritmica devastante; spontanea, articolata ed originale la scrittura dei brani: "And Now We Dance" rappresenta lo standard, "Happy Birthday "il capolavoro fatto di sinfoniche conflagrazioni.
L'anno dopo "The Quickening", che ripropone qualcuno di quegli intenti parodistici messi da parte nella notevole opera precedente, si mantiene sempre su standard inarrivabili per la musica mainstream e di tutto riguardo anche per quella sperimentale. Nessuno nel '91 poteva prevedere simili risultati da parte di un gruppo continuamente dato per perso.
La ricchezza della proposta dei Vandals è tale, in simili occasioni, da richiedere paginate per la sua descrizione. Sempre nel 1996 esce il concept sul Natale "Oi to the World: Christmas With the Vandals" che, se da una parte proprio per i suoi eccessi di stravaganze potrebbe finire per annoiare risultando la classica opera di troppo, dall'altra è ancora una volta un profluvio di capacità esecutive e compositive in grado di spaziare dai bisbigli acustici di "Hang Myself From the Tree", che ruba il mestiere a tanti folksinger, sino allo strumentale ad alta tensione "Dance Of the Sugarplum Fairies", e in modo tale da porsi non lontano dai risultati raggiunti da Zappa.
Nel 1998 "Hitler Bad, Vandals Good" punta sul melodico laddove "Live Fast Diarrhea" aveva puntato sull'irruenza: c'è ancora la spericolata "I Know, Huh?", ma nel complesso si registra un passo indietro; comunque, sia ben chiaro, siamo ancora anni luce dalla media altrui. "Look What I Almost Stepped In", del 2000, è incredibilmente fresco e godibile. Più corposo del precedente, sventola una serie di scorribande smaliziate, aperte da "Behind the Music", dinanzi alle quali la proposta, ad esempio dei Pearl Jam, sembra da bisnonni. È di sicuro uno dei migliori album dell'anno, e non solo, che fa ballare e riflettere con "Jackass", che esplode e taglia con "I'm the Boss of Me", si diverte nello scioglilingua di "Get a Room", si eleva a padre in "Fourteen" e passa dall'ambient all'hardcore in "You're Not the Boss of Me".
L'immotivato "Internet Dating Superstuds" del 2002 sta al precedente come "The Quickening"a "Live Fast Diarrhea" ma con assai minor qualità.
Una terza grande esperienza del post-hardcore californiano ma con molti più elementi di rock tradizionale che di hardcore, fu quella dei Dream Syndicate. I Dream Syndicate di Steve Wynn sono una delle formazioni di riferimento per tutto il rock perché negli anni Ottanta riuscirono a porsi sulla linea del rock base che negli anni Sessanta e Settanta era stata percorsa da Lou Reed, Neil Young, Creedence Clearwater Revival, Bruce Springsteen, Patti Smith. I Dream Syndicate percorsero questa linea assorbendo i condizionamenti culturali dell'epoca post-hardcore ma senza elaborare quella formalizzazione capace di creare un suono nuovo eppure totalmente rock come avevano fatto i grandi gruppi della new-wave newyorkese quali i Television, a cui comunque i Dream Syndicate vanno accostati.
Il primo album, "The Days Of Wine And Roses" (1982), ricoprì il ruolo di "Marquee Moon" della West Coast: nove brani corposi e difficili da sviscerare a pieno, tra acidità e apatia, ispirati a Lou Reed e Velvet Underground e culminanti da una parte nella fatalista "That's What You Always Say" e dall'altra nel noise cacofonico di "When You Smile".
"Medicine Show" (1984) segna una prorompente maturazione: persi anche nelle ritmiche gli ultimi retaggi hardcore, si è posti di fronte a otto lunghe ed impeccabili tracce che con ispirazione e maestria costituiscono una sorta di enciclopedia del rock base dove la complessità ed ieraticità strutturale trovano spesso la via del cuore; "Burn", "Bullet With My Name On It" e "Merrittville" sono i punti fermi. "Out Of The Grey" (1986) presenta una carrellata di canzoni rock semplici e immediate, lontane dai riti che hanno fatto di "Medicine Show" un luogo di insuperabile esemplarità. "Ghost Stories" (1988), prodotto da Neil Young, è mediocre come il precedente ma racchiude probabilmente arie migliori.
Forse ancora più importante di quello dei Dream Syndicate è il contributo alla storia del rock dato dai Gun Club di Jerry Lee Pierce (1958-1996), che in più possono venire riportati al post-hardcore in un senso meno lato. Senza l'hardcore i Gun Club sarebbero impossibili; specialmente impossibile risulterebbe il loro album d'esordio, "Fire Of Love" (1981), forte di uno dei rock più autorevoli e consapevoli della storia, che si accosta al revival dei Cramps, conduce per mano sino alle frenesie dei Pixies e soprattutto interpreta con carattere ed in modo impeccabile gran parte delle inflessioni della musica popolare americana: blues e country in testa. Il tutto a ritmiche serrate e con un canto teso ed evocativo.
La lunga e tragica vicenda dei Gun Club vedrà prima di giungere al suo epilogo ancora una decina di pubblicazioni. "Miami" (1982) fa passare dalla rivisitazione del blues a quella del rock n' roll, culminata nell'Ep del 1983 "Death Party", capace di valere da solo come sorta di abc del rock. Con un canto spaurito come quello di Robert Smith (Cure) ma ben più strutturato, Pierce interpreta cinque intensissime canzoni che, in atmosfere sfinenti alla Siouxsie and the Banshees, con tanta linearità e autorevolezza si pongono nella linea del rock classico di Lou Reed battendolo sul suo medesimo terreno. La trasognata "The ""House On Highland Avenue" (che nello specifico batte sul loro terreno i Dream Syndicate) e soprattutto la trascinante "The Light Of The World", doppiata in modo egregio dal romanticismo di "The Lie", costituiscono il fulcro dell'istituzionalizzazione del rock condotta qui dai Gun Club e che può benissimo essere vista come la base di tutto il rock degli anni Ottanta fino ai Nirvana compresi. Le sincopi da ballo di San Vito di "Come Back Jim "e il poderoso blues di "Death Party "- fra i maggiori della storia del genere - riportano ai rituali ctonii di "Fire of Love" con una proprietà di mezzi da valere come una scuola per tutti.
"Las Vegas Story" (1984) è allora la più ampia collezione di impeccabili rock d'alta classe dei Gun Club: forse nessun'altro - Cramps compresi - è così a suo agio nel porsi entro il solco della tradizione e, con pieno rispetto, di rinnovarlo e soprattutto rinvigorirlo dall'interno come il Pierce di "Bad America", "Giv Up The Sun", "Moonlight Hotel", "The Stranger in Our Town". Quello che colpisce nei Gun Club è poi la straordinaria capacità di innestare su ritmiche martellanti soluzioni armoniche estremamente elaborate e variegate. Ben oltre Robert Smith, bisogna qui riferirsi addirittura - e anche per il canto tra il mistico e il nichilistico di Pierce - alle sinfonie di Tim Buckley se non a quelle di Nick Cave.
Concludiamo l'analisi del post-hardcore losangeliano propriamente detto della prima metà degli anni Ottanta con due discrete presenze, quella dei Secret Hate e quella delle Pandoras, e con due mediocri, quelle di Agression e China White.
Sulla linea dei Dead Kennedys da una parte e dei Minutemen dall'altra i Secret Hate con i 10 minuti di "Vegetables Dancing"mostrano con competenza e fantasia quanto sia versatile il mezzo hardcore; mezzo per un fine, che è il post-hardcore, e che consiste, in questa sua versione, formalmente, per un rilassarsi e variegarsi delle composizioni (in un minuto e mezzo e con tre strumenti tre è fatto rientrare dal jazz, al blues, al cabaret) - contenutisticamente per un umorismo che ripropone i temi e le esigenze tipiche dell'hardcore ad un pubblico più cresciuto o comunque più maturo (siamo nell'83) che deve imparare a guardare a se stesso con il necessario distacco per l'autocoscienza e la riflessione. "Death In the Desert" e "Bomb Chic" sono, pur in miniatuara, composizioni articolate e studiate che a passo tribale (senza escludere cambi di tempo con repentine accelerazioni e conflagrazioni) sono tese non più a sovvertire ma a sopportare una realtà comprendendola con tutta l'amarezza dell'umorismo ed il sarcasmo del gioco.
Le stranezze di altre composizioni come "Midas Touch" e "Edge Marin" - sempre ben squadrate eppure ineffabili - fanno di questa musica una vera avanguardia rock (oltretutto irriducibile ai modelli pur riconoscibili: i Dead Kennedys per la voce e la corposità del suono; i Minutemen per le deragliate e le spregiudicatezze ritmiche). L'opera, brevissima e circoscritta dei Secret Hate, non ha picchi perché non vuole hit o momenti più rappresentativi l'uno dell'altro; piuttosto è una sequela impeccabile di divagazioni sullo stesso tema ma nessuna fine a se stessa, perché quel tema è la sperimentazione come spregiudicata riflessione ed estetica surrealista; di un surrealismo sempre e comunque all'umor nero. "Latin Chongo" e "The Ballad of Johnny Budd" sono gli esempi più programmatici e meno hardcore: singhiozzi quasi reggae che dipartono da robuste strutture di basso e da un canto versatile e vigoroso che immette propria linfa ai numeri di un ipotetico cabarettista o declamatore.
Le Pandoras sono con le Frigthwig il principale gruppo anticipatore delle riot grrrl. Una commistione del jingle-jangle dei Byrds e di una velocità esecutiva talora memore dell'hardcore, con aggiunta soprattutto di urla roche e sguaiate che faranno scuola: basterà aggiungere un sottofondo grunge a queste urla per avere le riot grrrl. Ma le prospettive di Paula Pierce, la reggitrice delle Pandoras, erano assai più aperte. Nell'album "It's About Time", del 1984, con esperienza e agilità si passa da blues soffocati a marce rockabilly altisonanti, senza imbarazzo nel giostrarsi in swing e contaminazioni varie comunque sempre coordinate da una fantasia che si serve di esse per comunicare i sinceri ed impellenti pensieri che l'attanagliano. Album di revival anni Sessanta curato, vissuto e riuscito, per nulla confinato nella sua epoca a dispetto del volontario look kitsch delle sue autrici.
Velocità e canto pienamente hardcore, quello dei China White del precoce Ep del 1981 "Danger Zone", ma è preferibile parlare di post-hardcore siccome dell'hardcore si propone una versione lunga e distesa, con pezzi tra i due e i quattro minuti, e si ha un suono compatto e ben orchestrato, con accenti dark, squadrature e intelaiature rock n'roll e metal. Manca tuttavia il mordente di una buona scrittura (vedi "Living in Your Eyes" e "Nightlife") e impera una certa pastosità e ingenuità, col basso troppo stonato col resto. Gruppi post-hardcore di ben altra qualità, e specie di fine anni Ottanta, dovranno comunque passare anche da questi solchi antimelodici, estremi nella loro mediocrità e sinceri; da questi episodi narrativi e talora espressivamente pittorici. Alla fine, il meglio, sta nello strumentale tiratissimo "Anthem", tra rock'n'roll e metal.
I China White sono sullo stesso campo dei Social Distortion ma senza lo spessore di Mike Ness.
Gli Agression dell'album "Don't Be Mistaken" (1983) sono un gruppo incolore e privo di idee che propone un hardcore rallentato e appesantito dal metal; con un cantate che cerca di rendere interessante un suono cupo ma monotono attraverso vocalizzi vagamente ispirati ad H.R. dei Bad Brains. La cultura degli Agression è quella dello "skateboarder" come quella dei J.F.A. e di tanti altri giovanissimi collegiali. È già un miracolo che gruppi così amatoriali siano riusciti a pubblicare. Per la prima volta nella storia però il gioco dei minorenni non è un gioco ma una riflessione, per quanto retorica, ingenua e meschina, comunque esistenziale su se stessi e la vita in generale. Con tanto di etica ed estetica.
Proponiamo adesso un'appendice al post-hardcore losangeliano rifacendoci al metal di Metallica e Slayer. Con un qualche intento provocatorio abbiamo inserito i Metallica, i padri del metal moderno, nel post-hardcore, per sottolineare quanto l'hardcore sia stato fondamentale per lo sviluppo del metal. Senza di esso infatti la velocità e la violenza che hanno portato i Metallica prima all'istituzionalizzazione del thrash e all'invenzione dello speed e poi alla sintesi di questi nell'heavy vero e proprio, sarebbero inspiegabili.
Non è necessario ricorrere alle dichiarazioni di Hetfield e Ulrich o alle cover presenti in "Garage Inc." (1998) per rendersi conto del debito dei Metallica verso l'hardcore - debito solitamente non riconosciuto, vista l'ostentata opposizione formale e ideologica di tanta parte del metal, specie di quello più classico, all'hardcore e al punk.
Ma il nuovo metal, il metal dei Metallica, si è concretizzato, rendendo vecchio quel metal degli Iron Maiden che a suo tempo si proclamò nuovo (NWOBHM), proprio a partire dall'hardcore. Evidenti le tracce di questo processo in "Kill'Em All", l'album del 1983 - anno, non a caso, della seconda maniera hardcore - che sancisce la formalizzazione di thrash e speed. Se "Motorbreath" è praticamente - per la ritmica - hardcore, anche "Whiplash" e in generale tutti i momenti più estremi dipendono dalla lezione hardcore. D'altra parte, in campo più propriamente metal, i Metallica non si rifacevano alla scuola degli Iron Maiden, bensì a quella, non ortodossa, di Motorhead, Venom e Mercyful Fate.
Sul successivo "Ride The Lightining" (1984), l'album che consacra il metal heavy, inteso come fusione di assoli speed e ritmiche thrash, i retaggi hardcore sono oramai invisibili, ma ciò non importa perché significa soltanto che la forma hardcore, fatta di velocità e potenza, è stata a pieno interiorizzata. Si ricordi poi il debito dei Motorhead, i primi fautori del thrash, verso il punk inglese - i cui rapporti con l'hardcore abbiamo già analizzato - e si aggiunga l'importanza decisiva che questi hanno avuto per i Metallica; si vedrà così chiuso il cerchio entro cui considerare il metal moderno una forma costituitasi a partire dal post-hardcore e poi via via resasi indipendente.
Non a caso, tutta una serie di gruppi metal hanno fatto nel corso degli anni cover di gruppi hardcore o punk e viceversa; e stili heavy-metal come il death e il grind derivano i loro espedienti più peculiari direttamente dall'hardcore: il canto cosiddetto topo-in-gola o "larynx-shredding screaming" è ampiamente attestato, prima dell'avvento dei Possessed, in formazioni hardcore come i Meat Puppets; e la brevità - fino ad arrivare a pochi secondi - del brano grind, come la sua inintelligibilità, è tutta hardcore - e non è necessario portare l'esempio estremo dei D.R.I.
Come i Metallica, così gli Slayer, l'altro gruppo fondativo del metal moderno, sono inspiegabili senza l'hardcore. Il loro classico, "Reign In Blood", del 1986, può formalmente essere visto come un estremo sviluppo della seconda maniera hardcore. Del resto, dalle ritmiche asfissianti ai brani lunghi un paio di minuti, siamo molto vicini alla proposta di gruppi dichiaratamente derivativi rispetto all'hardcore - se non, in una certa misura, del tutto hardcore - come gli S.O.D. In virtù di tutto ciò, possiamo vedere nella stagione hardcore lo spartiacque fra il metal classico - quello inglese di Judas Priest e Iron Maiden - ed il metal moderno o heavy-metal vero e proprio - quello statunitense di Metallica, Possessed e Slayer. Ciò, infine, non significa che di fatto singole formazioni d'avanguardia come Motorhead, Venom e Mercyful Fate, non abbiano a suo tempo svolto un ruolo simile a quello forse più teoricamente svolto dall'hardcore nel passaggio dal metal classico all'heavy-metal.
È ad ogni modo un dato obiettivo che il metal più heavy si sia all'inizio sviluppato negli Stati Uniti e che questa sia anche la patria dell'hardcore; hardcore che non a caso è nato prima e negli stessi luoghi - tanto che il cerchio qui si restringe dagli Stati Uniti allo Stato della California - dell'heavy-metal, declinabile essenzialmente in thrash, speed e death (e si ricordi che anche i Possessed, i padri del death-metal, tenuto a battesimo nel 1985, erano californiani).
Prima delle espressioni post-hardcore coeve al revival-hardcore, rappresentano il post-hardcore losangeliano quattro formazioni assai diverse tra di loro; accomunate forse solo da una sostanziale mediocrità: i Camper Van Beethoven, i Leaving Trains, i Blast e le L7.
I Camper Van Beethoven non hanno nulla a che fare con l'hardcore ma sono inspiegabili senza di esso; proprio come gli inglesi Pogues nei confronti del punk. Come i Pogues, i Camper Van Beethoven non si dedicano tanto al rock quanto ad un folk più o meno sperimentale: non sono cioè, come si tende a credere, dei rivoluzionari della musica rock ma - e lo testimonia il dispiego di strumenti e strumentini di cui si servono - degli amatori di country, valzer, tango, tarantella e musica etnica. Come spesso accade, tuttavia, chi coltiva da esterno, da non esperto, una certa materia (in questo caso la musica tradizionale dei vari paesi) facendola poi rientrare in un contesto non suo (in questo caso il mondo rock e post-hardcore), passa come un avanguardista di quest'ultimo contesto quando invece non è altro che un pedante del primo.
I Camper Van Beethoven pubblicarono cinque album tra il 1985 e il 1989 fatti da un nugolo di canzoncine, snervanti e gracili, molte delle quali strumentali: gli episodi migliori cono quelli cantati e che parodiano la civiltà hardcore con vignette da merseybeat. Del resto l'influenza inglese è quella più marcata: da un lato i Pogues, dall'altro il merseybeat anni Sessanta e da un terzo, forse maggioritario lato, la Penguin Cafe Orchestra della quale, senza averne le doti, i Camper Van Beethoven cercano di ripercorrere le raffinate gesta.
I Leaving Trains di James Moreland erano invece portatori di un sanguigno ed enciclopedico garage-rock, più o meno aduggiato d'orpelli, sulla falsariga dei primi Replacements. Senza infamia né lode i loro numerosi album tra il 1984 ed il 2002. A Moreland, coinvolgente e sincero istrione, è sempre mancata purtroppo la capacità di comporre.
I Blast poi, con tre album fra il 1984 ed il 1989, si ponevano sui territori dei Fang: un post-hardcore mostruosamente dilatato, paludoso, abbrutito.
Le L7 infine, sulla linea del foxcore delle Frightwig e con marcate ascendenze metal, inaugurarono il filone delle riot grrrl; ma lo fecero con modestia, senza il florido estro delle Babes In Toyland né la retorica delle Hole. L'omonimo album d'esordio del 1988 ha più che altro un'importanza storiografica. Seguiranno altri cinque lavori, sino al 1999.
Ben altra consistenza rispetto a questi ultimi quattro esempi possiede l'attività di Henry Rollins. Sciolti i Black Flag, Henry Rollins dette due album basilari, rifondando nell'uno il rock n' roll e nell'altro il metal. "Hot Animal Machine", del 1987, con il chitarrista Chris Haskett, è una raccolta di rock n' roll per lo più senza fronzoli dove la fantasia e la brutalità sortiscono assieme un inusitato effetto di implosione, scoramento e, al di là di ogni supplizio, sopravvivenza. C'è l'antirazzista "Black and White" - quasi uno straight edge - la morbosa "Followed Around", la nenia alla Naked Raygun "Lost and Found", l'acre formulario "There's a Man Outside", soprattutto la violenta "Hot Animal Machine 1". C'è materiale che riporta ai Black Flag: il dissacrante e dissonante scioglilingua "A Man and a Woman", la tormentata marcia funebre "No One". Ci sono cover che da sole danno la misura di cosa significhi creare un suono: "Ghost Rider" dei Suicide, "Crazy Lover" di Chuck Berry - il numero centrale dell'album - "Move Right In "dei Velvet Underground.
"Life Time", nel 1988, con Andrew Weiss al basso e Sim Cain alla batteria, sposta l'interesse sul metal e, grazie ad una band d'eccezione combinata ad una vena ricca e sopraffina, si qualifica come il maggior risultato di Rollins. I suoni rock potrebbero anche dividersi in due categorie: quelli catartici e quelli non catartici. I primi liberano e gratificano a costo di portare all'autodistruzione (basti l'esempio dei Nirvana), i secondi possono toccare i recessi più disumani ma non perdono mai il controllo di una situazione dominata a priori o da cui si è dominati nel senso che non è possibile partire da essa per l'annichilimento. Quello di "Life Time", e di Rollins in generale, è un estremo esempio, a prescindere dalle intenzioni, di rock non catartico, di rock della sussistenza inevitabile.
Il suono della Rollins Band, pur svariando magistralmente a destra e a sinistra, non va mai oltre certi limiti entro cui si costipa ed esacerba: non viene mai meno alla sua aurea mediocrità. Anche le urla, possenti, di Rollins, nel loro essere genuflesse, si trovano tutte all'interno di questa gabbia, di questo senso di irrimeabilità e impotenza. In una decina di brani impeccabili, si distinguono: il saggio vocalico nel finale di "Turned Out", la cruda immediatezza di "Do It", lo scorato di "If You're Alive", il cinismo spavaldo e sincopato di "You Look at You", la tragedia infinita di "Gun in Mouth Blues" - interpretata dalle urla più feroci di Rollins -, il trittico che costituisce l'ossatura di tutta l'operazione - "1,000 Times Blind", "What Am I Doing Here?", "Burned Beyond Recognition". I Pantera di Philip Anselmo con il loro metal teppistico - così ingerente in certo metal degli anni Novanta - derivano da questi risultati (cfr. "Cowboys From Hell", 1990).
"End Of Silence" (1992) doppia con più incertezza i risultati del precedente capolavoro. Lo seguono altri cinque album.
Finalmente giungiamo alle formazioni post-hardcore nell'epoca dell'hardcore-revival. Di queste ne consideriamo sei, tutte perlopiù mediocri. Una settima è invece eccezionale.
Nonostante le considerevoli doti tecniche, fu complessivamente misera la proposta all'insegna di nostalgica, compiaciuta melodia e tra hard-rock, metal, hardcore e pop dei Big Drill Car. Attivi tra il 1987 e il 1994 con quattro album, dei quali il più finito è "Cd Type Thing", del 1989, e ponendosi su una linea di post-hardcore robusto, levigato e squillante, i Big Drill Car, sorta di versione radiofonica degli Seaweed,storicamente ebbero comunque un considerevole ascendente sia sulla generazione grunge che su quella dell'hardcore-revival californiano. Dai Pearl Jam agli Alice In Chains ai tanti epigoni grunge di metà anni Novanta, passando per gli Offspring e arrivando sino a certe aberranti espressioni dei giorni nostri, la ricetta dei Big Drill Car si trova un po' ovunque e spesso senza neanche la sapienza, perizia e fondamentale onestà del gruppo madre. Musica di riflessione superficiale per adolescenti che tutto sommato stanno bene al mondo, ha contenuti pari alle qualifiche della voce che li enuncia; piatta, senza nerbo, infantile, alla fine noiosa.
Pur tentadole tutte, anche gli Olivelawn purtroppo non ce la fecero, musicalmente, ad uscire dall'anonimato. Il loro esordio del 1990, "Sap", è un lavoro enciclopedico e logorroico, composto con sudore e sincerità ma incapace di appiccare alcun fuocherello - per quanto si richiami alle arditezze di Green River e Mudhoney in pezzi estremi che violentano con capacità esecutiva la forma canzone. "Sophomore Jinx", l'anno seguente, pose per sempre fine al progetto Olivelawn.
Venendo ai Rocket From The Crypt, questisono il gruppo personale del chitarrista John Reis dei Drive Like Jehu che, nato forse come un diversivo, ha finito per diventare la sua occupazione primaria e anche più remunerativa. Neanche lontanamente paragonabili per valore ai Drive Like Jehu, a partire dal 1991 hanno proposto, in una manciata di album, un post-hardcore manierista, parodico verso il rock passato e presente, di quando in quando melodico e struggente, quasi sempre ricercato e traboccante di spirito adolescenziale, ma tutto sommato fine a se stesso e privo di cose significative da dire.
Tonyall è invece il nome di un progetto del bassista Tony Lombardo e del batterista Bill Stevenson sotto la cui egida uscì nel 1991 l'album "New Girl, Old Story". Si tratta di dodici pezzi di hardcore così melodico e depotenziato da non essere più tale, senza ambizioni e con fin troppo marcate inflessioni pop contese tra romanticismo e cabaret. Il referente principale è il country spaziale e progressivo dei Meat Puppets, di cui si fornisce una pallida copia.
Con l'album "This Isn't Me"del 1991 i 411, affrancandosi dalla modestia dei predecessori, dettero un'opera assai fantasiosa ed ispirata, che prendeva dal grunge e dal metal senza però discostarsi dallo stato adolescenziale e soprattutto dall'immediatezza hardcore. In un pezzo come "Those Homophobic" si riparte dai secondi Bad Brains e si anticipa il cosiddetto nu-metal, con chitarre pesanti, canto scandito sulla falsariga del rap e urlo melodico nella strofa. "Naked Face "vanta quel melodismo di cui talora difettavano i Faith No More; "Destroy The Dream" consente libero sfogo alla traumatizzata e catartica voce di Dan O'Mahony; "Self Help" vede un cosmico giro di chitarra e posture poi riprese dagli Smashing Pumpkins; "This Isn't Me" continua in quella commistione di rap, metal ed hardcore di lì a poco portata alle estreme conseguenze dai Rage Against The Machine senza il trasporto emotivo qui invece sempre ben presente; "Blackout" designa quindi già l'ossatura per le composizioni dei Korn; "Face the Flag" infine dispensa notevoli dosi di depressione ma anche di esaltazione mistica. I 411furono capaci di segnare la strada per tutti questi più celebrati gruppi, andando al di là però di quello che negli altri diventa spesso il fine a se stesso e riuscendo sempre efficaci e sinceri nel comunicare stati d'animo e afflati esistenziali.
Approdiamo infine ai Drive Like Jehu, l'ultimo traguardo raggiunto dal post-hardcore losangeliano e dal post-hardcore in generale e quindi uno dei traguardi più alti di tutto il rock: anche perché se il post-hardcore sta alla fine del rock e i Drive Like Jehu ne sono l'espressione finale essi saranno l'espressione finale anche del rock.
La vera grandezza dei Drive Like Jehu consiste nell'essere partiti dalle conquiste architettoniche e formali dei Fugazi e nell'aver rivolto queste all'espressione dell'ultimo stato esistenziale possibile a seguito della meditazione sulla relatività di ogni valore anche alternativo nonché della valenza assiologica del rock. I Drive Like Jehu sono cioè riusciti a spremere il succo dell'ultimo sentimento adolescenziale ed umano nell'epoca degli Slint: nell'epoca dell'atonia musicale specchio dell'apatia di chi ha veduto scadere anche l'ultimo ideale hardcore. Siamo, sul piano della ricerca musicale, laddove i Nirvana lo sono su quello radiofonico: all'ultima contemplazione sentimentale su di un nulla che si impone come l'unica realtà effettiva.
I Drive Like Jehu, come i Nirvana, hanno dovuto prendere atto dell'immodificabilità di un reale che vale come nulla e del fatto che l'unica possibilità umana consiste nel costruire mondi meramente interiori e privati a partire da esso.
Nell'omonimo album di debutto, datato 1991 proprio come "Nevermind" dei Nirvana, una composizione della durata di 7 minuti e intitolata "If It Kills You", esprime da sola e parallelamente a "Smells Like Teen Spirit", queste forme e contenuti: è perciò, come "Smells Like Teen Spirit" sul piano radiofonico, non solo il brano più elevato di tutto il post-hardcore ma anche uno dei maggiori del rock. La composizione va accostata ad almeno altri tre gloriosi esempi passati, che abbiamo già avuto modo di citare: "So Cold "dei Rocket From The Tombs, "Never Tell "dei Violent Femmes e "Budd" dei Rapeman. Come questi altri capolavori si sviluppa in una sapiente dialettica di pieni e vuoti, fragilità e violenze, pianti e squarci di luce. L'inizio è dato dai giri di basso di Mike Kennedy frammezzati ai tintinnii della chitarra di John Reis; dopo un minuto si inserisce la scanditissima batteria di Mark Trombino e assieme le chitarre si aprono in ampie volute. Quindi s'innalza il lamento di Rick Froberg che culla in modo estremamente lancinante e puro, tanto terreno quanto celestiale.
Il suono, sinfonico eppure epidermico, si fa sempre più concitato, ora geometrico ora suicida; al ritornello scarnificante, una volta tentato una seconda volta affrontato di petto, tutti i riferimenti tecnici e culturali saltano a vantaggio dell'urlo più viscerale della storia del rock. Al quarto minuto, con una sincope quasi dance, la confessione apocalittica s'interrompe bruscamente per una divagazione progressiva; riprende poi per l'imponente coda finale che vale un calvario dove pare doversi reggere, compreso e trasmutato in bellezza, tutto il dolore adolescenziale del mondo. Tutti gli altri brani dell'album sono insuperati in ambito rock.
La seconda e ultima pubblicazione dei Drive Like Jehu, datata 1994, si intitola "Yank Crime".