I Megadeth (Los Angeles, 1983 - Texas, 2002) sono tra i protagonisti della scena thrash-metal-band. I Megadeth sono il gruppo di Dave Mustaine (nato in Arizona nel 1961), abile e originale chitarrista, membro fondatore dei Metallica, con i quali convisse a Los Angeles dal 1981 al 1982. Mentre i Metallica nel 1983 pubblicavano il loro primo album (uno dei più importanti album della storia del rock), "Kill em'all", con il quale inventarono lo speed e il thrash-metal, Mustaine tentò di prendersi una rinvincita sugli ex-compagni formando un gruppo che programmaticamente doveva essere di irriducibile thrash-metal e, sempre programmaticamente, doveva porsi come la rivalità più efficace allo spopolare dei Metallica. I Megadeth non fecero né l'uno né l'altro. Per quanto riguarda la popolarità è vero, siamo di fronte a uno dei gruppi metal più famosi (e pagati) di sempre; ma si sa, non sempre qualità e quantità coincidono. I fattori distribuzione e pubblicità paiono preminenti.
Se tanti gruppi metal dell'epoca, come gli Exodus, gli Accept, i Metal Church o i Venom e i Mercyful Fate) avessero avuto l'opportunità di mettersi in mostra, forse sarebbe toccata loro una sorte ben diversa. Per quanto riguarda il biondo Mustaine c'è da dire che costui è un chitarrista e punto. Il chitarrista lo fa egregiamente; l'archeggiare sofferente e patinato della sua chitarra, thrash per eccellenza, è riconoscibile tra tutti gli altri. Purtroppo si è cimentato anche come compositore, cantante e, quel che è peggio, produttore. Artisticamente (economicamente no, è bene ricordarlo) si tratta di un disastro quasi totale. La voce di Mustaine è anch'essa riconoscibile fra tutte le altre. Tanto più in campo thrash o metal. Infatti non è maschia, potente o tecnica. Bensì punk, adolescenziale e piegata tra il lamento e l'impotenza. Il suo pregio, in quest'ultimo senso le è offerto proprio dal suo essere limitatissima. È uno dei cantanti più incapaci e meno dotati di sempre; anzi, non è un cantante: per questo ogni cosa pronunciata da lui risulta credibile e affascinante nel senso del commovente. Come il bambino che vuole fare il duro, ma le cui sofferenze e frenesie portano solo a volerlo proteggere e rassicurare. La voce di Mustaine è come quella di Axl Rose (anche lui, benché molto dotato e hard-rock, in fondo un punk) solo un'ottava sotto.
Per quanto riguarda la composizione dei brani Mustaine scopiazza disperatamente, stilisticamente si rimangia subito dopo ciò che aveva appena affermato, e via di questo passo. Tuttavia, salvo vari spunti meritevoli, che pur vi sono, questo magma sonoro-rumoristico in deriva, perennemente perso e sperdente, fissamente attaccante e frustato, inintelligibile e acusticamente bruttissimo, costituisce, quando non annoia, un fulgido e toccante esempio di arte trash, spazzatura. Da interpretare come spazzatura quale chiave di verità del tutto, così rappresentato. Mustaine si ostinerà anche a produrre i suoi dischi, da una parte ostacolando i veri produttori che forse avrebbero evitato certi sciali di materiali e forze, dall'altra imbrigliando il suono del suo gruppo in un non-concluso a corto di fiato ed espressività, che si esemplifica con la prima sezione ritmica dei Megadeth, quella di David Ellefson al basso e di Gar Samuelson alla batteria, una delle più meschine di sempre: il bassista, fedele di Mustaine e coautore di alcuni pezzi, poi migliorerà di molto, mentre la batteria (in parte non trascurabile perché così voleva Mustaine, senza rendersi conto che stava facendo sotto tale aspetto tutto l'opposto del thrash), finché ci sarà Samuelson, risulta non solo inesistente, ma anche fastidiosamente e vanamente hard-rock.
Il gioco di Mustaine era di puntare tutto sulle chitarre (all'altra abbiamo Chris Poland). In questo non aveva torto. Infatti le chitarre dei Megadeth sono sempre formidabili e, pur non possenti e granitiche come quelle dei Metallica (che infatti abbandoneranno il thrash per un heavy-speed) costituiscono un eccellente e lancinante ventaglio espressivo per tutto il sottogenere thrash. Tuttavia, con una sezione ritmica deficiente (si aggiunga, nei primi anni, anche un missaggio e registrazione scandalosi), ne risulta un thrash zoppo o depotenziato. Inconcludente perché ferisce, si lamenta, ma non colpisce mortalmente. Forse però, sebbene involontariamente (i Megadeth sono creduti e loro medesimi si credevano, essere dei duri, anche dal punto di vista sonoro) tale handicap, rende limbicamente unico nel panorama, il suono dei Megadeth: qualcosa che balugina nell'aria, sgradevolmente, inconsistentemente e senza fini o scopi apparenti. La cosa più artistica dei Megadeth (quando parlo dei Megadeth mi riferisco ai primi quattro album) è il rifuggere quasi totalmente la melodia e il ritornello: i loro migliori brani sono uno sproloquio, un vortice senza centro, dall'inizio alla fine: in moto rettilineo, non circolare. Visti gli esiti post-90 viene il dubbio se prima Mustaine era semplicemente incapace anche di trovare il motivetto giusto e si nascondeva nell'avanguardia come scudo per tale incapacità. Le copertine degli album dei Megadeth, sulla falsariga di quelle degli Iron Maiden, hanno un personaggio mostruoso, tra zombie e morte secca, che di volta in volta rappresenta il tema-pretesto di turno, sempre in un infantile, rozzo e ingenuo scenario apocalittico che finisce per non intimidire nessuno: ora il mondo si vende al mito del nucleare, ora a quello della guerra, ora a quello delle leggi del mercato. Apparentemente la morte è rappresentata dai Megadeth come un fatto storico e tanto più tragico quanto motivato da tale contingenza; sempre apparentemente i Megadeth presentano temi e liriche a sfondo sociale, e comunque oggettive, ossia non private, sentimentali. In realtà, lasciando da parte tutta questa pagliacciata esteriore, dai Black Sabbath in su comune a tanti gruppi metal, per vendere i loro prodotti ai bambini, i Megadeth, e Mustaine, destano interesse e partecipazione proprio per i sentimenti di tristezza, solitudine, fallimento, impotenza, incomprensione, nei quali si trova l'individuo-uomo a prescindere dal contesto storico-geografico in cui si trova. In tale senso la musica metal è considerabile seriamente e ha dei contenuti esistenziali. Altrimenti (e per tanti gruppi così è) si tratta di disgustose, stupide e pedisseque sceneggiate horror per bambini troppo e male cresciuti. I titoli dei primi album dei Megadeth, sono frasi, divise da punti di sospensione: questa sospensione, questa mancanza d'immediatezza, questa noia già nell'approccio alla frase prima della lettura, esemplificano il lavoro interiore ed esteriore dei Megadeth, la loro completezza trasandata, il loro barocco povero, la loro verbosità ignorante, la loro rabbia e disperazione infantili: come le male parole uscite dalla bocca di un bambino, la coincidenza degli opposti che genera insoddisfazione e inconcludenza (e se poi fosse, questa, l'unica verità?). Mentre la musica di solito è catartica, i Megadeth sono l'anti-catarsi per eccellenza. Sono la tribolazione. Danno i loro capolavori quando tale tribolazione non è compiaciuta. Il nulla, l'assurdo, la contraddizione, la mancanza di senso e di finalità della vita, la disperazione, la solitudine e il dolore, più o meno fumettisticamente camuffati, costituiscono i pretesti per questo tipo di musica, che, rispetto all'hard-core, il quale ne ha di medesimi, li vive epicamente. La major dei Megadeth sarà la Capitol (nata a Hollywood nel 1942, è l'etichetta di Beatles e Frank Sinatra: dal 1998, con Virgin e Chrysalis, fa parte del colosso britannico Emi, dal quale fu rilevata nel 1954).
Killing Is My Business ... And Business Is Good! (1985) 27.27 minuti, 7 brani. Produttore Karat Faye. In pratica, basta ascoltare quest'album per aver compreso tutto dei Megadeth: è questo infatti il loro album più rappresentativo e significativo (anche se il più riuscito è Rust In Peace). Vi è tutta la foga punk di Mustaine (il produttore non a caso aveva lavorato con i Circle Jerks). E se la ri-edizione per la Century Media (1999) fa dubitare circa una ripulitura del sound troppo "chiarificatrice", ciò non serve ad altro che a rendere questa pietra miliare tutt'oggi tagliente, una chiave di volta. Mustaine si impegna con tutta la sua anima e il suo corpo per tentare di rivalersi del vecchio gruppo. Ne viene fuori più che un album thrash (Metallica), un album trash (e sarà la costante di Mustaine: è il suo essere punk). La brevità dell'opera infine non serve ad altro che a renderla più incisiva e memorabile. "Mechanix" (4:21), scritto da Mustaine e Hetfield nel 1982, è il brano più significativo per comprendere come Mustaine lavorasse nei Metallica. Non ci si rammaricherà mai abbastanza della dipartita di Mustaine dai Metallica (un po' come di Barrett dai Pink Floyd!). Era Mustaine (per quanto fosse il più "anziano"), infatti, a dare al gruppo un piglio più punk, irresponsabile e ingenuo. I Metallica (con Mustaine) nel 1982 incisero il loro primo demo "No Life 'Till Leather", contenente quasi tutto il materiale che sarà convogliato l'anno successivo nel loro primo album ("Mechanix" è quella che poi si chiamerà "The Four Horsemen": e nella versione dei Megadeth sembra che siano i Social Distortion a fare una cover dei Metallica). "Kill'em all" è il più grande album metal di sempre anche perché risente molto di Mustaine: perché Hetfield, Ulrich e Mustaine sono (insieme) i più grandi compositori metal di sempre; i tre danno sfogo a un'alchimia che ovviamente non è conservabile allorché manca uno dei tre. Non a caso i Metallica, dal secondo album (in pratica il primo senza lo zampino di Mustaine), saranno sì più se stessi (forgiando il classico sound Metallica), ma proprio per questo forzatamente più convenzionali e, in ultima analisi, meno (se così si può dire) coinvolgenti.
"Last Rites/Loved to Death" (4:38) risente in qualche trovata e nell'architettura di Alice Cooper. E ciò non sorprende, vista la retorica trash di Mustaine. "Killing Is My Business... And Business Is Good" (3:05) istituzionalizza il sound Megadeth, di cui rappresenta la quintessenza (sembra di sentire dei Motorhead all'asilo nido). "Skull Beneath the Skin" (3:46) è un ventaglio delle capacità balistiche di Mustaine alla chitarra (irresistibile Mustaine è soprattutto nelle scordature e acidità allo strumento). "Rattlehead" (3:42) mostra (a passo power metal) come i Megadeth si differenzino dai Metallica soprattutto per 1) ignorare la dialettica piano-forte; 2) conseguentemente ignorare ogni catarsi melodica (i Megadeth in pratica non compongono canzoni: ma vanno avanti a forza di collage più o meno improvvisati). "Chosen Ones" (2:54) sfiora (a suo modo, secondo un thrash trash) l'hard-rock. "Looking Down the Cross" (5:01) è una ballata a sorsi, un esercizio stilistico ad altrettanti sorsi, una rievocazione degli Iron Maiden (addirittura!) ad altri sorsi ancora: ma, a fine bottiglia, la messa in mostra più sincera del cuore di Mustaine.Nessun brano è mal riuscito, nessun momento è di troppo: anche se alla fine rimane quel senso di tanta disperazione, tanta rabbia e tanta bruttura rappresentate ma non dirette a significare un qualche cosa di definitivo. E ciò rende lo spasimo di questa musica ancor più asfissiante.
Peace Sells ... But Who's Buying? (novembre, 1986) 36 minuti, soliti 8 brani. Produttore Randy Burns. "Wake Up Dead" (3'.36'') è un perverso, sfocato, thrash al rallenti; i riff più granitici vengono sistematicamente fagocitati da una complessiva dispersione e anti-finalismo del suono che sa di perdizione. Si fa di tutto per fuggire al fine a se stesso, senza purtroppo riuscirvi. "The Conjuring" (5'.00'') continua sulla linea del rendere perverso e patologico il programmato thrash di "Kill 'em all". Il suono è al limite, ma è il limite nella scala dell'impotenza ed inefficacia. Proprio per tali caratteristiche, ancor più scorato e irredento risulta il messaggio Megadeth: caoticamente e confusamente irriducibile. È un anti-geometrismo e anti-razionalismo fatto con calcolo e grammatica: è un anti-thrash fatto con il thrash ed i Black Sabbath. È ciò che ritaglia ai Megadeth un particolare, anche se minoritario, posto nella storia del metal. "Peace Sells ... But Who's Buying?" (4'.00'') continua nel patimento del non-decollo: è un hard-rock cupo, è un animale che soffre inutilmente perché né muore né è capace di farsi sentire. Solo le chitarre sono metal, la batteria è in disparte, il basso è d'atmosfera. Finale mozzafiato. "Devil's Island" (5'.00'') ha un ottimo, allucinato e distorto esordio. Continua con chitarre a mitraglia. Il coro del ritornello annulla il potenziale catartico del resto del brano. Come al solito, le parti migliori sono l'inizio e la fine (dove Mustaine sfodera le trovate che secondo lui giustificano la composizione), come al solito l'inizio è lento e la fine veloce. "Good Mourning/Black Friday" (6'.40'') è il capolavoro dei Megadeth. Soprattutto la prima parte della composizione, apparentemente un'ennesima e inutile ballad romantica, sfoga ed esprime tutta la desolazione, lo sconforto, l'abbandono che soli sostengono sinceramente un thrash blacksabbathiano.
"Hey, I don't feel so good/ Something's not right/ Something's over me/ What the fuck this", suggellati dall'unico urlo di Mustaine che di solito blatera, costituiscono i versi che alla lettera offrono tutto il panorama Megadeth. La seconda parte del brano è il thrash più spregiudicato (e molto debitore dei Motorhead) di Mustaine: finalmente la sezione ritmica spinge a dovere, finalmente le chitarre spianano il mirino e, senza perdersi in girigogoli, affondano la mitraglia. "Bad Omen" (4'.00'') vede nell'esordio superbe frustrate di chitarra, ora velenose ora trascendentali, notevole il lavoro del basso: nel proseguo il solito senso di forze non finalizzate. Se fosse per volontà sarebbe una grande opera d'arte, il dubbio però rimane che lo siano per insipienza. "I Ain't Superstitious" (2'.45'') è una cover di un vecchio blues di Howlin' Wolf; ne risulta un thrash clownistico e sghignazzante dove Mustaine mostra il suo amaro e sconfortato umorismo. Musicalmente tra Kiss e New York Dolls, non aggiunge nulla di interessante, se non l'utilizzo del linguaggio thrash per tradurre i più svariati linguaggi (anche quello blues). "My Last Words" (4'.45'') inizia come una scopiazzatura dei Metallica-ballad, continua in un arrembante thrash Motorhead, con Mustaine, particolarmente roco, che richiama la voce di Dee Snider dei Twisted Sister. Ancora la parte migliore risulta il finale in un parossistico crescendo.
So Far, So Good .. So What !? (dicembre, 1987) 34 minuti, 8 brani ancora. Le cose notevoli di quest'album, e che condizionano il resto, sono due: un produttore più libero di operare (Paul Lani) e un batterista (Chuck Behler) migliore e più partecipe del precedente. Ne risulta un suono più potente e metal che tuttavia non perde quella malia pasticciona e caotica del ragazzino-punk che contraddistingue il suono e fa la peculiarità di Mustaine. "Into the Lungs Of Hell" (3'.25'') si fa subito apprezzare come un potente e veloce strumentale, articolato e sentito. Patetico ed epico ma sempre in riferimento al soggetto e alle personali turbe. Alle fughe di una chitarra l'altra echeggia doom-Black Sabbath che rallentano la velocità facendo la melodia. "Set the World Afire" (5'.45''), che richiama lo stato post-bellico del film di "The Wall", è ancora, come tutti i brani dei Megadeth (e giustamente) prevalentemente strumentale. Quando entra la voce non accade nulla di diverso dal thrash di "Kill 'em all" (ovviamente molto peggio reso). Ricorrenti cambiamenti di tempo danno vigore a un brano tutto sommato di solfeggi. "Anarchy In the U.K." (3'.00''), dieci anni dopo i Sex Pistols, si commenta da sola. Va aggiunto che i gruppi thrash e heavy metal (americani) contrariamente a quelli metal-classic (inglesi, come gli Iron Maiden), hanno sempre riconosciuto il loro debito nei confronti del punk e dell'hardcore: le cover testimoniano questo, come, per un'influenza di ritorno, quelle metal dei gruppi hard-core."Mary Jane" (4'.20'') parte melodica, ma tutt'altro che retorica, mostra grande sincerità e più che essere una power ballad, è una confessione a cuore aperto, con tutte le lacerazioni di un cuore devastato. Il brano migliore dell'album con "Hook In Mouth". Il violento finale è molto hard-core. "512" (3'.25'') è l'ennesimo osso duro, tutto anti-melodico e anti-estetico.
La spazzatura però alla lunga, anche quando si erge a ideologia, annoia (gli espedienti cinematografici come i rumori in sottofondo, soprattutto). "In My Darkest Hour" (6'.00'') è un efficace e partecipato lento-thrash. Mustaine dà sempre il cuore, solo che ci fa poco, quando i suoi limiti gli risultano evidenti. Invece, come qui, allorché la passione s'incontra con qualche capacità espressiva, ne risultano desolati, catastrofici e irrimediabili quadri. Evidente l'influenza dei Metallica non-thrash ("Ride the lightening"). Come spesso Mustaine fa, il brano è diviso in due parti e prima di spiccare il volo della consistenza ci mette: la prima parte è, al solito, su tono medio e discorsivo; la seconda assai veloce e stipata. "Liar" (3'.15'') prosegue abbastanza incisivamente, ma risulta troppo legato all'epoca, e quindi non classico: il ritornello robotico, dimostra come sia stato adottato tale espediente alla moda (ora demodé) in mancanza di contenuti autentici. Positivo il finale, che taglia letteralmente il brano (pari pari faranno i Dream Theater in "Pull Me Under"). "Hook In Mouth" (5'.00'') si mantiene stabile nell'epopea dell'indeciso, semifreddo, disperato in quanto impotente. Nell'effetto, è il contrario di tanta parte del metal: non megalomania o volontà di potenza, ma afflizione e afasia data da notevoli limiti-zavorra artistico/espressivi. Un gruppo di tecnici-esecutori, egregi anche perché hanno notevoli sensazioni e queste sanno comunicare coi loro strumenti, abbandonato a se stesso senza una partitura vera da eseguire. Tocca quindi tanto di più, questa museruola interiore che si impone proprio quando i canali del microfono sono aperti. Tra collage, piccoli spunti, mezze-idee, accenni, ripensamenti, giri su se stessi, smemoratezze, indecisioni, il brano è tra i manifesti dei Megadeth, della loro fragilità di metallo. Dei primi quattro album dei Megadeth, il 50% del materiale è da buttare, il resto apprezzabile.
Rust In Peace (novembre 1990) è il loro vertice assoluto: vi si trovano due brani egregiamente composti; e gli altri, almeno, sono suonati in modo eccelso. Finalmente una produzione all'altezza (Mike Clink, il quarto produttore cambiato da Mustaine in quattro album: si tratta dell'uomo-giuida dei Guns n' Roses), un missaggio come si deve (Max Norman) e soprattutto un gruppo che suona heavy: il merito è del chitarrista Marty Friedman e soprattutto del batterista Nick Menza, un batterista metal, non hard-rock come l'altro. Circa le composizioni di Mustaine siamo alle solite: buone intuizioni, due o tre brani più coinvolgenti della norma e il resto noioso riempitivo. Il fatto più amaro è che i Megadeth, in teoria e per fama, veterani del thrash, in pratica inconcludenti e perduti epigoni, raggiungono lo stato ottimale del loro stile, riescono finalmente ad esprimersi, a farsi sentire (prima, anche solo per l'audio, era un'impresa!), proprio allorché il metal, che almeno al suo fossilizzarsi qualche cosa deve loro, è al suo canto di cigno. Nel 1990 infatti in campo metal è già stato detto tutto.
Rust In Peace può essere considerato come una enciclopedica e finale scintilla metal. Il suono è sempre quello tra hard-rock e hard-core inventato a inizio 80 dai Social Distortion. I Megadeth fanno thrash con piglio punk, depotenziando però l'uno e l'altro in un complessivo effetto trash-spazzatura, che quando colpisce nel segno significa lo schifo, bizzosamente comunicato, per la vita e il cosmo. Moustaine rimane più che l'adolescente, il bambino di sempre: con tutti i difetti e i pregi che ciò può comportare. L'album (40 minuti per 9 pezzi) inizia con "Holy Wars ... The Punishment Due" (6'.34'') thrash alla "Kill em' all" (anche nella voce qui Mustaine scimmiotta Hedfield), metà strumentale, metà cantato. Brano veloce, sferzato dai singhiozzi chitarristici di Friedman e dalla melodicità di Mustaine, che trova spazio nell'articolazione di un brano pienamente e sinceramente riuscito. Uno dei vertici del Megadeth-stile. Tecnicamente il gruppo si supera: la batteria di Menza giustamente impera sin quasi a sfiorare, nel finale, il power. "Hangar 18" (5'.10'') è ancora un vertice. Parte in modo sublime: parte come i migliori Social Distortion (quelli di "Moral Threat"), parte in un hardcore tale solo nella velocità, perché respira come hard-rock. Continua convincentemente e commoventemente: le partiture delle chitarre sono come al solito enfatizzate e curate al massimo pur senza mai dare l'idea dell'artificio o della non-spontaneità. Sono chitarre che cantano, chitarre che gemono, non che (come troppe volte si sente) solfeggiano. A metà brano si cambia tempo, e qui i Megadeth si fanno power, tecnicamente pressoché epic/progressive; anzi, inaspettatamente, per dei thrasher vecchio stampo, qui si concepisce il passaggio dal power degli anni 80 a quello, più tecnico e new-age, dei 90. La seconda parte di questo brano sarà copiata da tutta la miriade di ignobili progressive-metal-band degli anni 90: Dream Theather in testa. Conciliare punk, hard-rock, progressive e thrash, non può non fare onore ai Megadeth. "Take No Prisoners" (3'.20'') è un thrash corale copiato di sana pianta dagli Antrax (anche e specie nella sezione ritmica) che certe cose le facevano quasi un decennio prima. Tutto ben fatto, ma tutto inutile. "Five Magics" (5'.40'') è, nel basso, totalmente Metallica, poi le chitarre trovano il loro linguaggio, che è quello peculiare e inventato da Mustaine. La verbosa lezione di "And justice for all" si fa troppo smaccata e il brano non convince. Il finale addirittura copia "Master of puppets". "Poison Was the Cure" (3'00'') ha i medesimi problemi del brano precedente e dei Megadeth di quest'album: egregiamente eseguito, peccato si tratti di un plagio manifesto: questa volta dal rock n' roll dei Motorhead. "Lucretia" (4'.00''): irresistibile ghigno da strega in apertura; poi continua la saga (questa volta in un tragicomico disastro) di "Mary Jane"; e basta il riff originalissimo (riff a singhiozzo) di Friedman per rendere il pezzo un classico. "Tornado of Souls" (5'.20''): si ritorna ancora a "Kill 'em all"; ma con sincerità e passione; si aggiunga un'esecuzione impeccabile, una foga ora hardcore ora hard-rock (Axl Rose più che mai), e il brano (salvo la scontatezza, anomala per i Megadeth, di certi riff alla chitarra ) risulta convincente. "Dawn Patrol" (1'.50'') è un originale spoken-death gettato come riempitivo, ma, nel basso-dub, batteria-funk e voce-death, nel verso finale tipo-succhiotto, risulta, con "Lucretia" e i due brani di apertura il miglior pezzo del lavoro. "Rust In Peace ... Polaris" (5'.00'') è pienamente Megadeth (soprattutto è pienamente Mustaine), poteva stare in "Peace sells". Molto sincero. Molto inutile.
Countdown To Extinction (Capitol, 1992), Youthanasia (Capitol, 1994), Cryptic Writings (Capitol, 1997), Risk (Capitol, 1999), The World Needs A Hero (Sanctuary, 2001), sono 5 inutili tentativi che supplicano l'aiuto ora dell'hard-rock ora dell'industrial, ora del power-metal, per dare un valore a un artista, Mustaine, che, dal punto di vista compositivo, non ne ha alcuno. La disgrazia di Mustaine è la medesima di Clapton o Santana: grandi chitarristi, e in questo senso artisti, del tutto impotenti e ridicoli senza una guida. Dovrebbero, costoro, fare unicamente cover o pezzi altrui. Solo e, finalmente, messo in secondo piano anche dal pubblico (che veramente troppo gli ha dato in 20 anni di carriera), Mustaine ha sciolto i Megadeth nell'aprile del 2002.
Nel 2004 la patetica riformazione del gruppo e l'album The System Has Failed, con il ridicolo videoclip "Die Dead Enough", costituiscono la classica occasione persa per stare zitti.
Il loro album del 2007, United Abominations, segna il debutto per la Roadrunner, ma non inverte il declino.
Endgame (2009) tenta invece di sancire la loro terza giovinezza. Assestata la formazione su un quartetto classico che ricorda, in tono minore, quello di fine Ottanta e inizio Novanta (con una solista imperversante, di Chris Broderick, ex-Nevermore, e un batterista tecnico e trascinante, Shawn Drover, sulla falsariga dei venerati Friedman e Menza), Mustaine ha imposto al gruppo l'ennesima sterzata che coincide con una rivalorizzazione delle sonorità più abrasive del loro repertorio.
L'intro strumentale "Dialechtic Chaos" non lascia dubbi sugl'intenti: velocità, forza d'urto, riff senza fronzoli e briglie sciolte alle due chitarre che s'inseguono in assoli a perdifiato. "This Day We Fight" è un loro tipico thrash-core lancinante, granitico, contrastato, privo di melodia. La voce di Mustaine è rauca, blaterante e meno affilata rispetto ai dischi che contano. Né d'altronde si può dire che il cantato sia mai stato il loro punto di forza. "44 Minutes" è più epica e melodica, con un giro ficcante e un ritornello degno di questo nome. "1,320", coi suoi cambi fragorosi, è una corsa da videogame fast and furious che rimanda a "Countdown To Extintion". "Bite The Hand" rumina qualche timido accenno nu-metal. "Bodies" è forse l'episodio più felice con quella sua struttura aperta e variata. Poi nella seconda parte il ritmo cala: "The Hardest Part Of Letting Go Sealed" è una power ballad bolsa, sgolata; "Endgame", dai toni reducistici e anti-Bush, è meno cattiva di quel che vorrebbe far credere; un po' meglio "Head Crusher", scheggia ai limiti del metal-core, e la prototipica cavalcata metallica di "How The Story Ends".
Endgame è un disco dignitoso, senza particolari pregi ma anche senza disdicevoli cadute di stile, che, crediamo, accontenterà i fan di vecchia data e i nostalgici delle più classiche ascendenze thrash/speed.
A gennaio 2016 i Megadeth tornano con il loro quindicesimo album in studio, in una versione rinnovata dove Mustaine ed Ellefson sono gli unici membri originali rimasti; per l'occasione il ruolo di "seconda chitarra" e di batterista vengono affidati rispettivamente a Kiko Loureiro, già attivo nei power metaller brasiliani Angra, e a Chris Adler, in forze ai thrasher Lamb Of God.
E' un thrash metal molto "tecnico" quello dei nuovi Megadeth, all'insegna della precisione chirurgica e della complessità; al tempo stesso è un lavoro contraddistinto da una marcata visceralità, diretto. Suona indubbiamente familiare Dystopia, album dove i-Megadeth-suonano-come-i-Megadeth ma, con alle spalle una carriera trentennale, non c'è da stupirsi. Meno prevedibili sono invece i momenti in cui si pigia l'acceleratore e si ritorna a sonorità più aggressive, quelle di "Rust In Peace" per intenderci, supportate da una produzione cristallina ma potente, a tratti "moderna".
L'incipit "The Threat Is Real" ci cala in un'atmosfera da Nuovi Barbari: tra riff serrati e veloci cambi di tempo, c'è spazio per piacevoli deja-vu (la title track, "Post American World"), brani più groovy come "Bullet To The Brain" e "The Emperor", ed una pseudo-ballad ("Poisonous Shadows"). Chiude l'album una cover dei Fear, "Foreign Policy", dal testo controverso, in linea con le lyrics di Mustaine. Un ritorno di qualità per una band di veterani che dimostra di avere ancora molte frecce al proprio arco.
Dopo dopo essersi liberato dell’amico/nemico David Ellefson, Mustaine torna nel 2022 con il suo sedicesimo album in studio. The Sick, The Dying... And The Dead! è un buon album di thrash metal tecnico e veloce, con più di un rimando ai vecchi capolavori, in primis il solito Rust In Peace, vera pietra di paragone con tutta la carriera dei Megadeth, migliore di gran parte dei quelli pubblicati da band con una carriera ormai quarantennale. La qualità più apprezzabile è che ancora oggi la musica di Mustaine è figlia della sua visione giovanile del metal, non essendosi borghesizzata più di tanto (almeno meno di altri) e non essendosi ridotta a mero mestiere.
C’è ancora un’anima nelle canzoni di Mustaine, un'anima da nerd adolescenziale forse, ma pur sempre autentica e coerente. Lo dimostra la title track, brano speed/thrash nel classico stile Megadeth, il riff mitragliato di “Life In Hell” e “Night Stalker” che in alcuni momenti ricorda i tempi di “Holy Wars”. Il tema della guerra è sempre presente e il modo di raccontarla è sempre lo stesso, un bombardamento ossessivo molto più simile a un fumetto che a un vera denuncia da cantautore.
Tra riempitivi, alcuni brani di livello (“Sacrifice”) e alcune scelte anomale quasi industrial metal (“Soldier On!” sembra quasi buona per un album dei Death SS) e addirittura una cover dei Dead Kennedys (“Police Truck”) e di Sammy Hagar (l’hard rock di “This Planet's On Fire”), l'album si sarebbe potuto chiudere con una promessa di un prossimo ritorno con il consueto riff metal alla velocità della luce ("We'll Be Back”).
Contributi di Simone Coacci ("Endgame"), Lorenzo Pagani ("Dystopia"), Valerio D'Onofrio ("The Sick, The Dying... And The Dead!")
Killing ls My Business... and Business Is Good (Combat, 1985) | 7 | |
Peace Sells... But Who's Buying? (Capitol, 1986) | 6,5 | |
So Far So Good... So What! (Capitol, 1988) | 6 | |
Rust In Peace (Capitol, 1990) | 7,5 | |
Countdown To Extinction (Capitol, 1992) | 5 | |
Youthansia (Capitol, 1994) | 5 | |
Hidden Treasures (Capitol, 1995) | ||
Cryptic Writings (Capitol, 1997) | 5 | |
Risk (Capitol, 1999) | 5 | |
The World Needs a Hero (Sanctuary, 2001) | 4 | |
Still Alive... And Well? (Sanctuary, 2002) | ||
The System Has Failed (Sanctuary, 2004) | ||
United Abominations (Roadrunner, 2007) | ||
Endgame (Roadrunner, 2009) | 5 | |
Thirteen (Roadrunner, 2011) | ||
Super Collider (Tradecraft/Universal, 2013) | ||
Dystopia (Tradecraft/Universal, 2016) | 7 | |
The Sick, The Dying... And The Dead!(T-Boy, 2022) | 6,5 |