I Megadeth (...) sono una mediocre thrash-metal-band che non si capisce come mai critica e pubblico si ostinino a considerare tra i classici del genere.
Così il gruppo di Dave Mustaine secondo la celebre definizione del collega Franci in apertura della nostra monografia a essi dedicata. Senza entrare nel merito della prima parte di questa frase - discorso complesso da affrontare in sede d'ordinaria recensione e comunque avulso dalla valutazione di questo disco - è sulla seconda che mi piacerebbe spendere qualche considerazione. Classico esempio di persistenza nel tempo e di radicatezza nell'immaginario collettivo, i Megadeth, vitaminizzando in chiave cinetica l'eredità musicale dei Metallica (che lo stesso Mustaine aveva contribuito a forgiare prima di esserne estromesso) e in chiave iconografica quella degli Iron Maiden (le ricorrenti copertine fumettistiche, gli scenari grandguinoleschi, l'adozione di una mascotte, uno scheletro chiamato Vic Rattlehead, che è in pratica l'equivalente di Eddie), sono diventati, nel volgere di un quarto di secolo dalla loro fondazione, una multinazionale metal di proporzioni poco inferiori a quelle dei due gruppi ispiratori.
I venti milioni di dischi venduti in tutto il mondo e i sei dischi di platino consecutivi ottenuti negli Stati Uniti parlano chiaro. Dei cosiddetti "Big Four Of Trash" - Metallica, Slayer, Anthrax e Megadeth - solo gli ex-cugini e nemici possono vantare numeri più impressionanti. A limpida testimonianza che il loro ingente pubblico, fedele ed esteso ai quattro angoli del pianeta, non li ha mai abbandonati, né dopo la svolta rock e commerciale di "Youthanasia" (1994) che portò a dischi flaccidi e mediocri come "Cryptic Writings" (1997) e "Risk" (1999), né dopo lo scioglimento del 2002 per i problemi di salute di un Mustaine sull'orlo della crisi di nervi, né quando sembravano ormai destinati a diventare una backing band per le ambizioni soliste del leader redivivo ("The System Has Failed", 2004). E questo, pur non essendo esattamente un sigillo di qualità, qualcosa vorrà pur dire.
"Endgame", uscito in questi giorni, è il secondo capitolo di quella che potremmo definire una piccola rinascita della grande M. La loro terza giovinezza. Un ritorno al futuro. Assestata la formazione su un quartetto classico e abbastanza stabile che ricorda, in tono minore, quello di fine Ottanta e inizio Novanta (con una solista imperversante, di Chris Broderick, ex-Nevermore, e un batterista tecnico e trascinante, Shawn Drover, sulla falsariga dei venerati Friedman e Menza), Mustaine ha imposto al gruppo l'ennesima sterzata che coincide, guarda caso, con una rivalorizzazione delle sonorità più riconoscibili e abrasive del loro repertorio. Periodo, indicativamente, "Rust In Peace" - "Countdown To Extintion". E se non ritrova lo smalto dei bei (?) tempi andati, col rischio di deja entendu che è sempre dietro l'angolo, sforna quantomeno un disco dignitoso, senza particolari pregi ma anche senza disdicevoli cadute di stile, che, crediamo, accontenterà i fan di vecchia data e i nostalgici delle loro più celebrate ascendenze thrash/speed.
L'intro strumentale "Dialechtic Chaos" non lascia dubbi sugl'intenti: velocità, forza d'urto, riff senza fronzoli e briglie sciolte alle due chitarre (fulcro inesausto del Megadeth-sound) che s'inseguono in assoli a perdifiato. "This Day We Fight" è un loro tipico thrash-core lancinante, granitico, contrastato, totalmente privo di melodia. La voce di Mustaine, un tempo crudescente e sgraziata ai limiti del punk adolescenziale, è rauca, blaterante e decisamente meno affilata rispetto ai dischi che contano. Né d'altronde si può dire che il cantato sia mai stato propriamente il loro punto di forza. "44 Minutes" è più epica e melodica, con un giro abbastanza ficcante e memorabile e addirittura un ritornello degno di questo nome. "1,320", coi suoi cambi fragorosi, è una corsa da videogame fast and furious che rimanda a "Countdown To Extintion". "Bite The Hand" rumina qualche timido accenno nu-metal. "Bodies" è forse l'episodio più felice e retrò con quella sua struttura aperta e variata a memoria di "Rust In Peace". Poi nella seconda parte il ritmo cala sensibilmente: "The Hardest Part Of Letting Go Sealed" è una power ballad bolsa, sgolata, improponibile, buttata lì, si presume, per dovere discografico; "Endgame", dai toni reducistici e anti-Bush, è meno cattiva di quel che vorrebbe far credere; un po' meglio "Head Crusher", scheggia ai limiti del metal-core, e la prototipica cavalcata metallica (con qualche evanescente inserto melodico) di "How The Story Ends".
C'è di peggio, comunque. Parafrasando il titolo del loro secondo album: i Megadeth vendono... qualcuno è disposto a comprarlo?
11/09/2009