Bad Brains

Musica per pogare piangendo

Vertiginosi cambiamenti di tempo, vocalizzi isterici, rabbiosi, ora a cantare ora a scandire (quasi rap-metal), riff panzer, funambolici, thrash-metal, hard-rock: queste le coordinate della musica dei Bad Brains, uno dei gruppi fondamentali dell'hardcore

di Tommaso Franci

Duplice l'importanza storica dei Bad Brains (Washington, 1977-1995): due, infatti, sono i sottogeneri rock da loro rifondati. Il primo (tra il 1979 e il 1984) fu l'hard-core; il secondo (tra il 1985 e il 1988) fu l'hard-rock, specie nel suo lato "arena-rock".
Siamo tra fine 70 e inizio 80. L'hardcore era nato a Los Angeles un paio di stagioni prima. Nel diffondersi del movimento per tutti gli Usa, Washington fu tra le prime e più importanti città ad accoglierlo. Da una parte GG Allin, dall'altra Ian McKaye (coi Minor Threat e quello che seguì) i nomi per le dovute referenze. Da una terza parte i Bad Brains. Tecnicamente parlando, mentre Allin e McKaye riportarono il movimento nell'alveo rock n'roll - il primo - o ne consolidarono le radici - il secondo fece questo, prima di passare al post-hardcore - i Bad Brains rinnovarono il genere. E non, come nelle novità apparenti, dall'esterno (magari con le contaminazioni del caso), bensì dall'interno. È così che l'opera dei Bad Brains risulta radicale, profonda e imprescindibile.
La seconda fondazione dell'hardcore consistette nell'esasperazione della velocità e della potenza di un genere già veloce e potente; nonché nella insistenza sulla brevità dei brani. I texani DRI, l'altro grande gruppo che accompagnò i Bad Brains nell'impresa, vantavano performance di 20-30 secondi l'una. Da questo secondo hardcore partirà l'hardcore-metal, che dai Suicidal Tendencies si protrarrà per tutti gli anni 80, sino a venire risucchiato dal grind-core. Ma il secondo hardcore non ebbe solo tale ruolo per il futuro del metal; metal che nella versione speed - o Metallica - aveva già contribuito a far nascere. Il secondo hardcore è anche l'hardcore per eccellenza a partire dal quale varieranno e si discosteranno i gruppi post-hardcore di metà anni 80. Da questo hardcore ci si può discostare per eccesso sonoro (metal) o per difetto (alternative-rock). È così che con i Bad Brains vengono in buona parte giustificati due stili capitali per la musica popolare come lo speed-metal e l'alternative-rock.

Questo per la prima fase del loro operato. Per la seconda, dalla critica delittuosamente passata sotto silenzio, va detto che Red Hot Chili Peppers, Faith No More, Janes Addiction e tanti altri debbono non poco alla virata in chiave hard-rock compiuta dai Bad Brians nella seconda metà degli anni 80, quando facevano un hard-rock estraneo sia al blues che al rock n'roll e invece prossimo a generi tipicamente crossover quali reggae, ska, funky - generi comunque, nei risultati più notevoli, sublimati in una comunicatività di significati (e di melodie) mai sterilmente fine a se stessa. Il tutto, per di più, sotto l'architrave e le strutture della robustezza hard-rock.

Caso pressoché unico nella storia del "rock" (e non sto dicendo rock n'roll o jazz o elettronica o rap o soul o blues etc.) i Bad Brains furono un caso anche di significato razziale. Possono dirsi come gli unici non-bianchi (erano tutti afro-americani) capaci di incidere e di farlo in modo così determinante nella storia del rock. Hendrix (che del resto non aveva discendenze afro, ma pellirossa) non faceva "rock" nel senso più classico del termine. I Bad Brains si incarnarono in quattro giovani emarginati del sottoproletariato metropolitano, una spanna forse al di sotto delle speranze di vita dell'hardcorer medio (spesso ragazzo di buona famiglia con difficoltà più esistenziali che sociali). Per quanto non indulgessero in pose da rivoluzionari, tuttavia il loro peso - differentemente dallo stesso genere hardcore: che così a sua volta si differenzia dal punk - non riguardò solo il lato esistenziale della cosa (lato che pur ne rappresenta il valore, specie per l'ascoltatore) ma anche quello sociale. Eguaglianza sociale ed economica, fine dei soprusi e del razzismo sono temi che direttamente o indirettamente coinvolgono i Bad Brains; d'altra parte nichilisti, iconoclasti, immorali e autodistruttivi; d'altra ancora adepti della religione Rastafarian. L'Africa dei Bad Brains è quella araba; e il loro nero può dirsi essere anche quello jamaicano.

Sex Pistols e Bob Marley (questo una stranezza, per il contesto) furono, almeno in nuce, i rispettivi fari di quei giovani riuniti attorno al chitarrista Dr Know (all'inizio suonava funk; il suo innovativo stile assimila efficacemente boogie, blues, rock n'roll, metal, hard-rock, punk): Darryl Jenifer (bassista jazz e hard-rock), H.R. (il cantante, cresciuto col reggae: una delle 3-4 voci capitali del rock, sempre estremo, sempre tutto di gola, sempre avvincente, si sobbarca con tono nero e punk Prince, Iggy Stooge, Mick Jagger, Robert Plant), Earl Hudson (batterista, fratello del cantante: all'inizio non aveva alcuna educazione musicale: convertirà ciò nel massimo dell'espressione).
Come si vede, anche il fatto che i quattro provengano da generi così disparati e in definitiva alieni alla tradizione americana non-africana rappresenta un unicum; tanto più pensando al fatto che poi questi abbiamo così convincentemente interpretato un genere del tutto americano e da uomo bianco o occidentale come l'hardcore (e tanto più l'hard-rock: si sono mai visti neri a fare hard-rock?). Il fatto che questi quattro ragazzi neri suonassero generi di ascendenza africana dimostra poi come non fossero banalmente neri occidentalizzati (e quindi esattamente come i cosiddetti bianchi occidentali). Inoltre, il passaggio da generi soft (funk, reggae) a quello hard ed estremo per eccellenza segna infine l'eccezionalità nell'eccezionalità (di solito i gruppi partono rumorosi e arrivano fiacchi). Il tutto senza che il rock dei Bad Brians sia programmaticamente d'avanguardia come quello di Minutemen, DRI o Melvins.

I Bad Brains iniziarono a registrare e pubblicare quando (intorno al '79) si trasferirono da Washington a New York.
La musica dei Bad Brains è un "power hardcore" ai limiti dello speed-metal (che del resto contribuiscono a fondare). Né il beach-hardcore dei Descendents (e in origine dei Germs: il primo hardcore), né il power-core miniaturizzato dei Bad Religion (il terzo hardcore). Vertiginosi cambiamenti di tempo, vocalizzi isterici, sublimanti, rabbiosi, ora a cantare ora a scandire (quasi rap-metal), riff panzer, funambolici, thrash-metal, hard-rock: queste le coordinate di un insieme tanto articolato quanto efficace nella sua immediatezza (tutta giustificata dalla comunicazione della riflessione sull'esistere). Immediatezza capace, poi, di concretizzarsi sia in staffilate proto-grind-core da mezzo minuto (i Bad Brains sono antesignani anche in questo), sia in contemplazioni melodiche che a chiazze illuminano un flusso inarrestabile di concitazione e velocità supersonica, un tunnel ognidove comunque ben squadrato e tridimensionale, capace di prendere e coinvolgere, e mai banale o incolore. Un'ovazione a parte merita la voce dei Bad Brains (H.R.) nonché la tecnica sopraffina di tutto l'ensemble (ensemble riconoscibile tra quanti vi si paragonino).
Nel 1996 la compilation Black Dots raccoglierà parte del materiale (sparso per singoli, Ep e cassette) di fine Settanta e inizio Ottanta. Spiccano alcuni grandi classici che poi farciranno il primo album, vedi: "Pay To Cum", "Banned In D.C.", "Attitude". L'esecuzione - dinamitarda e molto garage - però è ancora grezza e confusa.

Il primo album, Bad Brains (ROIR, 1982 - ROIR, 1996), fu riveduto, remixato e riedito come Rock For Light (PVS, 1983 - Caroline, 1991). Rock For Light - che, più che un concept, è una raccolta scaturita da svariati anni di gavetta e lavoro - è uno dei più grandi album rock di sempre e forse il più grande hardcore. Dei suoi 20 brani (per 40 minuti) tutti sono di ferocissimo e molto evocativo hardcore, hardcore come prima non si era sentito mai (da qui la rifondazione del genere); 4 brani sono invece reggae. Ma i Bad Brains, questi Bad Brains - e in ciò sta la loro grandezza - non fanno brani mediocri, non fanno - come talora si è voluto far credere - "reggae-core". Scindono nettamente i due momenti. Hardcore è hardcore puro; stesso dicasi del reggae. Reggae, il loro, tanto semplice quanto immediato e non antipatico: lo carica un'urgenza comunicativa e sentimentale capace di prescindere dallo stesso genere musicale. È così che, se non i gorgheggi soul di "Rally Round Jah Throne" [- 3:58], l'incedere melanconico e fascinoso di "I and I Survive" [- 5:13] e il coro mistico di "The Meek" [- 3:37] vanno registrati come opere superlative (e inusitate per la congerie rock).
Degli altri 16 brani - tutti di livello altissimo e con un approccio a dir poco particolare e inimitabile - almeno la metà debbono descriversi come capolavori assoluti (onore al merito andrà allora dato a Dr. Know, principale autore delle musiche). La rosa della perfezione, comunque, sei petali la mettono insieme (costituiscono 11 minuti di musica ma valgono una vita). "Big Takeover" [- 2:29], pur correndo (e vantando riff e ripartenze magistrali), rimane entro i confini di un'architettura che mira al compianto di tutta una dimensione vitale. "Attitude" [- 1:09] spinge all'inverosimile e tutto a testa bassa (la voce continua a essere un'ottava sopra e nel complesso più potente ed estrema di quella di ogni altro, mentre la sezione ritmica tiene livelli percussivi ultrasonici). "Right Brigade" [2:07] e "Banned in D.C." [- 1:57] saranno il capolavoro nel capolavoro: dopo una schermaglia iniziale, si innesta (ciò valga per entrambi) un connubio chitarra voce in grado di esplodere nelle sfere più alte dell'ordinamento celeste per poi sprofondare nei meandri più dispersi del sottosuolo (e una voce, mai volgare, e sempre tra il falsetto e il ringhio non ha poca parte in ciò); sintesi strappalacrime del bi-colorismo proprio all'album come ai Bad Brains e che significa non solo compresenza di male-bene, peccato-redenzione ma - pare - uno stesso principio che per natura abbia o si lasci interpretare ora con la luce ora con il buio. "I" [- 1:55] è splendida (ed estrema) conferma; mai tanta articolazione ed efficacia espressiva si erano sentite - e con tale efferatezza - in soli due minuti (il falsetto e le urla onnipresenti e deflagranti di H.R hanno poi del portentoso). "Sailin' On" [- 1:45] è in toto avanguardia: un serpente senza capo né coda, che potrebbe proseguire all'infinito; ed è colorito delle tonalità più ineffabili (rese con un falsetto ora in recitativo ora in coro). Questa è musica per il pogo e per il pianto; per pogare piangendo: difficile trovarne di simile.

Dopo un paio di anni tra droga e carcere (sempre secondo il suo modo naif e molto poco americano o rockettaro) H.R. torna a lavorare coi Bad Brains. I Against I (1986, 10 brani - 31:53) è l'album di un altro gruppo. O meglio, dello stesso, stratosferico gruppo, che però fa un altro genere. Più che unire gli allora separati hard-core e reggae (in un ipotetico reggae-core che pure talora può riscontrarsi: e da qui all'hardcore-rap odierno il passo è breve) i Bad Brains scelgono per un hard-rock da arena assai sui generis; tale, insomma, più per i volumi che per altro (sia a livello di forme che di contenuti). Non solo l'evoluzione di cui si sono resi protagonisti i Bad Brains, ma opere inconsuete come questa, non possono non rafforzare quell'opinione troppo poco seguita, secondo la quale è stato quello degli anni 80 il decennio d'oro per il rock.
Se "I Against I" [- 2:50], per quanto amaramente, gioca a fare hardcore; "House of Suffering" [- 2:28] sarà l'eccelso (e lancinante) anello di congiunzione tra le tregende dei primi Bad Brains e le compostezza quasi ieratica della loro maturità. Gli altri brani sono un profluvio di tecnica e ispirazione di gran pregio, tanto originali quanto versatili. Riff-metal, sezione ritmica tra soul, funky e reggae (solo episodica ed estrinseca l'influenza del non-punk dei Clash), voce oramai nelle evoluzioni più opprimenti eppure squisite, e che sempre si purifica in melodie dello strazio. Questo è "Re-Ignition" [- 4:18]; e il discorso prosegue coi capolavori "Let Me Help" [- 2:15] e "Secret 77" [- 4:03], senza il quale tanti espedienti dei molto meno coinvolgenti Faith No More sarebbero stati impossibili (basti citare gli effetti sintetizzati della sezione ritmica: ma a questi si rifaranno anche i Bad Religion del capolavoro "Anesthesia"). Infine tutto culmina in uno di quei brani rock memorabili (e misconosciuti) come "Sacred Love" [- 3:40]: composto, disperato, fatalista inno all'amore, amore umano o divino o della vita, amore che comunque - e con buona dose di feticismo - è il motivo dominante di tutto l'album che così giustifica oltre a basarlo e impreziosirlo di senso. Leggenda vuole che H.R. abbia telefonato la melodia del brano dal carcere e questa telefonata sia quello che ascoltiamo quando ascoltiamo quell'estrema salmodia (nonché estrema trovata vocalica di H.R.) che è "Sacred Love".

Quickness (1989, 12 brani, 33':52'') aggiunge al rosario di I Against I altri grani.
Rise (1993) e God Of Love (1995) sono gli ultimi album, come al solito inutili.

Into The Future è degno di nota soprattutto per una questione: è dedicato alla memoria del compianto Adam Yauch, uno dei componenti dei Beastie Boys morto nel 2012 a causa di un tumore. Yauch era stato in qualche modo l’artefice del rilancio in pista dei Bad Brains, producendo il penultimo loro album, Build a Nation (Megaforce 2007), che suscitò un qualche interesse dato che riportava (almeno idealmente) il quartetto punk di Washington DC ai fasti dei loro tempi d’oro. 

Into The Future cerca di proseguire su quella strada, concedendo poco al facile mainstream commerciale, sebbene certi episodi crossover (“Popcorn”, “We Belong Together”, “Jah Love) era meglio che fossero stati evitati. Suonano pure un po’ “stonati” certi esperimenti in stile Massive Attack in salsa hard, come in “Rub a Dub Love” o il reggae digitale di “Jah Love” e “Make a Joyful Noise”. Questo loro nuovo disco mostra i Bad Brains ancora in ottima forma strumentale, nonostante la loro non più verde età, ma talvolta, far rivivere il proprio passato, è un’impresa assai ardua, anche per i giganti.

Bad Brains

Discografia

Rock For Light (Caroline, 1983)

8

I Against I (SST, 1986)

8

Quickness (Caroline, 1989)
Rise (Epic, 1993)
God Of Love (Maverick, 1995)
I & I Survived (Reggae Lounge, 2002)
Build a Nation (Megaforce, 2007)
Into the Future (Megaforce, 2012)
Pietra miliare
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