Curt Kirkwood (1959, Phoenix, AZ) è una delle personalità imprescindibili della musica rock. Il suo canto e la sua chitarra sono, da un lato, il punto di snodo tra il noise-rock metafisico di Neil Young e quello nichilistico dei Sonic Youth prima e dei Nirvana poi; dall'altro e opposto lato, i cardini di un nuovo sottogenere rock definibile come progressive-country. Curt Kirkwood ha infatti compiuto due cose apparentemente inconciliabili - ma che invece sono l'essenza del surrealismo della sua arte. Primo: ha rifondato l'hardcore esasperandolo sino alla soglia del death-metal o del grind-metal - Curt Kirkwood è tra i primi a usare il "larynx-shredding screaming", ovvero il corrispondente hardcore del topo-in-gola metal. Secondo, ha sublimato la secolare tradizione country americana - in senso musicale e ambientale - avvalendosi dell'intermediazione dell'altro grande interprete di questa tradizione - Neil Young - ma prescindendone nell'approdare a un rock mai sentito prima. Esso consiste in ritmo e tono medi segnati da una chitarra cristallina, solare e piena (il suo mezzo principe è il "finger-picking"), come la voce che l'accompagna. Serve questo per significare quello stato languido, accecante, polveroso degli Stati Uniti del Sud.
In tale senso, l'opera di Curt Kirkwood è il vertice di raffinatezza, lirismo, pittoricismo e immaginazione del cosiddetto filone "southern rock" degli anni 70, che prese l'abbrivio contenutistico da Buffalo Springfield, Byrds e Flying Burrito Brothers, e quello formale dalle sonorità di certi Grateful Dead e Creedence Clearwater Revival (The Allman Brothers Band, Eagles, Jackson Browne) sfociando anche in un peculiare hard-rock (ZZ Top, Lynyrd Skynyrd), di cui comunque, in senso lato, fa parte tutto il movimento in questione. La partenza - anche tematica - del tutto può dirsi il blues, ma l'arrivo è puro rock - vedasi i tempi scanditi. Il "southern rock" ebbe lo stesso ruolo che decenni prima il folk dei bianchi ricoprì nei confronti del blues dei neri: trasportare nel privato, nell'esistenziale - e nella società in cui vivono quel privato e quella esistenza - il canto espressionistico, atmosferico ed epico precedentemente servitosi come mezzo espressivo delle sonorità dei neri del blues.
Le due definizioni di "cow-punk" e "southern rock", per la rivoluzione bifronte di Curt Kirkwood in campo rock, paiono tanto indicative quanto riduttive. Egli, del resto, è stato capace di conciliare, Johnny Cash, Jimi Hendrix, Grateful Dead e Germs con una elasticità da Frank Zappa.
I Meat Puppets hanno poi rappresentato la riscossa del sud e della provincia (ma anche - e tanto conseguentemente quanto soprattutto - della campagna) in un'epoca, a livello di rock-underground, dominata come non mai dalle due spole e metropoli Los Angeles e New York, agli antipodi in tutto tranne che in questo dominio.
Quando si dice "avanguardia" in campo rock quasi sempre si fanno nomi di gruppi che non sono rock e che paiono fare avanguardia, ma solo perché non fanno rock. I Meat Puppets - come i Minutemen o i Velvet Underground o i Metallica - sono un grandissimo gruppo d'avanguardia rock - inventano almeno tre stili peculiari, hanno una miriade di idee, come testimoniano anche gli eccellenti brani scartati dalle sessioni di registrazione degli album: il tutto con tre strumenti tre e sempre in presa diretta.
In A Car (1981) Ep, 5 brani, 5 minuti.
L'esordio dei Meat Puppets rifonda, da solo, l'intero hardcore; ponendosi non come post-hardcore, ma come un'evoluzione (per intensificazione) dell'hardcore : "In A Car" [- 1:20] è uno dei bailamme più selvaggi e dissonanti di sempre; "Dolphin Field" [- 1:06] lo doppia acuendo se possibile l'impeto della batteria, la sgradevolezza della chitarra, il canto quasi death-metal; "Foreign Lawns" [- :36] finisce nell'inintelligibilità (la stessa di "Hate Me" dei Die Kreuzen, di "Joshua's Song" dei Bad Brains, di "Punch Drunk" degli Husker Du: tutti brani coevi, tutti brani da grind-metal, da Napalm Death o da iper-core, da DRI; si consideri, però, che inintelligibilità significa anche cacofonia e che questa va ricercata in Frank Zappa, Captain Beefheart da un lato e Velvet Underground, Stooges dall'altro).
Al canto lo stile feroce del ventiduenne Curt Kirkwood è detto "larynx-shredding screaming" e rende le liriche incomprensibili. È tra i primi a servirsene Kirkwood, è lezione hardcore, e sarà copiato un po' da tutti: dal metal in qua.
Cinque minuti sono poi sufficienti ai Meat Puppets anche per l'invenzione di un altro genere musicale, di un altro genere rock: "Big House" [- 1:05] è il primo brano - tutto strumentale - dei Meat Puppets futuri e del loro country progressivo e surrealista; "Out In The Gardener" [- 1:00] è invece a metà tra un singhiozzante passo-core e un'aria tutta country.
Meat Puppets (1982) Lp, 14 brani, 21 minuti.
È uno splendido proseguimento del discorso appena avviato. È ora nuovo hardcore (iper-hardcore), ora nuovo rock (iper-country). Rispetto ai successivi Meat Puppets, qui le dissonanze e il noise sono sia sul lato core che su quello country - poi il primo verrà ripudiato, il secondo elevato, anche formalmente, a trascendenza e classicismo. I capolavori si sprecano ("Reward" [- 1:11], "Walking Boss" [- 2:52] - su tutti questa cover da Doc Watson, ma il brano è tradizionale e i Meat Puppets ne fanno uno dei più grandi del rock), come gli eccessi d'inintelligibilità ("Blue-Green God" [-1:22], "Melons Rising" [- :53], "Electromud" [- :47] "The Gold Mine" [- 1:02]), ma anche le ballate melodiche e violentate ("Our Friends" [- 2:11], "Tumbling Tumbleweeds" (Nolan) [- 2:02], "Litterbox" [- :50]), gli strumentali come tuffi al cuore ("Saturday Morning" [- 1:30], "Milo, Sorghum, and Maize" [- 2:15]), le dissonanze e ogni sorta di rabbia animalesca e infantile al contempo ("Love Offering" [- 1:28], "Meat Puppets" [- 1:38], "Playing Dead" [- 1:28]).
È un insuperato diario di sogni infranti, ricordi, urla impressionanti, sistematiche e coinvolgentissime nel loro stato adolescenziale. È un'ode a un'esistenza maledetta e un pianto su questa maledizione.
A ventidue anni Curt Kirkwood si merita già di stare tra i chitarristi e cantanti più importanti e rivoluzionari di sempre. Il suo chitarrismo è una sevizia continua, è amorfo, come il canto che consiste in latrati a squarciagola. Quando si accenna a un riff - o a una melodia o a frasi cantante e pronunciate comprensibilmente - da quanto questi vengono martoriati e sconnessi, ne risulta una lacerazione forse più radicale dell' irrefrenabile caos cow-punk dei brani da 30 secondi.
L'hardcore dei Meat Puppets è musica per il cosmo e le sue conflagrazioni, che si cercano di riprodurre nella brutalità sonora, in una comunanza di cecità, ignoranza, anti-estetismo, sgradevolezza, disumanità, capace di accomunare e giustificare l'uomo e l'universo, la vita e la materia inerte, tramite una verità che significa indistinzione o sterilità.
Un barlume di valore o riflessione emerge allorché il ritmo rallenta e l'hardcore si volge alla cultura country surrealisticamente ed esistenzialmente rivissuta. Ma ancora non si dà dualismo e la compresenza del forte e del piano, della comprensione e vita umana con l'ignoranza e materialità naturale esacerbano ogni brano tragicamente conteso tra questi opposti finalmente fatti annichilire in una verità capace di sussumerli entrambi.
Dopo il nulla e la distruzione di tutto, non rimane che la riflessione su ciò. I futuri Meat Puppets così concepiranno il loro peculiare post-hardcore e ora ritorneranno alla meditazione sul nichilismo atroce della prima gioventù, ora - più spesso - metteranno questo in parentesi come prescrivendo, quale antitesi all'ignoranza insita nella mancanza di senso universale, un'ignoranza dell'uomo che per far fronte a quella a altro deve pensare.
Meat Puppets II (1983) Lp, 12 brani, 30 minuti.
Se l'esordio dei Meat Puppets era di già stato un capolavoro di fondamentale importanza storica, questo è un capolavoro nel capolavoro, portando avanti il discorso avviato dal gruppo, sino alla transizione finale nel progressive-country. Adesso, formalmente, dell'hardcore non è rimasto quasi nulla, ma ne sono pervasi lo spirito e la disperazione. Successivamente, a progressive-country ben avviato, anche questa componente dovrà cedere il passo a vantaggio della nuova estetica. L'album in questione però, proprio perché conteso tra una forma in buona parte contrastante con la sostanza, è portatore di una valore commovente, splendido, assoluto. Contiene tre delle più grandi canzoni rock di sempre - come paleserà Cobain nell'"Mtv Unplugged In New York". Ecco i brani - per un totale di 7 minuti - che fanno del ventiquattrenne Curt Kirkwood uno dei più grandi compositori di sempre: "Plateau" [- 2:22], una deliziosa ninnananna orchestrata tra l'aspro dell'esistenza e il surreale dell'onirismo; "Oh, Me" [- 2:59], un salmo che con una discretissima sezione ritmica e una preziosissima chitarra trafigge il country a mezzo della travagliata e suicida adolescenza di inizio anni 80 - e rivoluziona il modo di tale rappresentazione negativa: non dark, non metal, ma country: faranno tanto solo i Violent Femmes della coeva "To The Kill" -; "Lake of Fire" [ 1:54], il sublime del sublime, dove il piano degli strumenti trova il contrasto più struggente con la violenza di una voce disperata: così la melodia con la distorsione, l'essere compassato con l'abbandono.
"Split Myself In Two" [- 2:22] vanta ancora una sacca quasi hardcore e di fatto fonda modalità e contenuti dell'indie-rock (quello dai Dinosaur Jr. ai My Bloody Valentine a tantissimi altri e spesso grandi artisti dell'ultima era rock - seconda metà anni 80).
"Magic Toy Missing" [- 1:20] è uno strumentale power-country che rappresenta quello stile inventato di sana pianta dai Meat Puppets - e per certi aspetti più radicale di quella che fu l'innovazione di Young, il quale del resto spesso o ricalcava la tradizione o la innovava, ma dall'interno: col noise.
"Lost" [- 3:24] vede risaltare tutte le connotazioni del power-country: la sezione ritmica a passo di fanfara, la chitarra che si distorce per raggiungere l'altro mondo e non per piangere in questo, il canto che si eleva metafisicamente - così Kirkwood compie tutta la scalata delle sue innovazioni anche da questo punto di vista: dopo la fondazione del quasi-topo-in-gola, dopo quella della voce di lamento adolescenziale indie, ecco quella dell'angelo custode. "Aurora Borealis" [- 2:44] è uno strumentale liquido sì, ma di sole o luce, non d'acqua - elemento mai rintracciabile in questa musica delle grandi praterie. Se si riparte da Neil Young, si supera per una più radicale programmazione dell'opera musicale. Forma impreziosita da un contenuto che è intreccio di beatitudine contemplativa e sintomo tra il nostalgico ed il desolato.
"We're Here" [- 2:40] è l'ennesima confessione tutta introspettiva e sospirata di Kirkwood, che poi pare panicamente rifugiarsi o disfarsi nel paesaggio di deserti e cactus. Il suo chitarrismo raggiunge poi timbri avanguardistici da stare accanto alle sonorità del movimento Canterbury d'inizio 70. "Climbing" [- 2:41] è una melodia da far rabbrividire per il suo essere portavoce di secoli di musica popolare e sudista, del resto impreziositi da una nuova e moderna coscienza - va da sé che brani del genere oltre a essere senza tempo costituiscono per l'83 (anno tra Ultravox e Metallica) qualcosa di a dir poco inusitato. "New Gods" [- 2:09] è il secondo, parziale ritorno a tempi hardcore: la voce è sì cupa, tuttavia senza urlare; gli strumenti poi - tre di tre - regalano una delle pagine più preziose e sofisticate di sempre - country, blues, acid-folk, psichedelia paiono mezzi o meri nomi. "I'm A Mindless Idiot" [- 2:26] questa volta si è dinanzi a uno strumentale da acquarello di affettato impressionista che lavori in Arizona. "The Whistling Song" [- 2:56] vanta addirittura un memorabile fischio oramai da narratore e sopravvissuto - per quanto consapevole di tutto il peso che ciò comporti - più che da flagellante.
Tutti i brani sono fondamentalmente veloci; eppur riescono a comunicare uno stato di deliquio, insonnia, allucinazione, torpore tanto perenne e irrinunciabile quanto soggettivo - e per ciò più toccante - e sempre raffinatissimo.
Up On The Sun (1985) Lp, 12 brani, 33 minuti.
Con quest'album giunge alla perfezione formale il progressive-country o power-country dei Meat Puppets - a scapito ovviamente dell'hardcore, definitivamente eclissatosi. Le sue coordinate sono il surrealismo, l'impressionismo, l'impeccabilità esecutiva - sino alla prevalenza dello strumentale sul cantato.
"Up On The Sun" [ - 3:58] è un delicato acquerello, caratterizzato da inusitati e squillanti tintinnii di chitarra da una parte (introdotti da un ossessivo giro della stessa) e da una voce tra l'apatico e il trascendentale (Dead Can Dance) dall'altra.
"Maiden's Milk" [- 3:17], tutto strumentale, è costruito su scale e scale chitarristiche ed è capace di assurgere a melodie da madrigale: poi si allunga in un'equorea progressione fischiettata. Il referente degli australiani Dead Can Dance - quelli del coevo "Spleen And Ideal" - ritorna significativamente in una sezione ritmica monocorde e in un effetto tra l'estraniazione e l'impeccabilità formale, ottenute con minimi mezzi - pop quelli dei Dead Can Dance, rock quelli dei Meat Puppets.
"Away" [- 3:30] è cantato come un inno tra il naif e il grunge (Screaming Trees), ma suonato come potrebbe solo un'orchestra da chiesa durante la funzione di un rito pagano. "Animal Kingdom" [- 1:23] associa alla solita voce tra la nausea e la melodia un tappeto strumentale che rasenta - per via dei contrappunti chitarristici e la discrezione implacabile della sezione ritmica - l'ipnotico. "Hot Pink" [- 3:22] si dipana in un'orchestrazione che tra i mille espedienti palesa tutta l'accuratezza in fase d'arrangiamento e produzione di questi brani - la chitarra passa dall'effetto mandolino a quello di temperata cacofonia. "Swimming Ground" [- 3:05] è la nenia più melodica, nostalgica, commovente - subito, come norma, contraddetta da un'impietosa (nel suo ottimismo fonico) chitarra. L'effetto può essere prossimo al dream-pop, ma i mezzi - e i tempi: troppo veloci per il pop, troppo poco battuti per l'hard - denunziano la ristrettezza di tale definizione. "Butckethead" [- 2:19], se si avvale di un sommesso funk, trova la propria preziosità nei consueti ghirigori - come le veloci pennellate dei pittori impressionisti - della chitarra. "Too Real" [- 2:08] abbandona l'impressionismo dei brani incomprensibili da vicino, ma apprezzabili solo nell'insieme e da distanza, per concentrarsi tra riff antiquati, ma così abusati da non risultare neanche più tali e una sincera riflessione tutta esistenziale - costipante come quella di Ian Curtis.
"Enchanted Pork Fist" [- 2:48] attacca - e finisce - con un'accelerazione che pare di sentire gli Iron Maiden versione pop; poi disorienta tra indugi jazzati ed echi, riverberi canterburyani. "Seal Whales" [- 2:16] è uno strumentale - e si consideri pure questo il capolavoro del tutto - che sa di albumi, di feti: ma tanti indugi, molteplici cenni melodiosi, danno la sensazione di autocoscienza incapace di dissimulare la razionalità celata dietro proposte tanto pittoriche.
"Two Rivers" [- 3:15] va preso come il brano più emblematico dell'album: ne rappresenta lo strumentalismo - curato solo come quello di Brian Eno e del suo ambient: del quale del resto se ne doppiano i risultati -; ne rappresenta la voce dell'aldilà e tanto flebile di Kirkwood, ora, come chi lo accompagna, in punta di piedi, in meste ninnananne: impensabili gli eccessi mastodontici di pochi anni or sono. "Creator" [- 2:09], dopo ennesime e multiformi trovate strumentali, imbarca un canto capace di una melodia irresistibile quanto raffinitissimamente dissimulata e solo accennata - sarà il capolavoro speculare di "Seal Whales". Tutto poi finisce senza preavviso alcuno.
La grandezza dell'album sta nell'opposto di quella - più eclatante - del precedente. È costruita sul monocorde, non sulle opposizioni. Sulle sfumature, non sulle contraddizioni. Alla melodia - casomai - si giunge, non vi si parte mai. È come un chiodo fisso con una capocchia multicolore nei particolari e accecante nel complessivo. Ogni lembo è preziosissimo; ma tutto passa nell'indifferenza se non si spezzetta e spezzetta pazientemente. Nella composizione di siffatti brani, solo i Pere Ubu possono vantare un'approssimabile contiguità.
Trovata la loro dimensione, i Meat Puppets continuano, variando sullo stesso tema e sulle stesse modalità, con un album, Mirage (1987), che riesce a vivere di luce propria, tutto traboccante com'è di sincerità nel comunicare l'ineffabilità di sentimenti, paesaggi e rapporti umani.
In "Mirage" si confina con quello che era il suono onirico dei Rem, in "Quit It" si cresce ti tono per una sorta di rhythm and blues del sole, in "Confusion Fog" si decanta la limpidezza solo apparente del country. "Wind And The Rain" assurge addirittura a una dimensione corale che non ha nulla da invidiare alle cose migliori dei Buffalo Springfield; "The Mighty Zero" è la perla nera; "Get On Down" fa vedere come a questo stile para-cantautorale sia davvero prossimo il songwriting di Cobain: basta sfrondare quest'ultimo, per ritrovare le linee essenziali del primo. "Leaves" è ancora una delicatessen - per i più impensabile oltre che incomprensibile. "I Am A Machine" dispensa un gran, fantasioso lavoro strumentale così da distogliere dalla trappola retorica del ritornello. Se in "Hundred Miles" spunta un granello di rabbiosità, "Love Our Children Forever" è un capolavoro di epico folk-blues capace di spazzare via gran parte del nuovo odierno folk in salsa post-rock. "Liquified" è l'elettrico e potente inno di chiusura - come a spolverare tutta la polvere, pur d'oro, finora depositata.
Huevos (1987) cambia in parte le carte in tavola, aumentando i volumi, passando dall'introspezione all'estroversione, tanto da potersi dire quasi pieno rock americano medio: la voce passa dal cristallino al roco, le chitarre smanettano veloci, incisive e distorte, anche se senza mai investire di petto il riff hard-rock. "Dry Rain", "Fruit", "Automatic Mojo", "I can't Be Counted On" i riferimenti in questo senso. Brani che potevano scalare le classifiche solo che a Kirkwood riuscisse essere abbastanza meschino per piegarsi alla melodia facile; e invece, anche questa volta, la sua musica risulta tutto sommato sfuggente e quindi alle masse incomprensibile. Da segnalare i numeri delle chitarre in stile Up On The Sun su "Crazy".
Monsters (1989) si apre, tra l'incredulità generale, con un panzer heavy-metal, "Attacked By Monsters". È il proseguo del discorso avviato con Huevos, ma non toglie l'effetto di una Pollyanna che si mette i panni della punkette. Ripresisi dallo scossone, non resta che ammirare e applaudire la spregiudicatezza di Kirkwood. Le chitarre spianate, ma con la solita voce angelica, continuano in "Meltdown" e soprattutto in "Void", sei minuti di estasi chitarristiche indipendenti dalle declamazioni vocali. "Party Till The World Obeys" non pone fine allo stupore, con un tono oscuro e malsano che, ad altri ritmi, potrebbe richiamare addirittura i Misfits. "Flight Of The Fire Weasel" è ancora un grande numero strumentale: ci fossero camere nel deserto, sarebbe la partitura adatta per farvela suonare da un ensemble. "Strings On Your Heart" e "Like Being Alive" concludono il disco alla grande, così come era iniziato, e confermando che come al solito le capacità e visioni musicali dei Meat Puppets sono tali da poter prescindere dal tradizionale baricentro del rock: la voce. Il primo brano, con il suo stridere e il suo ritmo singhiozzante, avrà non poco da dire al grunge; il secondo unisce questa nuova chiave dissonante con l'angelicità del quasi-falsetto di Kirkwood.
In Forbidden Places (1991) quelli che possono dirsi anche tra i principali ispiratori dei Nirvana danno con "Open Wide" un'ulteriore prova di quanto ciò sia vero. L'album si mantiene ancora una volta al di sopra della media.
In Too High To Die (1994) c'è la dolente ballata "Roof With A Hole", che, senza voler toglierle nulla, inizia a essere troppo facile per gli standard del gruppo. Ben fatte, in piena consonanza con l'epoca grunge, "Backwater" e "We Don't Exist"; anche se a ben vedere la loro frenesia è contenuta, e loro stesse non sono mai catartiche o urlate, come se quel mondo che i Meat Puppets hanno involontariamente contribuito a creare non facesse in realtà per loro. L'album è nel complesso gradevole, ricco e spanne sopra (se non altro per il modo sopraffino con cui, al solito, è suonato) a tanti altri lavori magari osannati per la loro meschinità. Il problema è che si sente il pesce fuor d'acqua e che la cosa non pare troppo controllata.
No Joke (1995) contiene qualche altra sterzata verso tonalità dure, un po' come quelle che solo Young, col suo acustico ed elettrico, può permettersi. Come al solito, nulla è da buttare via; non vi saranno punte, quei brani dove si gioca tutto, ma ciò Kirkwood non lo ha mai ricercato. Si finisce anzi per giocare con titoli quali "Vampires", "Predator", "Nothing", che celano a dispetto della loro aggressività le usuali ballate, più spaziate, ariate, grossolane, ma alla fine sempre chiuse in se stesse. La voce, distaccata, apatica, monocorde, noiosa del Kirkwood senile sembra divertirsi proprio a far cozzare scorribande strumentali come un mondo che crolla e lui che si tiene su.
Il decimo album in 18 anni, Golden Lies (2000), con il solo Kirkwood della formazione originaria, risulta, per la prima volta, eccessivamente raffazzonato e autoindulgente, anche se o proprio perché non privo di trovate e spunti provocatori come "Hercules" o "Batwing"; oltre che di ballate dal facile appeal come "I Quiet". Il problema è che se "Take Of Your Clothes" prende in giro il nu-metal, "You Love Me" sembra prendere in giro se stessa.
Ma la dipendenza dalla droga di Cris, fratello di Curt e da sempre bassista della band, mina pesantemente la stabilità dei Meat Puppets, che di lì a poco si sciolgono. A quel punto Kirkwood avvia un sodalizio con Krist Novoselic, ex-bassista dei Nirvana, con i quali i Meat Puppets divisero il palco nel leggendario "Unplugged In New York", lo show registrato per Mtv pubblicato postumo successivamente alla scomparsa di Kurt Cobain. Nel 2002 la coppia Kirkwood-Novoselic pubblica un disco sotto la ragione sociale "Eyes Adrift", il quale però non avrà un seguito.
Successivamente all'esperimento Volcano (con membri di Sublime e Ziggens), Curt giunge nel 2005 al sospirato primo disco solista: "Snow".
Nel 2006 i fratelli Kirkwood si ricongiungono, e insieme al batterista Ted Marcus riformano i Meat Puppets. Il nuovo corso parte con la pubblicazione di Rise To Your Knees nel 2007, al quale fa seguito nel 2009 Sewn Together, entrambi album privi di particolari acuti. Nel frattempo alla batteria Shandon Sahm ha preso il posto di Marcus.
A metà aprile 2011 viene immesso sul mercato Lollipop, che ripropone il consolidato mix di rock e alt-country, del quale la band texana è ormai maestra. Si passa agilmente dall'alt-country speziato di Roy Orbison ("Incomplete") alle ballad più tradizionali ("Town"), dal rock senza mezzi termini ("Vile") a quello più stars and stripes ("Damn Thing", "Way What It Are"), dalle belle trame chitarristiche che accompagnano "Hour Of The Idiot" e "Lantern" alle tendenze in levare di "Shave It". Qualche traccia più debole c'è, senz'altro, e a tratti l'album perde anche un po' di verve, con le voci che tendono a essere terribilmente monocordi. Ma il mestiere c'è, e il disco resta a galla.
Musica che continua ad affondare le proprie radici nella tradizione americana, ad anni luce dal temerario hardcore degli esordi.
A conferma della loro ritrovata prolificità, due anni dopo è già la volta di un nuovo lavoro: Rat Farm.
Nel 2019 i Meat Puppets escono con Dusty Notes, ritornando nella formazione originale col ritrovato Derrick Bostrom alla batteria insieme ai fratelli Kirkwood, coadiuvati anche da Elmo Kirkwood, figlio di Cris, alla seconda chitarra e da Ron Stabinsky alle tastiere.
Apre il disco “Warranty”, forse il brano “più Meat Puppets” del disco. Le trame di chitarre e basso del clan Kirkwood si confermano complesse e affascinanti, così come il mix tra suoni acustici ed elettrici, ma quello di “Dusty Notes” è una sorta di alt-country “di maniera”, ben poco alternative e più vicino agli esiti recenti di gruppi come i Calexico. Tra lo stile tex-mex di “Dusty Notes”, il southern rock di “The Great Awakening” e la ballad country “Outflow” fanno capolino il clavicembalo baroccheggiante di “Unfrozen Memories” e il metal-prog di “Vampyr’s Winged Family”, che rappresentano gli elementi più originali dell’album.
“Dusty Notes” non è un disco della nostalgia, ma siamo lontani dall’estrosa ed entusiasmante foga cow-punk che aveva portato i Meat Puppets alla ribalta.
Contributi di Claudio Lancia e Maria Teresa Soldani ("Dusty Notes")
In A Car Ep (SST, 1981) | ||
Meat Puppets (Rykodisc, 1982) | 8 | |
Meat Puppets II (SST, 1983) | 8 | |
Up On The Sun (SST, 1985) | 7,5 | |
Mirage (Rykodisc, 1987) | 7 | |
Huevos (Rykodisc, 1987) | 7 | |
Monsters (Rykodisc, 1989) | 7 | |
Forbidden Places (London, 1991) | 6,5 | |
Too High To Die (London, 1994) | 6,5 | |
No Joke (London, 1995) | 6 | |
Golden Lies (Atlantic, 2000) | 5 | |
Rise To Your Knees (Anodyne, 2007) | ||
Sewn Together (Megaforce, 2009) | ||
Lollipop (Megaforce, 2011) | 5,5 | |
Rat Farm (Megaforce, 2013) | ||
Dusty Notes(Megaforce, 2019) | 6 |
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