Signori, prego, accomodatevi in sala… lo spettacolo sta per iniziare.
Il rantolo feroce e febbrile della distorsione fuzz di Mr. Hopper irrompe.
L'opera dei Soft Machine, perché si tratta di un'opera e non di un semplice Lp, non si nasconde dietro "coupe de teatre"; la dissoluzione armonica è sbattuta in prima pagina, senza pudore o timore di sorta.
Il sipario si alza, finalmente, dopo più di cinque minuti e i fiati impostano il tema centrale di "Facelift". Tema all'unisono di fiati e tastiere, l'inno della cerimonia.
Questo procedimento sarà alla base di tutti i brani del disco, tranne quello di Mr. Wyatt. Sì, perché questa volta i Soft Machine hanno voluto fare le cose per bene. I primi due dischi, che godono già di tutte le qualità espressive di Mr. Wyatt, Mr. Ratledge, Mr. Hopper e Mr. Ayers avevano, curiosamente, un limite: cioè tentavano, in maniera alquanto maldestra, di fondere le anime dei singoli. Ne veniva fuori un sound affascinante ma irrisolto, dove c'era tutto ma era ancora niente. Il "Soft Machine vol.2" è emblematico, la macchina rischiava veramente di esplodere. Invece, l'agonia fu fermata con la più semplice delle soluzioni: lasciare che ognuno gestisse in maniera autonoma il proprio materiale: due brani di Mr. Ratledge, uno di Mr. Hopper e uno di Mr. Wyatt.
Ne vien fuori uno dei dischi più importanti di sempre, un'opera che ancora oggi affascina per la sua qualità e sensibilità. Quella che può essere definita a ragione una "weird music", una musica magica. Il disco viene pubblicato nel 1970.
"Facelift"
Da subito i Soft Machine si gettano a capofitto nel regno del jazz; sono a tutti gli effetti i pionieri di un certo tipo di jazz-rock. L'inizio del disco, con il brano di Mr. Hopper, strizza l'occhio al precedente "In The Court Of The Crimson King" con la first track "21st Century Schizoid Man". Come accadrà per gli altri due autori del disco, Mr. Ratledge e Mr. Wyatt, anche questo brano sarà il modello per tutta la produzione successiva di Mr. Hopper solista: pulsazioni ritmiche, impostazione free dei fiati e, soprattutto, i droni apocalittici del suo fuzz-bass. Il progressive è nato da poco più di un anno e i Soft Machine ne decretano già il superamento, sconfinando nella "terra di mezzo" che separa il jazz dal rock, l'avanguardia dal classico British sound. Del sound iniziale, impostato ai primordi del Canterbury dall'australiano Aellen, non rimane più nulla, a parte il piglio dadaista di Mr. Wyatt.
"Slightly All The Time"
Diciotto minuti di musica costruiti su un nucleo tematico ridotto ai minimi termini; con questo movimento, Mr. Ratledge accosta jazz e minimalismo. La cellula iniziale, sempre affidata al gruppo di fiati di Mr. Dean, viene riproposta di continuo come un tema con variazioni. Talvolta la variazione è melodica, talvolta ritmica. Intorno al 6° minuto una repentina accellerazione introduce uno dei momenti più belli del disco: l'assolo di flauto di Mr. Dobson. In questa sezione del brano c'è da sottolineare l'enorme lavoro di rifinitura "jazzy" di Mr. Wyatt ai charleston. Le continue accelerazioni e decelerazioni di tempo caratterizzano l'intero brano, il tutto impostato sull'alternanza dei numeri 4(2)+3. Le linee principali sono sempre affidate ai fiati che con la precisione di un orologio alternano il tema principale con piccoli sviluppi improvvisativi. Una brusca fermata, intorno al 12° minuto, ci porta a un nuovo tema, impostato da sax e basso. L'atmosfera si fa plumbea, notturna. Come non immaginare Travis di "Taxi Driver" che si aggira come un fantasma nella notte newyorkese a bordo della sua automobile (una soft machine?) mentre tutta la fauna della downtown prende possesso del suo territorio? L'improvviso ritorno del tema iniziale, anch'esso all'unisono, ci riporta alla realtà quotidiana e tutto appare un lieve, piccolo, "slightly" ricordo.
"Moon In June"
Risuonano le corde dell'anima... Mr. Wyatt ci abituerà molto presto ad ascoltare la "musica magica" dalla sua voce flebile e ululante. Il rito cerimoniale impostato dai brani precedenti trova in questo capolavoro assoluto il suo climax, l'orgasmo del lupo Robert che col suo branco ci corteggia in circolo e ci conquista con il suo ululato ipnotico. Tutti i passaggi di questo movimento, in effetti, si insinuano subdolamente nella nostra memoria ed è veramente impossibile liberarcene. La cosa sorprendente è che esso è costruito con pochi, classici strumenti e senza ricorrere ad artifici elettronici. Il movimento non gode né di tutto il background culturale di jazz e avanguardia di Mr. Ratledge né della perizia tecnica di Mr. Hopper. Solo un organo e una batteria per i primi 8 minuti. Tutto suonato dal solo Mr. Wyatt. Lo sviluppo è lento e solenne e ci porta verso il climax attraversando i più svariati paesaggi sonori: blues, psichedelia, britpop. All'improvviso una pausa e un breve tema accennato dal fuzz di Mr. Hopper ci introducono nella sezione dominata dall'assolo di Mr. Ratledge. I Soft Machine sono veramente affiatati in questa sezione; la linea di basso è epica e trascendentale e l'opera di Mr. Wyatt alla batteria lo fa entrare prepotentemente nel regno dei migliori drummers di sempre. Ma su tutto domina il vocalizzo mannaro del cerimoniere di turno, che ci mostra l'esplosione, il Big Bang dell'universo tonale in una vertigine di suoni scomposti e frustate di rullante.
I frammenti di quell'immane esplosione rimangono in sospensione per circa 5 minuti; non un ritmo, non un'armonia, solo una melodia straniante del violino di Mr. Spall sembra ergersi dal magma del brodo primordiale; ma è vana speranza, tutto è risucchiato nel vortice del buco nero aperto dal menestrello di Canterbury. Questi sono i pezzi con cui Mr. Wyatt costruisce l'astronave che ci accompagna nelle remote regioni del subconscio. Non occorre altro per confezionare un buon brano di musica, "…e se per un attimo riuscirete a liberare la vostra mente da post-rock e drum'n'bass, jungle e trip-hop, exotica e techno-lounge..., a sottrarre una manciata di minuti all'affannosa ricerca dell'ultimo imperdibile album del mese, ad accantonare i dischi dell'anno e i capolavori di un minuto, sarete pronti per ripercorrere, una volta ancora, l'avventura musicale e umana di Robert Wyatt, l'esule che è impossibile non amare perché è, a suo modo, il più grande di tutti." (Marco Tagliabue)
"Out-Bloody-Rageous"
Da molti considerata una delle maggiori odissee compositive del progressive britannico, il brano di chiusura è impostato su una forte simmetria strutturale. In esso Mr. Ratledge non nasconde più la sua vena cervellotica e minimalista. L'intro, anzi, è puramente minimalista, in uno stile che lascia presagire il miglior Glass dei tempi a venire; le numerose linee sintetizzate si sovrappongono in modo apparentemente causuale, in realtà studiato nei minimi particolari. Il tema passa alla sezione guidata da Mr. Dean e il resto del gruppo, pianoforte e basso, ne impostano il ritmo. Ecco crescere prepotentemente la batteria di Mr. Wyatt che culmina con una serie di armonie dei fiati.
Tutto il brano prende forma sulla anti-simmetria dei ruoli principali, all'interno di una struttura musicale assolutamente regolare. È come pretendere di far entrare un piolo quadrato in un foro rotondo: le tastiere di Mr. Ratledge sono furiose, il basso di Mr. Hopper è evocativo e i fiati di Mr. Dean (il bellissimo assolo nella seconda parte) è assolutamente atmosferico e ci fa godere di tutte le note emesse. Ma prontamente ritorna l'intro/outro minimalista, chiudendo su se stesso questo che possiamo considerare un teorema matematico più che un brano di musica, in una sorta di Big Crunch opposta al Big Bang di "Moon In June".
Soft Machine:
Mike Ratledge Keyboards, Organ, Piano
Robert Wyatt Drums, Vocals
Hugh Hopper Bass
Elton Dean Alto Saxophone, Saxello, Saxophone
Lyn Dobson Flute, Horn, Soprano Saxophone
Nick Evans Trombone
Jimmy Hastings Bass Clarinet, Flute, Wind
Rab Spall Violin
09/11/2006