Chissà come avrà fatto Jeffrey Lee Pierce a incontrarlo di persona. Forse per intercessione del suo idolo Robert Johnson; forse dopo una sbronza per le strade di New Orleans; o ancora, dopo uno degli innumerevoli buchi che lo accompagneranno fino alla tomba, nel 1996, ufficialmente per un'emorragia cerebrale. Ma dopo l'ascolto di questo album, chiunque sarà in grado giungere alla più ovvia delle conclusioni, il patto era scaduto, tutti devono pagare i propri debiti a Lui, Jeffrey incluso. Viceversa come avrebbe fatto un comune mortale a partorire un'opera così lucidamente maligna, così demoniaca?
Robert Johnson abbiamo detto, il blues del delta, ma non solo: l'hard-blues degli Stones (e chi sennò? Ricordate, c'è sempre Lui di mezzo..) e il punk-rock californiano, un pizzico di country se vogliamo. In pratica, il rock nella sua più splendente e oscura malvagità, reminescenza delle origini africane dove la magia tribale è un credo consolidato.
E allora tutto combacia, le allucinanti visioni a sfondo sessuale di "Sex Beat", dove l'altalenante e vigorosa chitarra di Ward Dotson, figlio delle swamp e di New York allo stesso tempo, accompagna il ritmo ossessivo scandito dalla batteria; il delirante rito voodoo di "Preachin' The Blues", dove la foga strumentale esplode in terribili vampate di furore. O il blues-rock per ubriachi di "Promise Me", la chitarra singhiozzante, una viola ipnotica come solo quella di John Cale sullo sfondo.
E poi l'apocalissi, un uragano distorsivo contrapposto alla slide supersonica, il ritmo infuocato del punk-rock più energico, Pierce è disperato ma conscio del suo potere seduttivo come non mai; "She's Like Heroin To Me" è l'apice del disco e del blues-rock tutto. Al pari di quest'ultima traccia, "For The Love Of Ivy", dedicata a Poison Ivy componente dei Cramps, si ripropone come folle corsa verso il buio e l'ignoto con le sue poderose impennate ritmiche e strumentali.
Jeffrey Lee recupera parte delle proprie facoltà mentali in "Fire Spirit", anch'essa maligna con il suo giro di basso da oltretomba, ma sono momenti isolati, il delirium tremens si riappropria dell'anima del gruppo nella scorribanda infernale di "Ghost On The Highway", dove la slide impazzita sfreccia veloce accompagnata dagli spasmi del leader che, novello Caronte, accompagna le anime dannate nel loro viaggio verso l'inferno, "you're lost forever to the living men".
"Jack On Fire" trasporta l'ascoltatore negli intricati vicoli di New Orleans, il misterioso alone magico che permea la cittadina durante il Mardi Gras prende corpo attraverso la ipnotiche visioni di Dotson. Pierce, alla stregua di uno stregone voodoo, è capace di irretire anche le volontà più ferree, con la sua recitazione intrisa di follia e consapevolezza della propria infernale missione allo stesso tempo; e lo dimostra ancora una volta in "Cool Drink Of Water", dove blatera ubriaco ma mellifluo su un blues per alcolizzati. La sua aura sciamanica è malefica, al pari di quello dei mostri sacri Morrison e Jagger.
Il disco racchiude quindi un ampio catalogo di linguaggi musicali, ma riesce nell'intento di miscelare tutte queste forme sonore ricavandone un esplosivo concentrato di punk-rock rurale, che si rifà ampiamente alla macabra iconografia tipica delle regioni del profondo sud degli Stati Uniti. Il basso di Rob Ritter e la batteria di Ted Graham forniscono una base che sa essere sia veemente che morbida, a seconda che Pierce si produca in accelerazioni mozzafiato verso l'ignoto o in ipnotiche cantilene blues. La chitarra di Dotson è sempre perfetta, nel suo geniale accoppiamento di stili diversi e apparentemente contrastanti, swamp blues e frenesia punk in primis.
Rifacendosi al lato più oscuro e demoniaco del rock, i Gun Club riescono ad appianare divergenze apparentemente insormontabili, a unire la violenza e la velocità dei punk urbani alle lente e inesorabili cadenze del sud degli States, regalandoci un adrenalinico e grandioso capolavoro del male.
30/10/2006