If I had the possession over judgment day
If I had the possession over judgment day
Then the woman I'm lovin' wouldn't have no right to pray
("Se fossi padrone del giorno del giudizio
Se fossi padrone del giorno del giudizio
Allora la donna che amo non avrebbe diritto di pregare")
Robert Johnson è una delle personalità musicali più importanti del secolo scorso. Del blues e del rock ha costruito la grammatica e la semantica, imponendo uno standard universale, riscontrabile inequivocabilmente in una miriade di musicisti contemporanei. Buona parte della musica popolare americana evolve da sue intuizioni, nonostante egli non fosse né il primo né il più prolifico dei bluesman pre-bellici. Cerchiamo di analizzare le ragioni di tanta importanza operando un brevissimo excursus sul contesto socio-culturale che ha letteralmente eruttato un personaggio di simile fatta. La società americana di inizio 900 è figlia delle contraddizioni insite nei suoi orientamenti politico-economici. La guerra di secessione ottenne il deleterio risultato di incoraggiare le ambizioni imperialiste degli stati del nord, marginalizzando così l'economia agricola, unico strumento di sussistenza del sud del paese. Siffatta situazione costituì l'alveo ideale entro cui poté definitivamente radicarsi la segregazione razziale, in un percorso che ha le sue origini nell'America di inizio 800 dove, nonostante il Bill of rights (1791), il sistema schiavistico non subì delegittimazioni, ma anzi venne riconosciuto (di fatto) elemento fondante dell'economia americana. Nell'arco di due secoli, lo status sociale dei neri oscillò di poco, passando da una situazione di pura schiavitù a una condizione di schiavitù dai bisogni post-guerra di secessione. La musica nera sboccia come fiore delicato in un deserto morale.
Lo spiritual è canto sociale di liberazione, esprime il bisogno di un popolo di trascendere la propria condizione esistenziale, di imboccare la via per il paradiso. Esso non è in realtà canto esclusivamente nero, ma germina dalla confluenza di due tradizioni: da una parte i canti di lavoro e le litanie degli antichi popoli di agricoltori dell'Africa occidentale, dall'altra i salmi degli immigrati di razza bianca provenienti dal vecchio mondo. Convertendosi al Cristianesimo, lo schiavo ne metabolizza i temi, ne interiorizza l'essenza religiosa e adatta il tutto alle strutture ritmiche della cultura musicale africana.
Il blues deriva dallo spiritual, in un percorso che trova la sua svolta decisiva con l'epilogo della guerra di secessione e la fine formale della schiavitù. L'uomo di colore ora è libero, ma la sua condizione materiale non cambia, ecco che allora il blues si configura come canto individuale, che ha lo scopo non di esprimere il bisogno di liberazione di una collettività, ma la disperazione, la solitudine e lo smarrimento del singolo, la condizione dolorosa dell'uomo di colore, formalmente integrato, ma di fatto represso in una società egemonizzata dai bianchi. Musica individuale allora, che traduce in note i temi dolorosi della vita, che, non trovando più accompagnamento corale, avverte l'esigenza di un sottofondo musicale che veicoli quei sentimenti. Banjo, chitarra e armonica vanno a definire il corredo strumentale degli arcaici bluesman di inizio Novecento.
L'immaginario e la potenza immaginifica che questa musica racchiude sono altresì la risultante dei modi, dei ritmi, delle non scelte della società americana di inizio Novecento e della sua non benevola predisposizione nei confronti dei neri. Il bluesman viaggia in lungo e in largo per l'America (ecco allora la ballata ferroviaria), cerca di guadagnarsi da vivere in modi non sempre leciti (ecco allora la violenza e le carceri), trova l'amore o il sesso che altro non può essere che occasionale, visto il suo vivere ramingo (ecco, allora, le canzoni d'amore, i mariti traditi, le zuffe), affoga nell'alcol i suoi peccati, canta la morte, non come punto di passaggio verso le gioie del paradiso, ma come termine materiale della vita terrena e delle sue sofferenze. Nel periodo che intercorre tra gli anni 10 e 20 del secolo scorso, il blues diventa vero e proprio genere musicale, articolandosi in classico e rurale (country-blues).
Il blues classico è musica dell'urbe, eseguita da cantanti di colore reclutati dalle case discografiche nei teatrini vaudeville, nei "medicine show" o direttamente nelle zone del Delta, i quali "tradiscono" lo spirito originario e ne fanno strumento commerciale. Le storie raccontate dalle canzoni di classic blues sono spesso strutturate ad arte da parolieri pseudoprofessionisti, così da adattarsi al gusto estetico dei bianchi, ed esprimono le rinnovate istanze dell'uomo di colore, che, ormai formalmente libero, aspira alla completa integrazione. Il blues classico diviene fonte di guadagno per le case discografiche (è più facile vendere quel tipo di storie alla borghesia bianca) e trova tra gli interpreti di punta sicuramente Ma Rainey, Bessie Smith, Ethel Waters.
Dall'altra parte, si sviluppò (o per meglio dire continuò la sua tradizione) il country-blues, che ebbe il suo epicentro artistico intorno alle zone agricole del delta del Mississippi e della parte orientale del Texas, nella Louisiana. Musicalmente più sgraziato (gli interpreti non disponevano delle orchestrine musicali degli artisti di classic blues), si riallacciava però allo spirito sincero e tradizionale della musica nera, non ancora corrotto dall'affarismo delle case discografiche. In questo contesto, gli artisti più significativi furono Blind Lemon Jefferson, Charley Patton, Leadbelly, Skip James, Son House, primo maestro di Robert Johnson.
Con questo non si vuole dire che gli interpreti di classic blues scrivessero musica vuota, anzi, le opere di Bessie Smith e Ma Raney sono dei monumenti di inscalfibile bellezza, ma se sono i prodromi dell'arte dei vari Beefheart, Waits, Cave, Cramps, Blues Explosion, Red Red Meat e Old Time Relijun che state cercando, è alla pagina dei bluesman rurali che va aperta l'enciclopedia del rock.
Robert Johnson è l'archetipo dell'artista maledetto, l'uomo a cui il diavolo ha donato la chitarra e rubato l'anima, compositore di litanie malate, polvere, corvi, prigioni e ferrovie, spose violate e ira, le azioni, i sentimenti, la disperazione. Nato a Hazlehurst nello stato del Mississippi l'8 maggio 1911 (ma non ci sono certezze) dalla relazione extraconiugale della madre, Julia Dodds con Noah Johnson, uomo conosciuto dopo che il marito, Charles Dodds jr, dovette allontanarsi per sfuggire a una vendetta personale. Già in tenera età, Robert si dimostrò interessato alla musica e infatti imparò precocemente a suonare l'armonica, da autodidatta, prima di dedicarsi alla chitarra, con il fratello a impartirgli i primi rudimenti. Le notizie riguardanti la vita privata di Johnson sono poche, e non del tutto attendibili. E' abbastanza certo che verso il 1930, dopo aver trascorso qualche anno a Memphis, si sposò e si trasferì con sua moglie Virginia Travis a Robinsville; Virginia morì giovanissima, ad appena sedici anni, durante il parto del primogenito. Da quel momento, Johnson iniziò a vagare tra le varie città del delta del Mississipi, forse per lenire quel dolore e dare un nuovo senso alla propria vita, incendiando le anime con la sua musica infuocata e simbolica, incarnando alla perfezione la figura del bevitore donnaiolo, cantore nero dall'inferno.
Johnson è oggi considerato il più grande bluesman del Delta, e non solo grazie all'enorme abilità chitarristica, ma anche per il fascino oscuro che effonde la sua figura. La leggenda, da egli stesso alimentata, narra di come riesca ad acquisire il suo enorme talento dopo aver stretto un patto con il diavolo. Da principio, non particolarmente capace di suonare la chitarra, viene indirizzato da House verso l'armonica, ma Johnson scompare (a seguito della morte di Virginia), e riappare un anno dopo nelle vesti di fenomeno della sei corde. E' francamente difficile capire come abbia fatto in così poco tempo a ottenere un simile miglioramento. Le credenze dell'epoca raccontano di un incontro tra il bluesman e un misterioso uomo in nero, che allo scoccare della mezzanotte gli propone lo scambio anima\talento chitarristico. In realtà, la tesi più realistica è che Johnson, perennemente vagabondo alla ricerca di se stesso e del vero padre, avesse nel mentre incontrato il misterioso bluesman Ike Zinneman che ebbe a fargli da maestro. La stessa figura di Zinneman è velata da una patina di gotica credenza, in quanto si racconta di come amasse suonare nei cimiteri, tra le tombe, tanto che in molti vedevano in lui la personificazione del demonio.
Altro aneddoto incredibile (frutto di fantasia?) narra di come Johnson fosse capace di riprodurre nota per nota la musica udita da una radio il giorno prima, udita in una stanza affollata e senza porvi la benché minima attenzione.
Robert Johnson morì giovanissimo, il 16 agosto del '38, a Greenwood nel Mississippi, a 27, anni età infausta per altre future rockstar, e non poté che morire giovane, perché così era scritto, perché è così che si inabissa il genio e la sregolatezza, perché forse una morte "normale" non è dei grandi, o forse solo perché il suo modo di vivere non poteva avere epilogo diverso. Morì tragicamente nel mistero, forse avvelenato dal whiskey clandestino, forse barbaramente accoltellato da un marito geloso, convinto che il bluesman corteggiasse sua moglie. Agonizzò per alcuni giorni prima del decesso, si dice avesse utilizzato le sue ultime forze per scrivere una sorta di testamento, e una frase in particolare: "So che il mio Redentore vive e mi richiamerà dalla tomba". Greil Marcus, a proposito della morte, scrisse: "Morì nel mistero: qualcuno ricorda che fu pugnalato, altri che fu avvelenato; che morì in ginocchio, sulle sue mani, abbaiando come un cane; che la sua morte aveva qualcosa a che fare con la magia nera". Prima che il diavolo giungesse a reclamare la sua anima, Johnson ci donò, però, ventinove scrigni scintillanti contenenti la storia futura del rock, e dal punto di vista strettamente musicale e da quello narrativo/iconografico. Riuscì a registrarle grazie all'aiuto di un negoziante di dischi di Jackson, tale H.C. Speirs, il quale ebbe il merito di presentarlo a Ernie Oertle, scopritore di talenti per la Arc.
Ernie Ortle e Robert Johson composero la maggior parte del materiale in appena cinque giorni a San Antonio, verso la fine di novembre del '36, all'interno del Blue Bonnet Hotel o del Gunter Hotel (anche su questo ci sono ricostruzioni storiche discordanti). In questa prima trance videro la luce 16 canzoni: "Kindhearted Woman Blues", "I Believe I'll Dust My Broom", "Sweet Home Chicago", "Rambling On My Mind", "When You Got a Good Friend", "Come On In My Kitchen", "Terraplane Blues", "Phonograph Blues", "32-20 Blues", "They're Red Hot", "Dead Shrimp Blues", "Cross Road Blues", "Walking Blues", "Last Fair Deal Gone Down", "Preaching Blues (Up Jumped the Devil)", e "If I Had Possession Over Judgment Day". Finite le registrazioni, Johnson tornò nel Mississipi, per poi registrare a Dallas, nel giugno del '37 i restanti pezzi, tra cui "Hellhound On My Trail", "Drunken Hearted Man", "Me And The Devil Blues".
Ventinove canzoni con la c maiuscola, che segnano un'evoluzione rispetto alle soluzioni dei bluesman pre-bellici del periodo, nella veste di un suono vibrante e dinamico, che si esplica nella capacità di Johnson di supplire con la sola chitarra all'assenza di strumenti ritmici. La chitarra è ritmica e solistica allo stesso tempo. Veri e propri rock'n'roll ante litteram sono, ad esempio, le esplosive "Preaching Blues" e "32-20 Bles, They're Red Hot", la più compassata "Walking Blues" e la bellissima "Stones In My Passway". Altrove Johnson ha letteralmente inventato il blues-rock moderno post-bellico, come nella celeberrima "Sweet home Chicago".
In alcuni pezzi, compie un'operazione di completa disintegrazione dell'armonia e del ritmo (della forma-canzone quindi), in un continuo alternarsi e rincorrersi di accordi e mugolii. A volte il bluesman non canta, ma mormora, come se stesse narrando a se stesso l'immane solitudine. Esemplificativa è, in questo senso, "Come In My Kitchen", che suona a-musicale, anche per il monotono soliloquio di Johnson. Alcune testimonianze raccontano addirittura di un piccolo complessino rock'n'roll che Johnson mise in piedi appena prima di morire, con batteria e strumentazione elettrica (pick-up elettrico per la chitarra), ma su questo non c'è alcuna certezza.
La musica di Robert Johnson è un unico lancinante calvario verso l'inferno dell'anima. Egli canta di un mondo senza salvezza, senza possibilità di redenzione, dove i peccati sono il prezzo da pagare alla prepotente sete di soddisfare le intime pulsioni umane. La sua musica è un'affascinante ricerca del senso della vita, del perché l'uomo desideri più di quello che ha, degli istinti che muovono l'individuo a tradire, uccidere, mercificare se stesso. La soddisfazione per Johnson non risiede nell'ottenere queste riposte (impossibile), ma nel vagare e lottare per ricercarle. I significati e l'immaginario da cui il bluesman attinge e che rielabora e ripropone sono quelli dell'America grande paese, depositario delle mille occasioni, patria delle infinite possibilità; la non realizzazione personale è allora non solo sconfitta individuale, ma vanificazione delle speranze collettive condivise, tradimento dello spirito della nazione, una bandiera a mezz'asta che celebra il funerale dell'American Dream. Il tessuto iconografico di Johnson si nutre della sconfitta dell'emarginazione, della disperazione dei diseredati, di chi è materialmente impedito a realizzare i propri sogni.
L'immagine del demonio è una costante ossessiva nella sua musica, come in "Me And The Devil Blues": "Early this moring/ When you knocked upon my door/ I said, Hello, Satan/ I believe it's time to go" ("Questa mattina presto/ quando hai bussato alla mia porta/ ho detto: "Buon giorno, Satana/ credo sia ora di andare").
La presenza del diavolo nelle canzoni dei bluesman del delta e di Johnson, in particolare, può essere decodificata servendosi di una duplice chiave interpretativa: una è quella della sfera personale relativa ai comportamenti e alle azioni. Johnson, bevitore donnaiolo e amante del sesso fine a se stesso, incontra il peccato e se ne lascia dominare, conosce quindi il diavolo che di peccare gli offre la possibilità e che nel peccato si incarna. Trasgressore incallito, viene più volte a patti, ne ha paura, perché è consapevole della sua potenza distruttrice, della sua capacità di offrire soddisfazione immediata, ma dannazione eterna. Sa che per ogni peccato compiuto il demonio reclamerà un pezzo d'anima.
Il secondo livello interpretativo si serve della visione del tessuto sociale dell'America puritana di inizio Novecento, dove predicatori e comunità religiose costruiscono le fondamenta del proprio vivere quotidiano sui dettami di Dio, del lavoro, del rispetto per il prossimo, ma anche sulla negazione della diversità. Comunità che della minaccia del peccato, del demonio che lo offre e della dannazione eterna che dall'accettazione ne deriva, hanno fatto strumento di controllo sociale, potente calmiere più di una qualsivoglia punizione corporale. Tra le pieghe di questa rigida visione, si insinuano le contraddizioni e le tensioni più acute, derivanti dal forte contrasto tra l'impegno formale a vivere secondo i dettami della religione (Dio) e la realtà fatta di tentazioni, trasgressioni e colpe (Satana).
Anche di questo canta Johnson nei suoi salmi apocrifi, rendendo viva questa contraddizione, ergendosi a narratore ed esempio negativo, abbagliante demone personificazione del peccato e della superstizione. Testimonianza dello stato di cose nell'America rurale di fine 800 e inizio 900 è lo splendido "And The Ass Saw The Angel" di Nick Cave (per rimanere in ambito esclusivamente musicale), dove il bardo di Melbourne rende visibili tra sangue e polvere l'esplodere di queste contraddizioni, tra suicidi ed esecuzioni sommarie, predicatori invasati e vendette dell'Eterno. Particolarmente vibrante è la parte in cui Cave racconta della punizione che gli abitanti della comunità riservano a Cosey Mo, prostituta dichiarata, che vive ai margini del villaggio e della grazia di Dio. Una furia cieca si abbatte su di lei, aizzata da chi della ragione e della fede si fa ipocritamente depositario, ma che ha scheletri nell'armadio e peccati ben più gravi da espiare.
Il confine tra bene e male, tra redenzione e dannazione, è toccato da Johnson in "Cross Road Blues". Qui il crocevia può essere inteso come punto di snodo della vita di un uomo, tra le tentazioni peccaminose e autodistruttrici sempre in agguato, e la volontà, spesso flebile, di farvi fronte e abbracciare la strada maestra del riscatto:
I went to the crossroads, fell down on my knees Asked the Lord above, have mercy,
Save your poor Bob if you please.
Hmm, standing at the crossroads, I tried to flag a ride
Standing at the crossroads, I tried to flag a ride
Ain't nobody seems to know me, everybody pass me by.
Hmm, the sun goin' down boys, dark gon' catch me here,
Eeeeh, dark gon' catch me here,
I' haven't got no lovin' sweet woman
that loves and feels my care.
You can run, you can run tell my friend poor Willie Brown
You can run tell my friend poor Willie Brown
Lord, that I'm standin' at the crossroads,
I believe I'm sinking down
("Sono andato al crocevia, sono caduto in ginocchio/ ho chiesto al Signore lassù, abbi pietà, risparmia il povero Bob, ti prego./ Me ne stavo al crocevia, cercavo qualcuno che mi desse un passaggio/ sembra che nessuno mi riconosca, tutti mi passano davanti./ Il sole sta calando, gente, il buio mi sorprenderà qui/ senza una dolce donnina piena d'amore che comprenda la mia angoscia./ Puoi correre a dire al mio amico, il povero Willie Brown/ che me ne sto al crocevia, credo che non resisterò a lungo").
In "Cross Road Blues" confluiscono tutti i temi della poetica dell'artista, Dio, a cui Johnson chiede aiuto e pietà per i peccati commessi, ma per tentare un'ultima carta più che per vera fede , il buio, metafora di Satana che inesorabilmente sta giungendo a reclamare la sua anima, e nel crocevia, nell'amletico dubbio tra la redenzione e la salvazione, la volontà di avere una donna vicino a sé, o meglio "una donnina piena d'amore", che gli allevi la pene dell'animo prima della dipartita.
Pur avendone timore, Robert Johnson era in buoni rapporti con il diavolo, perché era consapevole di essere perduto, e ne era addirittura l'incarnazione nei rapporti con l'altro sesso. Possedeva un fascino incredibile; si presentava nei locali con la sua musica vibrante, con le sue storie allucinate, e riusciva a conquistare i cuori delle donzelle ammaliate dal suo stile di vita, così antitetico rispetto alla monotonia del quotidiano, come canta in "Stop Breakin' Down Blues": "Stuff I got'll bust our brain out baby/ It'll make you lose your mind" ("La roba che ho ti farà scoppiare il cervello bambina/ ti farà perdere la testa").
Le donne in cui si imbatteva durante il suo errare altro non erano che oggetti pornografici da usare e immortalare nelle proprie composizioni. Johnson viveva nel presente, accarezzava il passato, ma era consapevole di non avere futuro, e in questa mefistofelica visione, l'idea della donna non poteva che coincidere con quella di amante nel senso fisico del termine, dove il romanticismo è solo di facciata e nasconde l'implicito invito, come in "Hellhound On My Trail":
If today was Cristmas Eve, If today was Cristmas Eve
And tomorrow was Christmans day
If today was Cristmas Eve, If today was Cristmas Eve
And tomorrow was Christmans day
Aw, wouldn't we have a time, baby?
("Se oggi fosse la sera di natale, se oggi fosse la sera di natale
E domani il giorno di natale
Se oggi fosse la sera di natale
E domani il giorno di natale
Non ci divertiremmo un po', bambina?")
O, al massimo, donne come immagine di un desiderio di normalità, subito represso dalle necessità del vivere vagabondando, del trovare una nuova storia in ogni porto, come in "From Four Till Late":
When I leave this town
I'm gonna bid your fair, farewell
When I leave this town
I'm gonna bid your fair, farewell
And when I return Again
You'll have a great long story to tell
("Quando lascerò questa città
Ti dirò addio, addio
Quando lascerò questa città
Ti dirò addio, addio
E quando tornerò ancora
Avrai una lunghissima storia da raccontarmi")
Il concetto di donna come oggetto sessuale, come semplice mezzo per la soddisfazione dei propri istinti, si completa con la concezione di donna come angelo/diavolo, che è espressa in pezzi come "Kindhearted Woman Blues" e "Drunked Hearted Man":
"Kindhearted Woman Blues":
I got a kindhearted woman, do anything in this world for me.
I got a kindhearted woman, do anything in this world for me.
But evil-hearted women, man, they will not let me be.
I love my baby, my baby don't love me.
I love my baby, ooh, my baby don't love me
("Io ho un cuore buono donna, qualcosa in questo mondo per me.
Io ho un cuore buono donna, qualcosa in questo mondo per me..
Ma queste donne dal cuore malvagio, uomo, loro non mi lasceranno.
Io amo la mia bambina, la mia bambina non ama me.
Io amo la mia bambina, ooh, la mia bambina non ama me")
"Drunked Hearted Man":
I'm a poor drunken hearted man and sin was the cause of it all.
But the day you get weak for no good women,that's the day that you surely fall
("Io sono un povero uomo dal cuore ubriaco e il peccato fu la causa di tutto esso.
Ma il giorno che tu diventerai debole per una non buona donna, quello sarà il giorno che tu sicuramente cadrai")
L'affresco morale che Johnson costruisce della donna è terribile, quanto più sembra essere mediato dall'esperienza diretta del personaggio. Il bluesman perde presto sua moglie e inizia il suo errare alla ricerca di se stesso; sulla via della perdizione, ha probabilmente modo di esperire un solo tipo di donna: quella facile e disponibile a concedersi anche per una sola sera. Quel tipo diventa rappresentativo di tutto l'universo femminile, in una fusione distorta di sesso facile, mariti traditi, "donne cattive", donne che giocano coi sentimenti degli uomini di buon cuore. In questo caso, Johnson si erge nella doppia veste di diavolo tentatore e narratore disilluso.
La sua opera è l'equivalente del "Cuore di Tenebra" di Conrad, un viaggio dei meandri nascosti dell'animo umano, dove le pulsioni più abominevoli sono spesso sedate dalla coercizzante incombenza delle regole sociali. Ma Johnson libera se stesso e l'ascoltatore, racconta, lascia intendere, affresca plumbee visioni, spesso disegna solo i contorni, è consapevole che per quanto si lotti per la felicità (normalità), spesso è sufficiente un episodio a liberare il demone nero insito in ogni essere umano, figlio degli atavici istinti dell'uomo/animale e delle sofferenze e dei dolori che fornisce il quotidiano. Ed egli era la testimonianza vivente di questa visione, un autentico peccatore impenitente, che dalla reiterazione coatta del peccato traeva convinzione dell'esistenza di una forza che va oltre la logica, una forza capace di impadronirsi dell'anima e disporne a proprio piacimento, di annullare il volere raziocinante. La presenza del demonio nelle sue canzoni più terrificanti è proprio la concettualizzazione dell'agire trascendente di questa forza, cosicché la musica di Johnson ha una portata simbolica universale, che va oltre l'immaginifica iconografia dell'America rurale di inizio Novecento e dei suoi personaggi.
Il rock è la musica del demonio, ed è vero, o almeno è vero nella misura in cui riesce a essere non elemento attraverso in cui esso (la forza distruttrice) si manifesterebbe (visione a cui è intimamente legato l'immaginario superficiale ed estetizzante del rock'n'roll), ma nella misura in cui si pone come fattore catartico, rispetto a un'interiorità repressa da un vivere quotidiano non in linea con le proprie sensibilità, dell'essere diversi in una società in cui i comportamenti necessitano di uno standard codificabile, al fine della convivenza civile. Johnson cantava del diavolo perché intendeva esorcizzarne la potenza distruttrice, perché attraverso il racconto del peccato riusciva a esteriorizzarne gli effetti, a far sì che la sofferenza morale si trasformasse in energia rigeneratrice. Il peccato autoalimentava la musica e il suo essere, per cui ne era imprigionato malgrado tutto, ma, nell'incontrovertibile reiterazione, aveva pur la necessità di deviarne gli effetti.
Niente da dire: con la triade donna (sesso), alcol (droga), blues (rock'n'roll), con la sagoma minacciosa del demonio sullo sfondo, Johnson ha letteralmente costruito l'immaginario del rock, ma il beat irrefrenabile della sua musica, la voce coinvolgente, i sentimenti che sgorgano liquidi da quelle parole, fanno sì che la fruizione delle sue canzoni, da puro ascolto esegetico/accademico, da fascinazione per l'America che fu, si trasformi in sentire interessato ed emozionante, in note che toccano il profondo.
Perché questo è il blues; esso nasce dal connubio simbiotico di arte e vita, come espressione di un sentimento, come fulgida esteriorizzazione dell'io nascosto, represso e violentato dalle necessità materiali; è la perfetta fusione di anima e corpo, tra l'interiorità e i significati che nasconde, e il significante, che si materializza nelle note di una chitarra che gemono e veicolano dolore. Ecco perché chi successivamente ne ha ricalcato la tecnica senza aver nulla da raccontare, senza un fuoco da estrinsecare, ha composto una musica mirabilmente vuota, un simulacro dalle fattezze fredde e inanimate, un significante che trasporta la sua ombra in un circolo vizioso/virtuoso di scale e accordi reiterati, di prurigini tecnicistiche che rimandano a se stesse, non al caldo desiderio dell'anima di farsi corpo.
Proprio questo è invece Robert Johnson, questo è il blues e perciò se ne intravede il fantasma anche in musiche che non lo chiamano in causa in modo diretto. Questo è Robert Johnson, questo è il blues, e artisti come Brian Jones, Jim Morrison, Janis Joplin, Jimi Hendrix, Jeffrey Lee Pearce, Ian Curtis, Nick Cave, Simon Bonney, Kurt Cobain, Layne Staley, tra gli altri, godranno di gloria imperitura perché ne incarnano lo spirito, al di là delle opinioni critiche dei mille esegeti buontemponi di turno.
La musica di Robert Johnson è la musica del peccato. Sublime.
King of the Delta Blues Singers (Columbia, 1966) | ||
King of the Delta Blues Singers Vol. 2 (Columbia, 1966) | ||
Legacy (Columbia, 1976) | ||
The Complete Recordings (Columbia, 1990) | 9 | |
Delta Blues: The Alternative Takes (Aldabra, 1990) | ||
Delta Blues Vol. 1 (Aldabra, 1990) | ||
Delta Blues Vol. 2 (Aldabra, 1990) | ||
All Time Blues Classics (Music Memoria, 1996) | ||
King of the Delta Blues (Columbia, 1997) | ||
Gold Collection (Retro Music, 1998) | ||
King Of the Delta Blues Singers Vol. 1-2 (Columbia, 1998) | ||
Masters (Cleopatra, 1998) | ||
Delta Blues Legend (Charly, 1999) |
Sito su Robert Johnson | |
Testi |