Li avevamo visti qualche mese fa dal vivo, e il sospetto era stato
quello di una band approdata, dopo tanto zampettare tra blues avariato e spunti
free, a una formula più snella ed efficace, visionaria come sempre ma con un
taglio più “garage” e a suo modo pop – scelta, questa, forse condizionata dal
cambio di formazione (fuori Phil
Elvrum, dentro il giovane Rives Elliot), forse dalla maggiore lucidità
musicale di Arrington de Dionyso, attento nel tenere separati più del solito i
momenti sperimentali da quelli rock.
Il sospetto in questione è
ora pienamente confermato da questo “Lost Light”, sesto album degli Old Time
Relijun, forse il migliore della loro carriera. Migliore non perché
oggettivamente “più bello”, ma perché, in quanto album con capo e coda, più
continuo, omogeneo e coeso delle prove precedenti – i colpi di genio non sono
mai mancati nella produzione del trio, ma i cali di tensione creativa o un po’
di confusione qua e là, erano sempre affiorati. A nostro parere, è proprio la
dipartita artistica di Elvrum ad avere avuto un ruolo non da poco nella svolta:
la produzione (a cura di Calvin Johnson) è come al solito ruvida, ma priva di
eccessi sonori particolari (tutto suona sporco, ma senza infastidire); lo
scheletro ritmico dei brani è più essenziale che mai (Elliott ha imparato a
suonare sulle parti del suo predecessore, ma non è dotato né della stessa
tecnica né della stessa fantasia: meglio così), e ne risalta, una volta tanto,
l’importanza fondamentale del contrabbasso di Aaron Hartman nell’economia della
band.
Sopra un impianto restaurato e prosciugato di moltissimi dei suoi
vecchi orpelli, un de Dionyso, come già detto, estremamente lucido e attento a
dosare tutte le proprie capacità istrioniche e strumentali: le declamazioni
mistico-allucinate sono quelle di sempre, il chitarrismo sbrodolato e nervoso
pure, ma stavolta nel consueto frullato new wave + Beefheart + Birthday Party +
blues delle radici pare non ci sia una nota fuori posto, come dimostrano brevi,
ma intense cavalcate noise-blues come “Vampire Victim” o “Tigers In The Temple”,
episodi intrisi di umori newyorkesi (“This Kettle…”, “The Rising Water…”), o la
splendida e ipnotica trance ritmica di “Cold Water”.
Il disco della
ragigunta maturità? Della consapevolezza dei propri mezzi e delle proprie
abilità? Del realizzato compromesso tra rischio e immediatezza? Noi scommettiamo
di sì; voi, fate il vostro gioco.
12/12/2006
1. The Door I Came Through Has Been Closed (but I Keep Trying)
2.Vampire Victim
3. Cold Water
4. This Kettle Contains the Heart
5. Music of the Spheres
6. Tigers in the Temple
7. Pardes Rimmonim
8. Cold Water, Deeper Underwater
9. The Rising Water, the Blinding Light
10. War is Over