Beatrice Antolini

Beatrice Antolini

Beatrice nel paese delle meraviglie

Sbarazzina ma non troppo, ancorata a una modellazione pop favolistica, Beatrice Antolini è una delle giovani promesse della scena indie italiana. Timbrica jazzata e annichilimenti da Alice (s)perduta nel bosco caratterizzano un suono talvolta indefinibile e straniante. Benvenuti nel mondo fatato della giovane pianista maceratese

di Giuliano Delli Paoli, Michele Saran

Dal conservatorio a concorsi internazionali di musica classica, passando per le prime punk-band da sommossa adolescenziale variopinte di un poderoso dark-industrial, fino ad approdare a uno sfavillante psych-pop di natura disneyana: Beatrice Antolini è semplicemente una delle più autentiche giovani promesse del sottobosco indie italiano. Un’attitudine a un suono fatato talvolta indefinibile, riconducibile a un caleidoscopio di briose colorazioni in salsa Van Dyke Parks, induce spesso ad allucinanti analogie. Provate a immaginare i due Psapp, in abiti westerniani, che sfidano in duello la combriccola Gong, e avrete un’idea (?) precisa dello stile di quest’affascinante fanciulla. Allo stesso modo, la sua voce appare ora sbarazzina, pienamente ancorata a una modellazione favolistica, sfuggente negli acuti appena abbozzati, ora densa e corposa nel risaltare l’ombrosità delle sfumature melodiche.

La nostra giovane musa nasce a Macerata, dove comincia a suonare pianoforte all’età di tre anni (!), prima di vendere l’anima al punk (e ai suoi derivati) in età adolescenziale. Trasferitasi successivamente a Bologna, diplomatasi nel 2002 come attrice nella scuola Teatro Colli, trova le sue  prime “commissioni” per alcune recite della compagnia, fino a comporre musiche per lo spettacolo “Favolose Principesse” di Silvia Roncaglia.

Beatrice AntoliniE' forse proprio la soundtrack di un cortometraggio immaginario a ispirare la giovane maceratese nella stesura del suo primo lavoro, Big Saloon (Madcap Collective, 2006).
Beatrice lo registra tra le mura di casa, suonando letteralmente di tutto: piano, synth, chitarra, basso, percussioni di ogni tipo, violoncello, harmophone, armadillo, portacenere, matita, metronomo, e tanti altri misconosciuti aggeggi marchiano a fuoco un esordio spiazzante. Le traiettorie umoristiche del synth mutano la timbrica jazzata un po' ovunque, simulando dispersioni atonali e annichilimenti da Alice (dis)persa nel bosco.
Leggiadre digressioni pianistiche invitano l’immaginaria clientela del grosso salone ad accomodarsi al suo interno, la sensazione iniziale è quella di imbattersi nell’araldo bianco della regina di cuori. La sezione ritmica dei pezzi più cadenzati  e gli  svariati isolazionismi inquieti del pianoforte, ricalcano le colorazioni jazz neworlensiane di inizio Novecento: un involucro di vortici sintetizzati e sensualismi vocali animano lo sfondo muto di un dipinto surrealista.
Big Saloon è un lavoro che ripone nelle antiche divagazioni sonore dei vecchi cortometraggi animati tutte le sue cesellature, imbastendosi di modernismo elettrico nelle giuste proporzioni. Un disco che verrà riprodotto l’anno successivo grazie alla collaborazione tra Pippola Music, Madcap Collective e distribuzione Audioglobe, riscuotendo un discreto successo post-myspace, post-“nicchia”.

Due anni trascorsi tra svariate e stranianti esibizioni live, anche in compagnia di personaggi del calibro di Bugo e Baustelle, riconoscimenti sparsi qua e là un po’ in tutto il web musicofilo, precedono la prima entrata ufficiale in uno studio di registrazione, lontana da casa, supportata, sempre e comunque, da Marco Fasolo, cantante e chitarrista dei Jennifer Gentle.
 

Con il secondo disco, A Due (Urtovox, 2008), si passa rapidamente da atmosfere di richiamo fumettistico, modello Tim Burton, a una visione più cruda e scarna dell’intera struttura armonica, come è lei stessa ad affermare. L’abbandono della quiete casalinga, le differenti aspettative e una maggiore pressione di un piccolo, nutrito, ma esigente seguito inducono la seducente Antolini a un approccio più maturo e studiato.
Nella sua seconda prova, l’abile pianista, travestita da maestrina della contaminazione, gioca a fare l’intrattenitrice vellutata, importandovi la deontologia della punkette in fase di transizione.
Anche in A Due prevalgono i numeri eccentrici di vaudeville sensuoso, di music-hall Broadway-iano, di cadenze ballabili e melodie psichedeliche, come in “Modern Lover”, nel singolo “Funky Show”, e nei ritmati esotismi di “Pop Goes To Saint Peter” e “A New Room For A Quiet Life”.
Se il recital tribale-atonale di “Taiga” contraddice in fieri il baccanale acustico, il suo piano scalmanato fa spesso da controparte al canto afrodisiaco (la vintage-psych “Morbidalga” e “Secrete Cassette”, con una melodia degna dei Jennifer Gentle), talvolta finendo sull’orlo della lussuria nevrotica (“New Manner”, e specialmente “Sugarise”).

Il dado è tratto da un’Alice più matura, talvolta priva di un vero e proprio self-control d'ambizione. Un risultato che porta comunque con sé dei passaggi a dir poco seducenti, ma a tratti oscurato dalla maggiore autenticità, genuinità/impulsività del disco precedente.

 

Così consacrata a nuova eroina dell'alternative italico, e supportata da una costante frequentazione di palchi e eventi live, Beatrice Antolini torna con BioY, un nuovo tocco di classe che la vede cresciuta tecnicamente, soprattutto nella voce profonda e vellutata, e negli accenti anche più esotici della scrittura. Attraverso brani come "Piece Of Moon", "Eastern Sun" e "BioY", l'autrice accorpa sovratoni tropicalia, bossa techno, refrain industrial e veli orchestrali. Un'autrice più cristallina emerge in due ballate pianistiche come "Planet" e "Paranormal", mentre "Night SHD" prova di nuovo a tradurre in senso tecnologico la psichedelia come aveva fatto nella precedente opera. Per quanto disarticolato, frammentato e pure turbato, BioY è tanto in grado di completare la transizione varata da A Due quanto di iniziare un nuovo corso, continuamente proteso alla pervicacia della sua ricerca.

Ma il quarto albo Vivid non possiede più nulla della sua intelligenza creativa, e finisce per genuflettersi al pop da classifica ("My Name Is an Invention", "Open", "Transmutation"), probabilmente la sua nuova passione o il risultato di un periodo di stress.

L'Ep Beatitude, a poco più di un anno di distanza, rimette tempestivamente le cose a posto: la litania "Spider Are Not Insects", un minuto e mezzo di durata, riporta alla frenesia dei suoi esordi psichedelici; "Dna" riporta in luce la sua abilità alle tastiere; "With Love" esplora il lato più eccentrico di Tori Amos fino a farne valzer fiabesco; anche la nuova incursione nel pop con "Anyma L", ballatona strappalacrime, ha una costruzione più adulta e dà un senso ai suoi utimi decorsi di cantautrice.

Il quinto album della polistrumentista marchigiana si presenta scottante e provocante fin dalla copertina. Al di là dell’estetica, ancora una volta curata in maniera impeccabile, L’AB è un’opera intima, zeppa fino al midollo di considerazioni personali sull’inesorabilità del mondo e delle sue assurde dinamiche. Beatrice Antolini continua inoltre spedita nella gestazione di quel microcosmo personalissimo di suoni, variazioni, trovate armoniche, e chi più ne ha più ne metta, decisamente uniche, impossibili da individuare e quantificare altrove, perlomeno lungo lo stivale.
C’è tanto in L’AB. Un’intrigante introspezione segna il passo dei suoi nove episodi. E’ un album in cui regnano supremi momenti di pura inquietudine verso l’ignoto e il mistero, come quelli palesati tra le ombre elettriche di “Subba”: ballad melanconica melodicamente e ritmicamente diretta verso il fondo di un burrone alla stregua di un angelo caduto dal cielo con lo scopo di indagare tra le piaghe di un mondo sempre più difficile da decifrare. “Second Life” muove inizialmente sulle medesime cadenze, dirottando solo in un secondo momento verso armonie che sembrano partorite da una Kate Bush o una Tori Amos (fate un po’ voi) aggiornata ai nostri giorni, sorretta e spinta da delicate variazioni elettroniche poste da tappeto con assoluta diligenza. 

Il tratto vaudeville brioso e irriverente che segnava il passo del divino esordio, datato 2006 (!), torna così a mostrarsi in “What You Want”, prima che una cassa dritta spunti a sorpresa a metà del brano trascinando con sé praticamente tutto, in un crescendo di diversivi strumentali alla Psapp. Mentre la solitudine raccontata in “I’m Feeling Lonely” con il piano cullante e il cantato dimesso, così come il profondo sarcasmo di “Beautiful Nothing” delineano i tratti di un disco compatto, intenso, variegato sul piano esecutivo, dannatamente vivo e profondo allo stesso tempo.

Beatrice Antolini

Discografia

Big Saloon (Madcap Collective, 2006)

7,5

A Due (Shinseiki / Urtovox, 2008)

7

BioY (Urtovox, 2010)

6

Vivid (Qui Base Luna, 2013)

4

Beatitude (Ep, La Tempesta, 2014)

6

L'AB (La Tempesta, 2018)

7,5

Pietra miliare
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