Marlene Kuntz

Catartica

1994 (Consorzio Produttori Indipendenti)
alt-rock

Lascia che ti vomiti un’onda di parole
MA-MA-MARLENE è la migliore!
Piegati a novanta, io monto la tendenza
fammi entrare nell’intellighenija
(da “M.K.”)

Nella prima metà degli anni 90 tutti i giovani della Generazione X che amavano il grunge e l’hardcore- noise erano alla ricerca di eroi nazionali da adorare: una band nuova, da veder crescere, da sostenere sin dagli esordi, non un refuso di epoche precedenti. La nostra penisola era (come al solito) in cronico ritardo rispetto ai flussi musicali che giungevano da Stati Uniti e Gran Bretagna, e così sul finire degli anni 80 la scena indipendente italiana si muoveva ancora scimmiottando new wave e post-punk. Firenze si poneva in antagonismo a Bologna come centro propulsore, grazie al lavoro svolto in simultanea da Litfiba, Diaframma, Neon, Punkow e Moda. All’inizio del decennio successivo le label italiane (spinte dal successo planetario di Nirvana, Pearl Jam e affini) erano finalmente ben predisposte a scendere nelle cantine del nostro paese per mettere sotto contratto i migliori esponenti della scena underground. Si iniziava a credere e a investire su quei suoni, scorgendo i presupposti per eventuali guadagni. I giovani musicisti si immergevano nell’immaginario americano per costruire solide impalcature sulle quali innestare le proprie caratteristiche peculiari.
I Marlene Kuntz adoravano i Sonic Youth, ma nelle proprie composizioni mediavano ad arte l’attitudine experimental-noise con il gusto per la melodia tipicamente italico. Arrivavano da Cuneo, non proprio il centro del mondo, e nel 1994 avevano già alle spalle una buona gavetta, costruita su esibizioni più o meno fortunate e su una manciata di Ep. Cristiano Godano (il frontman del gruppo, nonché autore delle liriche) si fece notare già con gli effimeri Jack On Fire!, passati anche sul palco di Arezzo Wave. Accanto a lui si muovevano l’altro chitarrista Ricardo Tesio, il batterista Luca Bergia e il bassista Luca Viano, che da “Il Vile” lascerà il posto a Dan Solo. Il dualismo Godano/ Tesio pareva costruito con precisione scientifica: tanto sfrontato e carismatico il primo, quanto (almeno in apparenza) timido e riflessivo il secondo. Assieme fondevano linee di chitarra che da lì in poi avrebbero fatto tendenza dalle nostre parti, e avrebbero portato molti fan ad approfondire il discorso sulle migliori formazioni d’oltreoceano. Saranno infatti non pochi ad ammettere di aver scoperto Sonic Youth o Pixies, soltanto dopo aver letto le prime recensioni di “Catartica”, che puntualmente si soffermavano sulle radici del suono di Marlene.


E certo un brivido averti qui con me
in volo libero sugli anni andati ormai
e non è facile, dovresti credermi,
sentirti qui con me perché tu non ci sei
Mi piacerebbe sai, sentirti piangere
anche una lacrima, per pochi attimi
(da “Nuotando nell’aria”)

Non giravano molti soldi, e Godano, dopo le prime produzioni semi carbonare, si lanciò in una sorta di crowdfunding ante-litteram attraverso la pubblicazione su un quotidiano locale di un annuncio nel quale chiedeva ai propri fan di sostenere economicamente la registrazione di un nuovo Ep. Per una serie di circostanze fortunate quel disco diventerà il loro primo album. Una recensione su Rockerilla del terzo Ep del gruppo spalancò loro le porte dell’attenzione nazionale, e di lì a poco si concretizzerà il contatto con Gianni Maroccolo, ex-Litfiba, allora bassista dei Csi, impegnato a lanciare l’etichetta C.P.I. (Consorzio Produttori Indipendenti) per la quale “Catartica” diventerà il primo articolo in catalogo. Maroccolo si occupò della produzione esecutiva, lasciando il coordinamento di quella artistica a Marco Lega, fondamentale nell’indirizzare i ragazzi verso i suoni, i metodi e le attitudini musicali giuste. Lega diverrà una sorta di Steve Albini dei Marlene Kuntz, aiutando il quartetto a caratterizzare fortemente quel sound che sarebbe diventato uno dei simboli del decennio musicale italiano.
La sintesi più stupefacente risiede nel miracolo di “Nuotando nell’aria”, dove i quattro sublimano rabbia e melodia scrivendo i cinque minuti che faranno la fortuna della loro creatura musicale. Una storia d’amore terminata che resta nel ricordo del protagonista, la sofferenza per una figura femminile oramai perduta, e il tessuto musicale che sfocia in un crescendo finale ad altissimo contenuto emozionale, che va a rappresentare la disperazione dell’io narrante. Gli altri sei minuti che entreranno nel mito saranno quelli di “Sonica”, vero manifesto musicale della band: un tripudio noise che sarà per anni lo zenit delle loro esibizioni live, sulle quali viene innestato un testo dai risvolti criptici, il resoconto dei postumi di una serata trascorsa ad altissimo volume. Il più grande spot promozionale venne però regalato da Giovanni Lindo Ferretti in persona: non solo decise di suonare “Lieve” in alcune date dei Csi, ma addirittura fece inserire la propria versione nel fortunato “In quiete”, lanciandola all’attenzione del proprio pubblico, numericamente sempre più importante.


Fragori nella mente, rumori, dolori
lampi, tuoni e saette, schianti di latte
fragori a albori universali, scontri letali, SONICA, SONICA…
(da “Sonica”)


Ma “Catartica” è un susseguirsi di inni generazionali e programmatici, a partire dall’iniziale “M.K.”, acidissima invettiva contro il rap allora imperante, che secondo la visione della band catalizzava (per volere delle major) l’attenzione mediatica, oscurando altri generi musicali altrettanto meritevoli. Per non parlare di “Festa Mesta”, ulteriore arrembaggio sonico che entrò subito nel cuore dei fan, tanto quanto le celeberrime “1° 2° 3°” e “Canzone di domani”. Nei testi vengono sublimati sia il lato più selvaggiamente carnale della poetica godaniana (“Gengiva nuota contro muco/ Gran liquame stilla dal buco/ Rossorosacarnoso ex muso coli bavoso” nella parte centrale di “Giù giù giù”; l’autoerotismo velatamente citato in “Gioia che mi do”) sia l’apatia della provincia cronica (“Noi stiamo per generare/ L’idea di vomitare/ Sui vostri piatti migliori/ E stiamo per eliminare/ Chi non si sporca le mani/ E dentro al Cuneo muore” da “Fuoco su di te”).
A riascoltarlo ora, “Catartica” pare una sorta di greatest hits dei primi Marlene Kuntz, quattordici tracce che segnarono profondamente tutti coloro che in quegli anni le ascoltarono. Una sequenza mozzafiato, ed in mezzo a cotanto splendore passano quasi in secondo piano composizioni che sarebbero state potenziali singoli in qualsiasi altro album coevo, ma “Trasudamerica”, “Merry X-mas”, “Mala mela” e la strumentale conclusiva “Non ti scorgo più” risultano tutt’altro che banali riempitivi. 


Ci sarebbe da scoprire tutto ciò che è da apprezzare, me la sento:
sarebbe bene ne potessimo parlare.
Ma non balli, sorridi, saluti, mi sputi la birra che bevi graziosa;
silenziosamente ti mando a cagare,
no, non sai come stare
(da “Festa mesta”)


Uno dei più grandi meriti di Cristiano Godano (ma anche di Manuel Agnelli e qualche anno più tardi di Alberto Ferrari dei Verdena) fu quello di dimostrare la possibilità di cantare rock in italiano senza apparire ridicoli o scontati. Proprio da quei solchi iniziò a caratterizzare il proprio songwriting, ad esempio attraverso l’utilizzo di termini inusuali o addirittura desueti per descrivere le situazioni narrate attraverso immagini fantasiose, con grande utilizzo di figure retoriche. Nacquero così il “rogo delle mie brame”, il “vociare di monete obsolete”, i “complimenti a molle”, il “perdersi in fondo all’immobile” il “mulo che trasuda America”, “un grammo di gioia del tuo sorriso”. Cristiano perfezionerà ulteriormente la propria poetica nei lavori successivi, ma già dall’esordio i testi vennero riportati integralmente nel libretto con tanto di ricca punteggiatura e giochi di maiuscole/ minuscole, con l’intento di enfatizzare anche su carta le espressioni ricercate dall’autore. Godano riteneva di avere cose importanti da dire e scelse sempre i mezzi più efficaci per farle comprendere in maniera chiara ed inequivocabile, non a caso ci fu la scelta programmatica del cantato in italiano.
“Catartica”, pubblicato il 13 maggio 1994, si imporrà come disco-rivelazione del nuovo rock italiano, capace di mescolare rabbiosi inni post-punk e lievi melodie dal vago gusto bohémien. Ed a venti anni di distanza viene ancora percepito come uno dei lavori di riferimento degli ultimi due decenni, persino dalle nuove generazioni di musicisti, che all’epoca erano bambini o addirittura non ancora nati. Con i due album successivi, “Il vile” (1996) e “Ho ucciso paranoia” (1999), formerà un tris di rara efficacia che porterà i Marlene Kuntz a diventare i veri portabandiera del rock alternativo di casa nostra, impossessandosi di quello scettro che nel decennio precedente fu nelle mani di Cccp e Litfiba. Con il passare degli anni da band di culto divennero una realtà di primissimo piano, conseguendo un crescente successo e persino una partecipazione al Festival di Sanremo. Cercando sempre di coniugare ricerca artistica, sperimentalismi assortiti, e una forma-canzone comunque accessibile al grande pubblico.


Terzo: provai con la pistola
Sparai parole come MERDA CARLO ABORTO
Io non sapevo se sentirmi forte
Ricordo solo dipinto sul suo viso
quel lurido sorriso!
Non ce la facevamo più

(da “1° 2° 3°)

19/01/2014

Tracklist

  1. MK
  2. Festa mesta
  3. Sonica
  4. Nuotando nell’aria
  5. Giù giù giù
  6. Lieve
  7. Trasudamerica
  8. Fuoco su di te
  9. Merry Xmas
  10. Gioia (che mi do)
  11. Canzone di domani
  12. Mala mela
  13. 1° 2° 3°
  14. Non ti scorgo più

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