Litfiba

Litfiba

Firenze wave

Alfieri fiorentini della new wave, autori di almeno tre album memorabili, i Litfiba sono anche responsabili di uno dei piu' sfacciati "tradimenti" del rock italiano: rinnegato lo spirito ribelle e poetico degli esordi, hanno sposato un pop-rock vieto e commerciale. Con tanti soldi e poca gloria. Fino allo scioglimento del sodalizio Pelù-Renzulli. E alla inaspettata reunion del 2010

di Tommaso Franci

Il preistorico (1980-84)

A Londra il punk sta raccogliendo i suoi cocci e lo fa con i filosofeggiamenti settari del dark, dell'elettronica, della new wave (in America non si vorrà solo raccogliere o sopravvivere: ci sarà la speculazione/rivoluzione dell'hardcore, infine dell'heavy metal). Di ritorno dal soggiorno di tendenza a Londra, un ventisettenne chitarrista ledzeppeliniano pettinato alla moda punk (come poi dirà: "Nel 1979 ero l'unico punk di Firenze"), nato ad Avellino, Federico Renzulli, inizia, a Firenze, la vita stracciona da rocker d'altri tempi e senza nemmeno lo sconforto/speranza che poteva dare la, allora sola, capitale (assieme a New York) del rock mondiale. "A Firenze c'era la morte" ripeterà Renzulli nelle interviste, riferendosi all'assenza di stimoli musicali, di locali, di luoghi di ritrovo, di new waver. Ma grazie a questa morte e all'asfissia che provocava, a un nichilismo impotente e fine a se stesso, in quello stesso anno si era formato, sempre a Firenze, un gruppo dall'altissimo grado di poeticità, privo (come poi i Litfiba) di proprie sonorità (usavano quelle dei Joy Division) ma dai testi (in italiano quando imperava la moda di cantare in inglese) potenti di immagini, eleganti, evocativi e - cosa rara - meritevoli di essere letti. Il gruppo era quello dei Diaframma, guidati da Federico Fiumani.

In questa situazione girò per Firenze la voce che un certo Federico stava cercando un bassista: veniva dalla provincia di Grosseto un ragazzo classe 1960, Gianni Maroccolo: pensava che, rispondendo all'annuncio si trovasse di fronte Federico Fiumani, che qualche popolarità, nell'ambiente universitario/giovanile di Firenze, l'aveva: invece ebbe a che fare con uno sconosciuto Federico Renzulli. "Località Italia Firenze via dei Bardi" nascevano i Litfiba: Federico Renzulli alla chitarra, Gianni Maroccolo al basso, Antonio Aiazzi (Firenze, 1958) alle tastiere, Francesco Calamai alla batteria. Primo pezzo strumentale: "A Satana". Strumentale perché mancava un cantante; ci pensò Aiazzi che prelevò dal liceo un fiorentino classe '62: Pietro Pelù. Si presentò nella cantina di via de' Bardi, l'abitazione di Renzulli presa in affitto da un conte, e iniziò (come dirà quando ormai avrà perso tutto quell'afflato) a "urlare in un microfono".
Firenze contemporaneamente stava iniziando a pullulare di locali alternativi (= new wave e/o post-punk): il Manila, il Faro, il Casablanca, la Rockoteca Brighton.
I concerti dei Litfiba - che spesso condividevano il palco con i Diaframma, che già avevano fatto demo ed Ep, e altri gruppi, poi scomparsi, come i Neon - si caratterizzavano (ne è esemplare la "Mephisto Festa" durante il carnevale dell'82) per un inizio da party horror, con il basso cupo e ossessivo di Maroccolo e una bara a centro palco, da dove usciva Pelù declamando i primi versi di "A Satana": "Sangue scuro che avanza/ dalla parte scura il fronte dei/ cadaveri divora ogni cosa", il rituale sacrificio di un oggetto qualsiasi distrutto da Pelù che infine si gettava dal palco sulla folla (cose scontate, altrove: in Italia no, in Italia potevano ancora entusiasmare).

Nel luglio dell'82 i Litfiba vincono la seconda edizione dell'Italian Festival Rock di Bologna. Esce l'Ep Guerra (Maso/ Urgent Label): "Guerra", "Luna", "Under The Moon", "Man In Suicide", "E.F.S.": tutti i brani sono di alto livello (non tanto musicale quanto poetico), tutti evocativi, pregni di significato, alcuni cantati in inglese, altri in italiano. Questo per quanto riguarda i contenuti; ed è la sola cosa che è possibile chiedere e aspettarci dai Litfiba, perché la forma, beh, la forma non è altro che quella del momento, del gusto medio dell'adolescente inizio-anni-Ottanta: dark/post-punk. Ma è un pretesto, poteva essere heavy metal, rap, soul: quello che conta è che i Litfiba avevano da dire delle cose e non c'era miglior modo per farlo che parlare nel linguaggio dei contemporanei. Il pentametro è quello di David Bowie, Killing Joke, Tuxedomoon, Martha & The Muffins, Ruts, Stranglers, Christian Death, X. Le cose da dire erano il manto della morte, il sentimento di tragicità, l'avvertimento di una bellezza tanto latente quanto assoluta, la voglia di un massimo, qualsiasi cosa esso sia - il sesso, le sedute spiritiche, le uscite notturne nei cimiteri di campagna o la droga- il terrore della mediocrità. La copertina, in bianco e nero: una specie di monaca-larva che si accascia: per lei è insopportabile ogni luce, se pur tenue. Intanto alla batteria si avvicenda Renzo Franchi ed esce il 45 giri "Luna/La preda" (Fonit Cetra, 1983).

Sempre nell'83 i Litfiba apparvero con "Transea" (prima immagine di quella che sarà una fissazione di Pelù: gli zingari dell'est) nella compilation Body Section (Electric Eye) e realizzarono la colonna sonora di Eneide (Suono Records, Lp), uno spettacolo teatrale di Krypton. Il gruppo vaga per i bassifondi delle città europee, soprattutto la Francia: è, fondamentalmente, sola ispirazione per la loro poetica ed esistenza, prima ancora che un'esigenza artistico-musicale.

Il 1984 (anno in cui esce Siberia dei Diaframma) è l'anno della svolta. Alberto Pirelli e Anne Marie Parrocell creano, a Firenze, l'IRA, o "Immortal Rock Alliance". L'etichetta, per la quale esce appunto l'album dei Diaframma, diventa in breve tempo la label indipendente italiana più nota. Alla batteria del gruppo è ora il migliore amico di Pelù, nonché suo ex-compagno di Liceo: Luca De Benedictis detto Ringo De Palma (Torino, 1963): i due iniziano a far uso di droghe pesanti. Esce l'Ep Yassassin (Contempo, 1984): "Yassassin", "Elettrica danza", "Yassassin (radio version)".Evidente, anche dalle cover, l'influsso di Bowie. "Elettrica danza", di cui esce pure un video ambientato fra le luci e le ombre notturne in un decadente e autunnale palazzo parigino, è una canzone d'amore bohemienne, con la stessa tinta dei Black Sabbath del primo album ("Black Sabbath", 1970): la voce di Pelù è quella di un fantasma che sta per accoltellare o essere accoltellato da un'entità femminile: fantasma/accoltellato: spirito-fumoso/sangue.

Nella prima antologia dell'IRA, Catalogue Issue (1984) escono altri due classici dei Litfiba: "Onda araba" e "Versante est". Il linguaggio della new wave viene usato per rendere e far rivivere - con occhi toscani - atmosfere orientali.

La trilogia del potere (1985-89)

È la volta della grande assurdità. Nel 1985 esce il primo album dei Litfiba, Desaparecido (IRA). Assurdità innanzitutto perché è la cosa più storica fatta nel modo più a-storico. L'a-storia: musicalmente, quell'album, nell'85, non solo era datato (lo sarebbe stato, all'interno del movimento new wave, già nel '79), ma era addirittura inesistente. E oggi: oggi, uno sberleffo. Tragicommedia. Roba da preistorici nonni magari reduci dal fronte e un po' rimbambiti: tipo i mutandoni per andare a letto o i bigodini della vecchia zia. A causa delle evoluzioni dei costumi e quindi dei suoni, non c'è cosa più lontana al rock-medio anni '90 del rock-medio anni '80. Eppure, e proprio per questo, non vi è cosa più calata nella storia di quest'album. Esso nasce e si conclude in quel 1985: non ebbe da dire nulla ai contemporanei, perché usava un linguaggio già trovato e già datato e quindi non contemporaneo (il linguaggio dell'Abc musicale che sempre useranno i Litfiba e che non fa essere loro dei veri musicisti); non potrà dire nulla ai posteri per le stesse ragioni e casomai amplificate. Per questo riesce a dire tutto quello che voleva dire, e non era il niente: era il racconto di un sogno adolescenziale ambientato in una Firenze tra suggestioni di casolari di campagna e spiriti templari da paesi misteriosi.

C'è solo un motivo per ascoltare un album dei Litfiba: è l'aver voglia di fantasticare e suggestionarsi su come passare o aver potuto passare un determinato preciso conchiuso e irripetibile tempo: è la volta dell'85. E in questa "volta" il primo a guidarci è un inno, un inno che in altra forma (com'è quella che assume dal vivo in, per esempio, Sogno ribelle, 1991) avrebbe potuto essere un anthem alla Overkill, "Anarchy in the U.K.", "Smells like teen spirit", si tratta di "Eroe (o Eroi) nel vento". La voce di Pelù, pur evocativa e unica come (quasi) sempre, in questa edizione del brano è ancora contenuta, frenata, costipata, sottotono. Ma basta il testo, uno dei pochi, nella storia del rock italiano, a meritare una lettura: "Scatti ai nervi e i sensi che/ Le ombre dei sogni scuotono/ Spazza vento e porta via/ Il bambino che gioca con il mare/ Non sarò eroe / Non sarei stato mai/ Tradire e fuggire/ è il ricordo che resterà/ Eroi nel vento / è la noia che scava dentro me/ Solo noia che scava dentro me/ Guerre di eroi/ Tradite senza pietà/ e svanite nei secoli".

La seconda serata del periodo di giri notturni per cimiteri è rappresentata da "La preda": bruma, brina, corsa, affanno, morte di ghiaccio mentre il cuore, estrema beffa, implode per troppo battere, per troppo calore. "Lulù e Marlene": un amore troppo grande, dovrebbero reggerlo, oltre al soggetto, almeno due persone, ma sarebbe inutile, non ce la farebbero... eppure sono bellissime... tanto vale non lo tocchi nessuna delle due. "Instanbul": da un colle di Firenze, la prova immaginativa di un Oriente che, per quanto cuocia di delusioni, a forza di tenace volontà può splendere, come una volta o come forse non ha fatto mai. "Tziganata": "Eva ballava sul fuoco/ Profumo di sesso attorno a sé/ La notte in cui nacque l'odio": può bastare? "Guerra" (con echi di Simple Minds) è un pezzo violentissimo e sempre in crescendo che non dà né respiro né tregua, sembra non finire mai.

Sempre nel 1985, i Litfiba incidono per l'IRA, con i Diaframma che ne erano gli autori, "Amsterdam", perché "il giorno impazziva di luce" come recita la lirica di Fiumani. Non solo perché lo hanno fatto i due gruppi più importanti, ma anche per la sua poeticità è il brano più importante degli anni Ottanta italiani.

Nel 1986 esce, per l'IRA, l'Ep Transea, sempre sul "versante est": "Transea", "Maria Valevska", "Onda araba", "C.P.T. Queeg".Tra le varie avventure-vacanze-concerto in Europa, i Litfiba sbarcano a Mosca. Pelù, lasciando De Palma al suo destino, smette di drogarsi e inizia un periodo di dipendenza alcolica. Aumentano le divergenze artistiche e personali tra i due galli del pollaio, Maroccolo e Renzulli: il primo è per i Tuxedomoon, le tonalità oscure rese dall'uso preminente del basso e delle tastiere elettriche sugli altri strumenti; il secondo per i Led Zeppelin, gli assoli di chitarra. Aiazzi, che non ha personalità, si schiera ora con l'uno ora con l'altro.

Per questa volta l'ha vinta Maroccolo, che lavora giorno e notte agli arrangiamenti: esce 17 Re (IRA, 1986). Il doppio Lp, pur e ancor più anacronisticamente nel filone new wave, è un album diversissimo dal primo. Esaspera, come violentasse un cadavere, ciò che è rimasto (= ciò che i Litfiba si ricordano) dei dettami new wave: si sente già odore degli anni 90 (negli Stati Uniti è uscito il primo Ep dei Pixies e sta per uscire quello dei Mudhoney): i Litfiba fanno un'Odissea cieca e suicida all'indietro. Rischiano di rimanerne seppelliti. È il più estremo, difficile, sincero e anarchico (nel senso che ogni componente del gruppo faceva, suonava e diceva quello che gli pareva) album del gruppo. Sarà anche il meno venduto.
Tutti i brani sono malati allo stesso modo, pervasi da una medesima e ineluttabile opacità; provengono dai recessi (se di una stagna di gasolio, di una cantina ammuffita o di uno scheletro, non importa). Qui non si respira da balconi (pur se patibolari) come in Desaparecido. Le musiche sono scritte da Renzulli, Maroccolo e Aiazzi. I testi che, pur senza i picchi di Desaparecido, chiedono comunque ascolto, non si sa. Piero Pelù se n'è sempre arrogato il diritto, ma, a giudicare dalle sue prove posteriori sembra difficile che se lo sia meritato; forse li hanno scritti tutti insieme; forse il solo Renzulli.
"Resta" è un brano deciso e senza compromessi: per brevità, forza e concisione sarebbe stato inammissibile nell'album dedicato ai desaperecidos argentini. "Re del silenzio", altro "pezzo forte", giustifica perché il brano d'apertura diceva "Resta quella parte di me più vicina al nulla": perché "Non so più amare". "Café, Mexcal e Rosita" dilata ogni porto (la morte, il tradimento, il lavoro, la guerra) in un mare ubriaco, alcolico, insensato e disperato. Antiestetico perché l'estetica, come il resto, non conta più: non ci sono più occhi per vedere o orecchie per cos'altro. Solo nenia, sciagurata e bestiale. Senza compiacimento. "Vendette" tenta una ricostruzione, almeno utopica, di un qualche approdo di valore: come dire: se c'è un dio (rigorosamente lettera minuscola) provvederà. Notevole l'attacco acustico: in 7 anni di carriera non è attestato l'uso della chitarra acustica. "Pierrot e la luna": dopo aver riportato la ragazza a casa, di sera, quando lo stomaco è vuoto perché è ancora non si è cenato, anche se è tardi, il ciglio, il ciglio tra la strada a sterro e il campo, da costeggiare, da rasentare i freddi e bagnati fili d'erba, da eclissarvi. Alla luna.
"Tango": brano a ritmo di tango, appunto, ma violento, teso e fasciante, da girotondo di zingari intorno al fuoco, fuoco di iniziazione, alla vita o alla morte. "Come un dio": diventerà un manifesto con 12/5/87 prima e Pirata dopo. "Febbre": vedi "Cafè, Mexcal e Rosita", solo che qui non siamo da soli nella panca di un pub, ma da soli, nella camera buia di una casa che è tutta quella camera. Come se stessimo lì ad aspettare un ferro da stiro ad asfissiarci di vapore. "Apapaia", dai toni più pop, probabilmente l'unico brano scritto da Pelù. "Univers": atmosfera fuori dal mondo, pur non essendo il miglior brano del disco, è quello che meglio chiarisce le differenze con Desaparecido: siamo passati dal primo racconto per poi vivere, all'ultimo per poi morire, solo che, quest'ultimo, non è racconto di altro, ma di morte esso stesso e già. Checché se ne dica, oramai la vita non interessa più, è già stata spremuta. Rimane, se rimane, se 17 Re rimane, un vizzo (corpo, frutto, panno). "Sulla terra" è forse il miglior brano dell'album: siamo a Gerusalemme, l'ultimo degli infedeli abbandona la città, per farlo ha bisogno di sacrificare un amico, e non gli importa, perché non gli importa della fuga: la fa perché gli capita.
"Ballata" è la mattina dopo la notte della fuga. Solitudine totale. Nulla. Nemmeno la forza di suicidarsi. L'album si conclude (sempre nel rispetto del tono rosso cupo che lo caratterizza, anche in copertina) con quattro brani in rapidissima successione e uno più violento dell'altro: Pelù finalmente urla e ringhia. "Gira nel mio cerchio" e "Cane", riediti in chiave del tutto garage-rock e per nulla new wave, diventeranno due classici del gruppo. "Oro nero" è un sabba. Ferito significa morto.

Il lunghissimo tour dell'87, che sperpera i magri guadagni del gruppo toccando anche l'Australia, si conclude con una serata storica, in un locale che per questa occasione diverrà a sua volta storico.Non succede nulla, il 12-5-'87, nessuno muore: solo campo libero al sogno e all'intensità sentimentale. La cornice è la Firenze di un gremito Tenax.
Il live che ne viene fuori (12-5-'87, IRA, 1987) è costituito da un esiguo numero (10) delle canzoni eseguite quella sera: nella scelta dei brani da pubblicare si prediligono quelli di 17 Re, del primo album solo "La preda" e "Tziganata", manca "Eroi nel vento", ma, se 17 Re è l'album in studio più meritevole dei Litfiba, questo è il loro miglior album in assoluto. Migliore però in modo stranissimo; scaturisce infatti da questo contrasto: i Litfiba in studio fanno new wave, dal vivo garage-rock; gli album in studio dei Litfiba vendono poco (17 Re, un album costantemente ripudiato dalla coppia Peù-Renzulli, pochissimo), ma i concerti sono sempre sold-out, anche all'estero.

In 12-5-'87 la batteria di De Palma è come sempre quella di chi ha per unico scopo vitale suonare e non si applica o non enfatizza neanche questo: ma non sbaglia un colpo; il basso di Maroccolo giusto dominatore assoluto; la chitarra di Renzulli garbata, mai invadente o autocelebrativa, essenziale quanto efficace; Pelù alterna improvvisa ironia nelle arringhe al pubblico (sarà anche denunciato per aver offeso un ex-ministro del governo italiano) a totale distacco da tutto ciò che non sia le parole che intensamente canta. "Come un dio" e "Cane" fanno vedere come possa con agilità trasformarsi una canzone dei Litfiba. Trascendentali le versioni di "La preda" e "Tziganata". La dilatazione in duetto col pubblico di "Luna", brano risalente all'82, l'entusiasmante conclusione del concerto e della registrazione.

Con Litfiba 3 (IRA 1988) il gruppo, in seno al quale stanno prendendo sempre più campo Pelù e soprattutto Renzulli, abbandona la new wave. L'album si rifà a Stogees e Van Halen. Se si fosse in America si direbbe un Detroit-rock, tuttavia, sia per il fatto che non siamo in quel paese, sia per il riaffacciarsi di vecchi fantasmi di melodie e motivi adolescenziali ("Istanbul" in "Santiago", "Febbre" in "Peste") è più opportuno parlare di world-music. Finite le due ondate della new wave (quella di fine Settanta, inizi Ottanta dei Joy Division e quella pop di metà Ottanta degli Smiths), vendendo molto l'hard-rock (Guns'n'Roses), spopolando il metal (Metallica), i Litfiba ripuliscono, semplificano e potenziano il suono, in una direzione non dissimile a quella che avevano già adottato dal vivo (es. le edizioni in 12-5-'87 di "Cane" e "Resta").
I Litfiba (Renzulli e Pelù) sono così poco legati al senso estetico della musica che in un anno possono benissimo passare da un genere all'altro, a seconda della moda italiana del momento; quando questi passaggi sono supportati dalla sostanza dei concetti o delle atmosfere trattate, merita ascoltare e lasciarsi trasportare da un disco dei Litfiba; altrimenti il cestino è l'unica soluzione.

Litfiba 3, nonostante le mediocri "Amigo" (garage-rock fine a se stesso), "Louisiana" (una noia totale), "Corri" (altro riempitivo, se pur potente) e "Bambino" (orrenda ritrattazione dei temi di "Eroi nel vento"), è un album che merita. "Cuore di vetro" (ripresa da "Because I Do" degli X) è l'unica canzone grunge italiana, non solo al passo coi tempi (quelli di "Touch Me I'm Sick" dei Mudhoney) ma tutto sommato in anticipo su di essi; "Tex", che in altra edizione (per lo stesso processo di rivestizione dei brani: vedi ancora "Cane") diverrà il primo successo Litfiba, un grande pezzo di world music/hard-rock. "Ci sei solo tu" è una palestra per il vocione di Pelù e il pogo che incita; "Paname" un gioco da cocktail-lounge discretamente raffinato, in franco-italiano.
I Litfiba dichiarano - per soddisfare i retorici e blasfemi proseliti di Pelù - che 3 è l'ultimo atto della "trilogia del potere" (i loro primi 3 album sarebbero sorretti dall'opposizione ai regimi totalitari). Per il gruppo tuttavia è la fine: Maroccolo se ne va (formerà i Csi), De Palma muore d'overdose da acido lisergico: rimangono Pelù e Renzulli (vincitore nella lotta per il potere) insieme ad Aiazzi. I due avrebbero potuto smettere o cambiare nome, invece (dato che i diritti li possedeva Renzulli) perseverano, passano alla Cgd, assoldano un irrilevante bassista (quello che ci voleva a Renzulli), Roberto Terzani, un discreto batterista (Daniele Trambusti) e, per un tocco di eccentricità (e professionalità, dato che dal vivo gran parte del lavoro sarà il suo), un percussionista di colore, Candelo Cabezas.

Nelle prove di rilettura, in chiave delle nuove mode grunge-hard rock, dei vecchi pezzi, Renzulli può dare sfogo ai suoi gusti musicali: Led Zeppelin, Santana, Van Halen. La nuova formazione parte in tour, aprendosi la strada della popolarità e dei proficui guadagni. Esce un finto live (in quanto ampiamente ritoccato in studio): Pirata (CGD, 1989). È hard rock senza compromessi con la new wave o con il pop, solo con le musiche tradizionali medio-latine: i vecchi fan si sono eclissati, sostituiti da nuovi teenager ignari di punk e new wave, ma vogliosi di vivere la loro vita all'insegna di una ribellione non autolesionistica bensì assicurante divertimento ed emozione. "Cangaiceiro" è un nuovo e trascinante brano, manifesto dell'album, per il quale Renzulli ha pensato alla parte musicale, Pelù ai testi; "Il vento" una schifezza da pubblicità progresso; la nuova edizione di "Come un Dio", viene ribattezzata in "Dio" e non ha a che fare in nulla con la precedente, ma è grandiosa, come "Tex" (l'hit dell'album e il primo dei Litfiba) la canzone giusta per apprezzare la gioventù con le sue speranze e piccoli/grandi tremori. Anche le cover di "Rawhide" e "Cannong Song" colpiscono per intensità, come (e soprattutto) l'inno "Tequila". "Gira nel mio cerchio" diventa quasi death-metal; "Lulù e Marlene" si semplifica, guadagnando in immediatezza, ma perdendone in fascino.

La tetralogia degli elementi (1990-99)

Forse inaspettatamente, i Litfiba continuano e accentuano la fase hard rock della loro vicenda. Tirano fuori un capolavoro "El diablo", inno generazionale al pari di "Eroi nel vento": non più raffinatezza, non più intimismo; solo forza e potenza. L'urlo/rutto che apre il pezzo/manifesto è da annali, il testo significante e semplice quanto basta per farne un credo. È il brano d'apertura dell'omonimo album (El Diablo, CGD, 1990) che prosegue con una sorta di trip-hop latino a tempo di grancassa Stooges: è un altro, se pur minore, manifesto, "Proibito". Per il resto (e in questo resto c'è tutto il peso dell'assenza di Maroccolo che i due scismatici fingono di non avvertire) l'album, che venderà un buon mezzo milione di copie, è da buttare.

Sogno ribelle (CGD, 1992)è sulla falsariga di Pirata: un insieme di live, brani inediti, rimaneggiamenti di vecchi pezzi. Tuttavia, a parte le solite "Bambino" e "Apapaia", è una raccolta che riesce a non annoiare, che si distingue per una versione ledzeppeliniana di "Eroi nel vento", che già dal titolo si propone di soddisfare le attese e le voglie catartico/sognatrici dei nuovi teenager ma anche del venticinquenne paesano e lavoratore medio, che se ne servirà come sottofondo e stimolo per i suoi sabati di libertà.

Terremoto (CGD, 1993) viene annunciato dal gruppo come un album di latin/metal. E' il miglior album in studio della coppia Renzulli/Pelù. Sull'onda del grunge, i due non vogliono rimanere addietro. Che il loro rimanere al passo coi tempi significhi arrivare anni luce dopo tutti gli altri non fa altro che confermare lo stesso fatto: i Litfiba (quando riescono nella loro missione) sono sciamani ed evocatori di atteggiamenti, caratteri, stati d'animo, visioni che poi ogni ascoltatore non dovrà tanto adattare alla propria realtà, bensì usare per tentare di ricostruire quella storia (le vite di Pelù e Renzulli) che dai suoi protagonisti non ci viene mai narrata. La musica come espressione artistica non fa parte di questa dimensione: è un sottofondo, ma anche un terreno necessario su cui poggiarsi. Per questo i Litfiba compongono album. E per questo è, più che difficile, inutile dirne le referenze o cercarne le influenze. Per le sonorità dei Litfiba, gli altri potrebbero anche non esistere: se nessun altro gruppo avesse suonato, ma ci fosse stato soltanto un tale limitatosi a scrivere su un pentagramma 7 note new wave, 7 note hard rock, 7 note grunge, per i Litfiba sarebbe stato lo stesso. I loro album sarebbero stati gli stessi in tutto e per tutto. Sono così fuori dal resto della scena, i Litfiba, da rendere impossibile dialogo, confronto, o rapporto con un artista qualsiasi. Fine a se stesso: ecco un termine con cui è improprio definire un qualsiasi atto della saga Litfiba.

Venendo a Terremoto, ci aspetta ancora lo scarto studio/live: e questo discorso vale per ogni pezzo. Pezzi tuttavia particolarmente invitanti e promettenti per questo, solito, scatto in potenza, vivido, estremistico. Unico neo "Soldi", la Louisiana della situazione. Il resto è un condensato di trasfigurazione tra sole, asfalto, campagne arroventate e notti ristoratrici di frescure. È l'ora estiva del meriggio, del dopo pranzo: un'amaca, una tequila, della campagna con cui fondersi.

Il triplo live Colpo di coda (EMI 1994) rende una realtà tutto questo. È il miglior album dei Litfiba dal 1987. Lo sintetizza l'inedito d'apertura "A denti stretti", qui c'è tutto il miglior Pelù: personalità, assenza di noiosi temi sociali, candore.L'album, non a caso, contiene tutto Terremoto: era necessario far esplodere quell'implosione. "Sotto il vulcano", "Dinosauro", "Il mistero di Giulia", "Fata Morgana" (notevolissima), "Maudit" (un'epopea): graniticità, primitività, sessualità, trascolorire, distruzione rappacificante. "Dimmi il nome" è l'urlo infinito di Pelù, "Terremoto", il brano oltre il quale non è possibile chiedere a un live. "Prima guardia" è una perfetta tinteggiatura di atmosfere prealbari e gheddafiane (moderne crociate, soldati nel deserto, cattedrali, casa infine come indispensabilità per mantenere la tranquillità e il piacere di sognare) proprie dei primi due album. Imperdibili le versioni di "El Diablo", "Gira nel mio cerchio", "Tex", "Cangaceiro". Renzulli non è un chitarrista estremamente dotato, ma si sposa a perfezione con la voce di Pelù, non sbaglia una nota, ha una resa di suono inconfondibile (che del resto appariva già nel periodo new wave quando era, giustamente per l'economia dei brani, imbrigliato dal basso di Maroccolo), rifugge noiosi assoli, è essenziale: riesce a non far sentire abbandonati, ed esprime bontà amichevole (e non retorica). Candelo fa un gran lavoro alle pelli. Aiazzi (sempre meno agli effetti elettronici degli esordi e sempre più alle semplici tastiere) è una presenza comunque confortante e di fondamentale completezza.

Spirito (EMI, 1994), il primo album non prodotto da Alberto Pirelli ma che si compiace di vantare Rick Parashar (già in "Ten"dei Pearl Jam), pur cambiando genere (meno metal quasi del tutto word-latin music, ma senza pop), tono e atmosfere, non abbassa lo spessore (= credibile stimolazione a vivere) di Terremoto: "Lacio Drom", dedicato ai rom, e "Lo spettacolo" sono fra i migliori inni riusciti a Pelù, "Animale di zona" il miglior pezzo dell'album, forte di un testo dignitoso e di uno schema alla "Stairway to heaven". "Diavolo illuso" è un non-noioso grunge. "Tammuria" mandolini evocanti sole e pesi chitarrismi compagni di giusti e opportuni latrati. "Suona fratello" (che riprende "Solitude" dei Black Sabbath) un esperimento/ballata perfettamente riuscito registrato sul divano di casa Renzulli e fatto di chitarra, voce, tequila. Per la prima volta dalla nuova formazione a due (diamo, se vogliamo, un po' di merito anche al Parashar) dopo l'ascolto dei brani non si ha la necessità di riascoltarli dal vivo riveduti e corretti (amplificati) per meglio apprezzarli, sono già pronti così.

Urlo (CGD, 1993), Re del Silenzio (CGD, 1994) sono pregevoli antologie volute, come buona uscita dal contratto, dalla vecchia casa discografica. Lacio Drom (EMI, 1995) la prima antologia (con videocassetta, da vedere) della nuova casa discografica che si rifà a Sogno ribelle e piace per una toccante versione di un prezioso fossile dell'84, "Onda araba".Qui finisce ciò che è opportuno dire dei Litfiba. Per completezza va aggiunto che con Mondi Sommersi (1997)il gruppo (ad eccezione di una stupefacente, come il balzo di un paralitico, "Sparami") è approdato a un indegno dance-pop (ribadito dallo scandaloso live Croce e delizia, EMI, 1998) e ha dichiarato, al solito, che questo album rappresentava il quarto degli album dedicati ai quattro elementi primordiali (El diablo il fuoco, Terremoto la terra, Spirito l'aria).

Con Infinito, poi, Pelù e Renzulli completano la loro discesa nel conformismo radiofonico che si direbbe il peggiore se, ciascuno per conto proprio, i due non facessero successivamente anche molto di peggio.

Renzulli continuerà col marchio Litfiba e con un ex-fan di Pelù, Cabo Cavallo, a languire in due album: Elettromacumba (EMI, 2000) e Insidia (EMI 2001). Pelù farà marcire la sua retorica in Né buoni né cattivi (EMI 2001) e USD L'uomo della strada (EMI 2002).

Il terzo album di Pelù (Soggetti smarriti, 2004) serve essenzialmente per rispolverare l'adagio popolare per cui non c'è mai fine al peggio: liriche demenziali senza volerlo essere (anzi, atteggiandosi a impegnate e romantiche), musica rozzissima e insulsa, filantropismo a buon mercato. Ma al soggetto smarrito Pelù non basta: vuole infangare anche il passato in una versione di "Re del silenzio" assolutamente improbabile e scadente.

Nel 2005 Renzulli/Cavallo pubblicano fra l’indifferenza generale, che è come rimarchi la tristezza della cosa, Essere o sembrare.

Pelù nel 2006 pubblica In faccia, l’album musicalmente più rock (ma anche più derivativo perché vi si plagia ora questo ora quello) della sua carriera da solista; ciò grazie al lavorio di chitarre e sezione ritmica (la voce continua nel melenso). Si tratta comunque di un qualcosa che la  terribile copertina esemplifica a dovere.

La reunion dei "glitter twins"

Inaspettamente - quasi a voler raccogliere l'ironico invito di Elio e le Storie Tese - nel 2010 i Litfiba rinascono. Piero Pelù e Ghigo Renzulli tornano insieme, esibendosi in 4 concerti ad aprile 2010.
Attorno ai due “glitter twins” fiesolani e al sempre defilato Magnelli - che pare si sia occupato dell'arrangiamento e della produzione dei due brani inediti - spiccano le assenze “storiche” di Maroccolo e Aiazzi (che era rientrato nella band nel 2003 per uscirne nuovamente qualche anno dopo), sostituiti rispettivamente da Daniele Bagni (basso) e Federico Sagona (tastiere) con Pino Fidanza alla batteria. Tutta gente fidata e affiatata, comunque. Collaboratori più o meno longevi della band fiorentina.

Stato Libero di Litfiba
, doppio live infarcito dei loro principali cavalli di battaglia con l'aggiunta di due novità, è il resoconto fedele di questa strombazzata reunion, concretizzatasi nell'arco di una mini-tournée di quattro concerti (più tre all'estero). Una scelta intelligente e una mossa tutto sommato azzeccata quella della band, che tenta il rilancio rituffandosi in una dimensione, quella “on the road”, che ha sempre rappresentato uno dei principali motivi d'attrazione nei loro confronti anche nei momenti di scarsa ispirazione (che non sono mancati, negli ultimi due decenni, anzi). Difatti se gli inediti sono davvero poca cosa (il singolo “Sole Nero” e “Barcollo”, grintose ma piatte variazioni sul tema “hard-rock e dintorni” di “Terremoto”, con qualche recrudescenza a sfondo sociale nei testi) e la scaletta privilegia i due periodi cruciali della band, quello più amato dalla critica (gli anni 80) e quello più amato dal pubblico (gli anni 90), tralasciando saggiamente l'ultimo disco dell'era Pelù e il buco nero dello scorso decennio, il suono duro e diretto (chitarra e batteria angolari, basso elastico e qualche buona escursione di tastiere nei brani più wave) e gli arrangiamenti ruvidi ed essenziali da un lato danno nuova linfa ai gioielli degli esordi e dall'altro rinvigoriscono anche i brani più fiacchi e di medio termine (come quelli tratti da “Spirito”, la bluesy “Animale di Zona” e la tzigana “Lacio Drom” ad esempio, che rendono molto di più che su disco).
Insomma, la ricetta funziona, il repertorio è rodato, l'intesa c'è e Pelù, anche se non ha più lo smalto d'un tempo (ma è già un miracolo che le corde vocali non gli si siano atrofizzate con tutte le porcherie che ha cantato da dieci anni in qua), conserva intatto il suo carisma vocale, concedendosi meno birignao del solito ma senza rinunciare a qualche arringa “piaciona” e populista delle sue (con Ratzinger come bersaglio preferito).
Brani come “Resta”, qui ricondotta alla sua matrice dark-punk tagliente e sinistra, la struggente, weimariana “Lulù & Marlene” (catturata in un take quasi doorsiano), la randagia “Cangaceiro”, l'anthemica “Dio”, il medley mex-punk di “Tex”/”Ferito”, l'esotismo di “Paname”, la para-psichedelia mediterranea di “Cuore di Vetro” e “Fata Morgana” (uno dei pochi pezzi veramente memorabili composti dal duo dopo lo scisma dell'89) sfuggono ad ogni possibile denigrazione/rivalutazione e colpiscono ancora al cuore come poche, anche se ad eseguirle fosse una cover band di Scandicci o di Sesto Fiorentino. E così pure i tormentoni del periodo più “tamarrock” (“Proibito”, “Gioconda”, l'immancabile “El Diablo”, “Lo spettacolo”, i toni heavy di “Dimmi Il Nome”, la bella “A Denti Stretti”) traggono giovamento dal taglio street, aspro e sguaiato con cui vengono eseguiti a scena aperta.

Il bagno di folla tramanda alle nuove generazioni di appassionati una band in discreta forma, ancora in grado di celebrare degnamente il proprio passato e di unire le proprie forze in vista di un futuro in cui l'unica certezza è che, qualunque cosa decideranno di fare, non potrà essere tanto peggio di quanto contrabbandato, con lo stesso marchio o sotto mentite spoglie, negli ultimi opachi anni. Parafrasando il detto: “Sul palco non s'invecchia”.

Dallo Stato Libero di Litfiba (2010) alla Grande Nazione (2012). Il ritorno in pista dei Litfiba sembra aver preso di mira la geopolitica: una trilogia dedicata agli stati, che si completerà col prossimo capitolo. Ma se l'album di due anni fa pareva più che altro una rimpatriata tra vecchi amici, magari in risposta all'auspicio di Elio e le Storie Tese ("Litfiba, tornate insieme, non vi conviene una carriera da Renzulli e Pelù"), il nuovo lavoro mostra qualche certezza in più. Anzitutto, quella che la reunion non è stata solo una trovata commerciale estemporanea: "Abbiamo fatto la cazzata di litigare nel '98, ma non faremo più questo errore... c'è voluto tempo, abbiamo dovuto chiarire molte cose, ma ora riparte il tango", fa sapere un galvanizzato Pelù. Uno "Squalo" (anzi, "squallooo", per dirla con lui) truccato come Jack Sparrow, un rocker corsaro, imbolsito e improbabile, all'arrembaggio dall'inizio alla fine, tra sparate rock a tutto volume e micidiali scivolate nella demagogia. Ecco, cominciamo col dire che "Squalo", con il suo heavy-rock appassito, non è proprio il singolo ideale per rilanciare il marchio Litfiba, e se persino Renzulli lo definisce "forse il peggiore dell'intera tracklist", qualche motivo ci sarà. E il resto? I nuovi Litfiba essenzialmente la buttano in caciara, spingendo sull'acceleratore fin dall'inizio, con una "Fiesta tosta" che vorrebbe rievocare le vecchie invettive contro il potere aggiornandole alle miserie contemporanee, ma il tratto, più che grosso, è grossolano. E non va meglio nelle altre sparate socio-politiche, dai luoghi comuni in salsa punk-rock di "Anarcoide", sorta di nuova "Maudit" 20 anni dopo, alle banalità assortite di "Tutti buoni" e dell'anthemica "Grande nazione".
Il Pelù mattatore di "Elettrica" e "Brado" assomiglia, ahimè, molto da vicino a quello solista e Renzulli fatica a contenerne la debordante verve, a differenza di "Tra Te e Me", dove se non altro riesce a piazzare qualche riff ficcante dei suoi. "Luna Dark" tenta di resuscitare l'antica vena psichedelica e oscura, ma si perde in un limbo senza possibilità di confronto con pagine storiche dell'ital-wave come "Tziganata" o "Istanbul". In definitiva, la traccia migliore è probabilmente quella conclusiva, la ballata di "Una valigia", che se non altro regala qualche apprezzabile squarcio melodico. La versione deluxe dell'album contiene anche "Dimmi dei nazi", omaggio a Fernanda Pivano e colonna sonora del film "Pivano Blues, sulla strada di Nanda".

Insomma, volendo essere buoni, si può dire che questo disco fornirà l'occasione a tanti di vederli dal vivo (esperienza sempre raccomandabile) e di riassaporare in formato live i loro cavalli di battaglia storici. E si potrà anche apprezzare quel filo di auto-ironia che trapela dal disco. Ma vedere una delle band più importanti della storia del rock italiano ridotta solo a questo fa un po' male.

Nel 2016 chiudono la trilogia degli stati con "Eutopia". Non sembra essere cambiato molto dai tempi di "Terremoto" nonostante i ventitre anni passati; almeno non sembra essere cambiato alcunché nella musica dei Litfiba, a parte la sincerità. Pelù - nella sua nuova versione Jack Sparrow - continua a mostrarci il suo personaggio ostentatamente "maledetto" ("meglio maledetti che rincoglioniti"), contro tutto e tutti ("siamo il mostro che avete creato"), contro il "sistema", contro i "potenti del mondo". La ricetta con cui opporsi al "potere" è sempre la stessa; testi da liceale incazzato, slogan infantili più adatti a un post su facebook che come testi di canzoni. Non è un caso se il momento migliore di "Eutopia" è quello in cui Renzulli e Pelù decidono di scrivere davvero una semplice canzone ("Maria Coraggio"), riducendo al minimo il caos e cercando brevi momenti di poesia e di ricordo di Lea Garofalo, giovane vittima della 'Ndrangheta.

Contributi di Simone Coacci ("Stato Libero di Litfiba"), Claudio Fabretti ("Grande Nazione"), Valerio D'Onofrio (Eutopia).

Litfiba

Discografia

LITFIBA

Desaparecido (IRA, 1985)

8

17 Re (IRA, 1986)

7,5

12/5/87 (live, IRA, 1987)

8

Litfiba 3 (IRA, 1988)

7

Pirata (IRA, 1989)

6

El Diablo (CGD, 1990)

6

Sogno ribelle (live, CGD, 1992)

Terremoto (CGD, 1993)

6,5

Urlo (anthology, CGD, 1993)

7

Colpo di coda (live, Emi, 1994)

7

Re del Silenzio (anthology, CGD, 1994)

Lacio Drom (anthology, Emi, 1995)

Spirito (Emi, 1994)

6,5

Mondi sommersi (Emi, 1997)

6

Croce e delizia (live, Emi, 1998)

5

Infinito (Emi, 1999)

4

Elettromacumba (Emi, 2000)

3

Insidia (Emi, 2001)

3

Essere o sembrare (Emi, 2005)

2

Stato libero di Litfiba (Sony, 2010)

6,5

Grande Nazione (Sony, 2012)

4,5

Eutopia (Sony, 2016)

5

PIERO PELU'

Né buoni né cattivi (Wea, 2001)

2

USD L'uomo della strada (Wea, 2002)

2

Soggetti smarriti (2004)

2

In faccia (2006)

2

Pietra miliare
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