"I nostri ritmi vengono da tutto il pianeta. Noi usiamo questi ritmi, e mille altre idee, per creare la musica di un mondo nuovo"
(Glen Sweeney, leader della Third Ear Band)
Il '68, e le rivoluzioni di giovani e operai. Woodstock, e i sogni di hippie e pacifisti. L'era dell'Acquario, lo spiritualismo, l'Oriente che incontra l'Occidente. È in quell'epoca fertile e complessa che dei virtuosi musicisti londinesi, esibendosi nei club underground, vaneggiano di creare un nuovo ordine sonoro. Un linguaggio universale, formato con parole di alfabeti lontani e diversi: la musica classica indiana, le leggende egiziane e cinesi, il folk celtico. Eppure, questo ambizioso progetto viene affidato a una musica completamente strumentale.
"Talvolta, le parole sono un ostacolo alla comunicazione"
(Glen Sweeney)
L'ensemble del Terzo Orecchio si forma nel 1967, nel cuore dell'Ufo club londinese, prima con il nome di Sun Giant Trolley, poi di Hydrogen Juke Box, e, infine, di Third Ear Band, in omaggio al "terzo orecchio", l'elemento sensoriale in grado di schiudere le porte della percezione. Il percussionista Glen Sweeney e Paul Minns, con il suo famigerato oboe, costituiscono l'organico stabile e duraturo della formazione. Ai due si aggiungono l'esuberante violista Richard Coff e il brillante violoncellista Mel Davis.
L'incontro musicale tra Est e Ovest del mondo non fu certo un'improvvisa illuminazione del gruppo. Già nel 1955, con il concerto newyorkese del suonatore di sarod Ali Akbar Khan, si era scatenata una certa mania filo-indiana. Da qui, l'esplosione del raga-rock negli anni 60, con singoli quali "See My Friends" dei Kinks o "Eight Miles High" dei Byrds, in perfetto allineamento con l'esoterismo hippie. Anche il jazz aveva percorso le vie della seta, con la raccolta "Improvisations" del '62, o con un esperimento che di bello ha, purtroppo, solo il nome: "West meets Est". Nel '62 era anche già stato dedicato un intero disco alla fusione tra i due mondi: "East West" del cantante blues Paul Butterfield.
Le vere grandi intuizioni della Third Ear Band furono, invece, ben altre: abbandonare qualsiasi forma di rock, blues, folk e jazz, alla ricerca di sonorità del tutto nuove; superare, in maniera quasi antropologica, la banale dicotomia Oriente-Occidente. In pratica, la musica della Third Ear Band non è un minestrone etnico, né un esperimento di jazz-fusion. Incarna, invece, un'ideologia. Predica un'unità primordiale del genere umano, presente all'inizio del tempo, e dimenticata dal presente. In questo senso, quei lungimiranti ragazzi di Londra contribuirono a fondare la world music, collocandosi tra i mostri sacri di quegli anni, la cui influenza si estende in maniera indiscutibile lungo tutta la storia dell'arte sonora.
"Possiamo offrire un intero sogno. Gli antichi bardi celtici avevano la stessa capacità"
(Glen Sweeney)
Ovviamente, il successo del quartetto è stato molto più sommesso di quello degli altri colossi del progressive-rock, quali King Crimson, Genesis, Yes, Van Der Graaf Generator, o del rock fatato dei Popol Vuh. Da qui, forse, la notevole tendenza del gruppo all'auto-celebrazione. Il fatto che i brani non siano esattamente delle hit di culto deriva dalla delicata operazione tecnico-musicale di Sweeney e soci. Ripudiando la composizione razionalmente strutturata, (emblema del pensiero musicale occidentale, da Mozart a Bob Dylan), gli avventurosi musicisti suonano rock da camera attraverso due tipi di improvvisazione: sia quella free-jazz, sia quella indiana, lasciando spiazzato l'orecchio europeo. Alle articolate linee di basso, inoltre, sostituiscono spesso il drone, importandolo dalla tradizione meditativa orientale. Si tratta di un effetto armonico in cui una nota o un accordo vengono suonati in maniera ripetuta o sostenuta, distesi al di sotto della melodia: tecnica già usata da alcuni compositori di musica classica (quali Haydn, Berlioz o Bartók), volta a ricreare atmosfere arcaiche e folkeggianti.
Dall'Europa i londinesi si portano dietro, però, l'idea di concept-album e gli strumenti (oboe, viola, violoncello) famosi nella tradizione dell'Ovest del pianeta. In particolare, il riservato Paul Minns, l'oboista del gruppo, fu tra i primi a suonare scale e melodie di un'armonia non occidentale sul suo strumento. Con questi requisiti, possiamo forse scusare la scarsa modestia del percussionista Glen Sweeney durante interviste e conferenze.
"Il 99 per cento della nostra musica è improvvisazione"
(Glen Sweeney)
Alchemy, primo album di studio della band, arriva nel 1969. Si tratta di un'alchimia di spiritualismo, tribalismo, relax meditativo e trascendenza metafisica, suonata egregiamente e deliziosamente in acustico. Per la naturalezza con cui predica il superamento delle barriere spaziali e culturali tra i popoli, potrebbe essere il manifesto della world music. Scorrendo i titoli dei brani, vengono alla mente immagini suggestive: il Libro dei Morti degli antichi egizi, la sacralità ebraica, la Cina, l'Irlanda. La musica segue il colore delle parole che danno un nome alle lunghe suite. Così, si passa dal mistico free-jazz di "Egyptian Book Of The Dead" alla festa cinese di gong, campanelli e archi medievali in "Dragon Lines"."Mosaic", dal canto suo, apre insieme l'album e la storia della Third Ear Band, con le tablas che disegnano un'atmosfera ancestrale, dove gli strumenti a corda si intrecciano nel vento arabo e oscuro dell'oboe.
Elementi più vicini alla terra e alle passioni sono, invece, lo scacciapensieri che anima la terribile e cruda "Area III" e le profonde dissonanze di "Druid One". "Stone Circle" e la straordinaria "Ghetto Raga" (in cui i raga indiani si ritrovano addirittura a danzare sul ritmo della tarantella!) sono invece i brani in cui meglio si osserva una concezione ciclica del tempo, diametralmente opposta a quella lineare, occidentale: ogni crescendo, ogni frase, non termina mai, per ritornare umilmente nel moto perpetuo, senza la pretesa di nessuna gloria.
"Le vibrazioni dei pianeti possono essere udite solo attraverso il terzo orecchio: il silenzio"
(Glen Sweeney)
Third Ear Band, il disco più famoso del quartetto, generalmente annoverato fra i capolavori della musica psichedelica, progressiva e d'avanguardia, arriva solo un anno dopo, con la suadente Ursula Smith che sostituisce Mel Davis al violoncello. Un concept-album perfetto come un cerchio, che canta con un suono universale i quattro elementi fondamentali dell'antica filosofia greca pre-socratica: Aria, Acqua, Fuoco, Terra. L'elemento etnico quasi non si riconosce più, forse perché completamente interiorizzato dal gruppo, pronto a utilizzare i suoni del mondo per esprimere un'idea: una musica morale, una metafisica sociale dell'uguaglianza e della bellezza, rinnegata dall'ipocrisia di un mondo consumista.
Third Ear Band risulta lontanissimo dagli stereotipi della musica popolare, ma anche dai principi basilari del jazz e della musica classica. "Air" è un ciclo esoterico imbevuto di dodecafonia, dove le improvvisazioni dei quattro formano un contrappunto etereo e inafferrabile, come le nuvole. Risponde concitata, guerrigliera e terrena la marcia di "Earth": qui la base ritmica, insieme tzigana e pastorale, è un crescendo cadenzato, che comanda i volteggi e i trilli esausti di archi e fiati. Come nobili ostaggi di un ladro di musica, gli strumenti arrivano a imitare i canti dei pellerossa, per poi ricadere nell'eternità di una leggenda.
"Fire" è un'orgia. Un'orgia insieme sacra e diabolica, che descrive un caos profano, arabo e medievale, dissonante e disomogeneo, con le percussioni africane, sagge e tribali, che danno un senso all'ardere delle fiamme acustiche. "Water" chiude il ciclo. Nasce con un tocco ambient: il rumore delle onde, campionate (strumento scontato oggi, non tanto allora). Da lì, lucida come la superficie lunare, la melodia libera dell'oboe racconta il significato di mari ed oceani, attorniato dalle riflessioni profonde e magiche di viola e violoncello, alla deriva, come una barca alla volta dell'orizzonte.
"La musica è quella dei druidi. Ogni brano è come un filo d'erba, o una nuvola"
(dal programma di un concerto del '69)
Sempre nel '70 l'ensemble registra Abelard and Heloise, una colonna sonora con spunti medievali, per una fiction tedesca. L'album verrà pubblicato solo 30 anni dopo, insieme a due lavori del '72: The Magus, in cui il gruppo incontra l'elettronica e il canto, come nella gemma "I The Key", e Prophecies, sfornato da Sweeney e altri tre elementi, con il nome di "Sweeney's Hydrogen Juke Box".
Un passo importante per la popolarità della band è costituito da Music From Macbeth, commissionato niente poco di meno che da Roman Polanski, per un suo allestimento della commedia di Shakespeare. Minns e Sweeney si uniscono questa volta al violoncellista Paul Buckmaster, già collaboratore di David Bowie ed Elton John, e al chitarrista Denim Bridges. Abbandonata la dimensione acustica, etnica e free-jazz, i quattro si concentrano su sedici brevi composizioni d'avanguardia. Rievocano le danze medievali, come in "Inverness" e "Court Dance", o il canto dei giullari di corte, come nella romantica "Flence".
Ovviamente, nessun paragone con le opere precedenti, anche perché l'intento è completamente diverso. I brani sono, però, davvero ben suonati, non ostici, sicuramente influenti nel panorama del folk, e fanno conoscere la Third Ear Band a un pubblico più vasto.
Dopo il '72, il gruppo si sciolse. Svanì senza rumore, nonostante avesse posto un tassello fondamentale e suggestivo nel mosaico della storia del rock.
"Il nuovo album della Third Ear Band, 'Magic Music', riguarda la musica come pura vibrazione"
(Glen Sweeney)
Ben tre lustri dopo, i signori della world music vengono riscoperti, rispolverati e soprattutto compresi dai giovincelli dell'era new age. Così, nell'anno 1988, con la partecipazione del violino di Allen Samuel e la chitarra di Mick Carter, viene registrato Live Ghosts. Il disco, con materiale di studio e live, è segnato dall'incontro con l'Italia e la casa discografica Materiali Sonori.
Nel ridente stivale mediterraneo nasce anche Magic Music, il vero ritorno della band. All'inseparabile duo si uniscono il violinista Neil Black e il sassofonista che già fu di Nick Drake e dei Soft Machine: Lyn Dobson. Ritorna il free-jazz, in questi cinque lunghi brani, ritornano gli incubi della notte etnica, ma con un respiro elettronico in più. L'eloquente "New Age Raga" chiarisce il senso stilistico del ritorno del gruppo, insieme con "Third Ear Raga". Ad esempio, in"Behind The Pyramids", la trance etnica dell'oboe mediorientale improvvisa sul nucleo ciclico e ben delineato di percussioni, elettronica e archi. Tale nucleo è affine al raga indiano, tecnica che ha sempre accompagnato la Third Ear Band, ma che diviene qui il significato culturale della seconda parte della loro carriera. Infatti, un raga, che significa "colore", è l'unità di base di un brano di musica classica indiana, sulla quale si muove l'improvvisazione. Ci sono tantissimi raga, ma nessuno li ha composti schematicamente: si sono creati un po' come l'epica antica, tramandati di generazione in generazione. L'obiettivo è quello di creare uno stato di trance. Ancora una volta Sweeney e Minns si propongono un intento morale, lontano dal mondo commerciale e consumista dello show business, unendo la spiritualità indiana alla musica rock.
"I liberi raga che suoniamo contengono emozioni. Ogni nota può essere vista come un suono-colore che diffonde un'emozione"
(Glen Sweeney)
Brian Waves, del '93, è prodotto sotto forma di quintetto: l'oboe di Minns, Sweeney alle percussioni, Mick Carter alla chitarra, violino di Samuel e sassofono di Lyn Dobson. Il disco è una felice fusione di sperimentazione ambient, free-jazz e jazz-rock. Ritorna il concetto di raga ("Alchemical Raga") ma la nuova strumentazione ci regala dei pezzi decisamente materiali e legati alle onde sonore degli anni Novanta (come in "Spell Of The Wodoo").
Nel '97 arriva anche New Age Magical Music. Lo stile è ancora oscillante tra jazz e ambient, ma con un approccio più futuristico e fantascientifico che etnico. Molti brani, come la stellare ed evasiva "Midnight on Mars", hanno una potenza evocativa e sonora imponente, che testimonia la grandezza virtuosistica e la serietà artistica di Minns e Sweeney, dopo anni di carriera. L'ovvio riferimento sociale del disco è la cultura new age.
Il '97 è, però, anche l'anno della morte di Paul Minns, che va ricordato come uno dei più audaci, innovativi e ispirati oboisti di sempre. Solo così il duo si spezza, e solo così si conclude la parabola del terzo orecchio.
"La musica della Third Ear Band è una meditazione sull'universo..."
(Glen Sweeney)
Non resta che ascoltare, dunque. Magari con il terzo orecchio.
Alchemy (Harvest, 1969) | 8,5 | |
Third Ear Band (Harvest, 1970) | 9 | |
Music From Macbeth (soundtrack, Harvest, 1972) | 7,5 | |
Experiences (antologia, Harvest, 1976) | 7,5 | |
Live Ghosts (Materiali Sonori, 1988) | 6,5 | |
Magic Music (Materiali Sonori, 1990) | 7 | |
Prophecies (Blueprint, 1991) | 6 | |
Brain Waves (Materiali Sonori, 1993) | 6,5 | |
Abelard & Heloise (soundtrack, Stampa Alternativa, 1997) | 7 | |
The Magus (Angel Air, 1997) | 7 | |
New Age Magical Music (Blueprint, 1997) | 6,5 | |
Songs From The Hydrogen Jukebox (antologia, Blueprint, 1998) | 6 |
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