E’ già tempo di seguito per il nuovissimo progetto dell’attuale Carla Bozulich, quell’Evangelista che poco tempo fa ha fruttato uno splendido “Hello, Voyager” e un mini-tour italiano (il terzo in nemmeno due anni), per tacere dell’eccellente contributo al rock espressionista degli anni 2000 che è - appunto - “Evangelista”, il varo della ritrovata artista.
Oltre a tutte le altre splendide qualità, il nuovo “Prince Of Truth” mette ora in luce un’autrice iperattiva, continuamente protesa alla modellazione di un suono in perpetua (o eterna) transizione, quasi metafora della sua esistenza e dell’esistenza dell’umanità in generale. La musica e la valenza delle sue performance, ben lungi dal passare in secondo piano, si fanno pertanto più discrete.
“The Slayer” germina dal consueto grumo di elettronica, distorsione e bordoni, con la voce di Carla meno espressiva (tutta protesa a uno spoken rassegnato) e vieppiù ingrommata di filtri deformanti; il fattore di novità del brano sta forse nello stacchetto curiosamente Residents-iano che apre a un inno marziale.
Così la chiusa, “On The Captain’s Side”, è il corrispettivo di “Evangelista I” volto a oldies, con armonie vocali a cappella, brume quiete e brezze strumentali; il canto pseudo-liturgico che lo pervade è già abbastanza distante dallo strazio urlato irrazionale del disco solista di appena tre anni prima.
Allo stesso modo, “You Are Jaguar” è la sua personale lettura dell’uptempo (l’episodio forse più cantabile della sua carriera, con gran sfoggio di chitarre), e “I Lay There In Front Of Me Covered In Ice” è la sua lettura del “lento” (l’episodio meno cupo in assoluto, con il drone ormai prossimo a un più ordinario accompagnamento silente).
Diverse altre canzoni non aggiungono granché al suo repertorio, limitandosi a chiosarlo con eleganza: la pseudo-recitazione Laurie Anderson-iana di “Iris Didn’t Spell”, la cadenza da chansonnier catatonica di “Crack Teeth”, le meste digressioni e la nenia sottotono di “Tremble Dragonfly”.
Il tendine d’Achille dell’opera è tutto localizzato nella maggior formazione dei brani e del loro legante, un nugolo di ecosistemi noise anche più prominente di prima, già testato live (da cui proviene un’embrionale versione di “Crack Teeth”) e fonte della “vita” del canto e delle orchestrazioni di Carla. Colpa del suo ricettario, meno spontaneo, accostabile al prontuario collaudato, a una “tattica” comunque non volgare. Fornisce nuova coerenza alla sua estetica: dire “normalità” non è sbagliato, è solo improprio.
Dopo Siver Mt. Zion e Nels Cline, i suoi collaboratori stavolta sono ancor più affiatati: Tara Barnes, Dominic Cramp, e soprattutto la multistrumentista del caso, Lisa Gramble.
27/09/2009