Massimo rispetto per i Nile, probabilmente la band di (brutal) death-metal più importante degli ultimi anni. Eppure, l'ascolto del loro ultimo lavoro, "Those Whom The Gods Detest", conferma il periodo non particolarmente ispirato del terzetto che, nel 2002, partoriva un capolavoro assoluto del calibro di "In Their Darkened Shrines".
Più dinamico del precedente "Ithyphallic", questo nuovo lavoro è pur sempre un concentrato di potenza e strutture camaleontiche che faranno la felicità dei sostenitori più accaniti della compagine di Greenville, South Carolina, ma che in ogni caso non riesce a trasformare il suo assalto in qualcosa di realmente importante.
Le chitarre tracciano fendenti esasperati, gli assoli sono pura vertigine emozionale, la voce s'immerge nel marasma con grande versatilità, mentre la batteria sparge picconate a destra e a manca ("Kafir", "Hittite Dung Incantation", "The Eye Of Ra"): eppure, col passare dei minuti, subentra un certo grado di assuefazione, come se ci si ritrovasse dinanzi a qualcosa che, pur di un certo fascino, non fa niente per nascondere il fatto di essere anche piuttosto risaputo.
Le decelerazioni mastodontiche e l'impeto di "Utterances Of The Crawling Dead" dicono di un'ascendenza slayeriana mai rinnegata, "Permitting The Noble Dead To Descend To The Underworld" caracolla imbestialita, con doppia cassa ipercinetica e sei corde allo spasimo, mentre la title track e "4th Arra Of Dagon" rallentano per evidenziare l'enfasi magniloquente degli intrecci strumentali e il solito tocco di folklore egiziano (che in "Yezd Desert Ghul Ritual In The Abandoned Towers Of Silence" guadagna il campo proponendo percussioni rituali e canto sciamanico).
Contesi tra furia e riflessione, i Nile mostrano di essere sempre una band temibile anche se, al momento, le pile sono un po' scariche e l'ispirazione non è degna del loro glorioso passato.
Ma non disperiamo.
05/12/2009