Tre anni dopo "In Their Darkened Shrine", apoteosi della loro passione per la mitologia dell'antico Egitto e tra i dischi migliori del nuovo millennio, i Nile tornano a scrivere il loro nome nel libro d'oro del metal estremo, regalandoci un altro lavoro di eccelso valore (impreziosito dall'impeccabile produzione di Neil Kernon) e costringendoci, altresì, a rinnovare il nostro interesse per una scena troppo spesso bistrattata dalla critica. Astenersi deboli di cuore e anime suscettibili, perché questo disco è davvero devastante, intriso di musica polverizzante, spietata, ma di una bellezza a tratti davvero sfrenata e scomposta.
Non mancano, come al solito, piccoli momenti di assoluta quiete acustica ("Dusk Falls Upon The Temple Of The Serpent On The Mount Of Sunrise"), il cui compito è quello di immergerci in un clima di drammatica tensione, prima che il rifferama aggressivo e l'esecuzione epilettica ci sovrastino con tutta la loro imponenza ("Cast Down The Heretic"). La batteria di George Kollias (ex Nightfall), sostituto del dimissionario Tony Laureano, macina tempi davvero faraonici, in cui la precisione e la brutalità trovano una sintesi sconvolgente.
Dal canto suo, il growling catacombale di Sanders domina le partiture con parossistica ferocia, per non parlare poi delle chitarre, vere e proprie staffilate d'acciaio, duellanti come indemoniati in un vortice elettrico-slayeriano. Le si ascolti delimitare il campo nella velocissima "Sacrifice Unto Sebek" o pennellare rocciose linee dal retrogusto doom nell'immane visione di "User-Maat-Re". Brano dal forte respiro epico, quest'ultimo rappresenta una delle vette assolute del songbook dei Nile, in cui l'enfasi sperimentale maggiormente posta sulla sezione ritmica (pattern spezzati, picconate sul rullante, improvvisi blastbeat e l'onnipresente doppia-cassa scavezzacollo) acuisce il suo valore lirico grazie anche all'intrusione di scale chitarristiche di chiara ascendenza mediorientale.
È uno spettacolo ascoltare una band suonare musica così potente e così sotterraneamente atmosferica. E anche quando tutto sembra soffocare senza scampo ("The Burning Pits Of The Duat") c'è sempre un'aura di misticismo a riservarci un angolino per la redenzione. Come un cingolato che avanza imperterrito su un campo di margheritine ("Chapter Of Obeisance Before Giving Breath To The Inert One In The Presence Of The Cresent Shaped Horns") i Nile continuano a sperimentare soluzioni sempre più ardite ed estreme, anche se qualcosa alla grandeur melodica finiscono quasi sempre per concederla ("Lashed To The Slave Stick").
Precedute dalle atmosfere sinistre di "Spawn Of Uamenti", troviamo, infine, la title track e "Von Unaussprechlichen Kulten", altre due formidabili incursioni nel tunnel oscuro del death-metal più epico e brutale. Se la prima è un mastodonte scheggiato da allucinate cadenze pantagrueliche, la seconda (che sfodera uno dei solo più memorabili di Sanders) sprofonda lentamente, invece, tra le parole, i suoni e le immagini di un culto davvero impronunciabile, lasciandoci annichiliti e senza fiato.
28/05/2005