Curatore del No Fun Fest, evento cardine della nuova scena rumorosa d’oltreoceano, Carlos Giffoni torna con “Severance” a far parlare di sé (ok, si fa per dire, visto che comunque di personaggio di culto si tratta).
Di origine venezuelana ma residente a New York, Carlos sarà ricordato più per la sua attività legata al festival di cui sopra che per la sua musica, qui in “Severance” un electro-noise che tenta le stelle senza riuscire a cavare molti alieni dal buco. Tre quarti d'ora e poco più che prendono la rincorsa da un picchiettare insistito (“Severance I”), ma si lanciano immediatamente nel gorgo sonnacchioso e funesto del drone, tra frequenze che sviluppano strane coordinate cosmiche d’ascendenza horror-di-serie-B, mentre sembrano solleticare la memoria come un videogame d’antan - uno di quelli che, quando meno te lo aspetti, vuole mostrare a tutti di che pasta è fatto (“The Hermit”).
Il minimalismo di “Knife” scolpisce, invece, un’ipnosi meccanica: quattro/quarti & ripetizione a go-go, per cinque minuti e spiccioli. Fine. Certo, manca la fantasia, ma non si può avere tutto. Non certo da artisti di tal fatta, facciamocene una ragione (dopotutto, già il precedente “Adult Life” non è che avesse proposto chissà quali grandi numeri…). E' come assistere alla dimostrazione fine a se stessa di capacità artigianali...
Quello di “Shaved Arms”, dal canto suo, è un concentrato di modulazioni e sinuosidi prossimi all’harsh-noise ma sempre con un piede ben piantato nella visione di sfere celesti. Si cerca una risoluzione, ma invano. La lunga “Athens”, infine, lascia maturare lentamente un climax abrasivo, ma è come bloccata dal di dentro, da una scarsità di idee che, da cima a fondo, costituisce l’essenza ultima di un disco mediocre.
22/02/2010