Sam Shalabi è, ormai, sempre più alle prese con una vera e propria orchestra. Land Of Kush’s Egyptian Light Orchestra, per la precisione. Psichedelia e world-music, ancora una volta a braccetto, nel solco del precedente “Against The Day”.
Eppure, gli ascolti si susseguono e questo “Monogamy” (concept-album sui temi della vergogna e della sessualità) davvero non riesce a farsi apprezzare. Che la quadratura del cerchio abbia, in parte, smussato gli angoli, rendendo sonnacchioso e sbiadito quello che era un suono rigoglioso e finanche fiammeggiante? Direi proprio di sì! Non che manchi la classe, perché con Shalabi il rischio non si corre. Tuttavia, battezzato dalla vertigine lisergica di “The 1st And The Last”, il disco procede sottotono, a cominciare dalla danza mediorientale di “Scars”, che si distende indolente prima di cogliere la disperazione nella voce di una donna, accompagnata, poi, verso il dissolvimento da un violoncello che lascia dietro di sé una cortina funeraria.
E’ un disco che segna il raggiungimento della maturità per l’ensemble canadese, ma, nello stesso tempo, dimostra quanto questo obiettivo non sempre sia sinonimo di qualità. C’è di certo una capacità sopraffina nel rimescolare echi spaziali dei Gong che furono con smorzati turbamenti folk (“Tunnel Visions”), così come il gusto è raffinato nel caso dell’Arabia tutta mentale di “Like The Thread Of A Spider”. Nel complesso, però, le partiture appaiono stanche e poco incisive, come quella della title track, per esempio, che si snoda tra lande cosmiche senza mai dare la sensazione di poter colpire a fondo o come l’aspra dissertazione free-jazz di “Boo” che, a dirla tutta, risulta essere anche fuori luogo, oltre che poco convinta della sua stessa carica sovvertitrice.
Che dire, inoltre, di quella voce riprocessata che ricorre lungo tutta l’opera, a mo’ di “commento psico-sessuale”? Be', io l'ho trovata piuttosto fastidiosa...
Poco male: rispolvero “Against The Day” nell’attesa di qualcosa di più interessante.
28/05/2010