Cassette
e nastri magnetici, l'attualità della folle e multiforme produzione musicale; suburbs del New Jersey, giardinetti e
verande; musica d'innovazione che è anche musica di sottofondo; sogni
d'infanzia e incubi di mezz'età, nostalgia e futurismo. Questo è il mondo di
Matthew Mondamile, che è un po' freak
ma anche cool, e che, oltre al progetto
Ducktails, cura anche, fra gli altri, quello dei Real Estate.
È un mondo contraddittorio, forse incomprensibile, quell'isola di giungla
urbana dalla quale la Woodsist propone, a intervalli regolari, le proprie
registrazioni di eremiti (Mondamile è, fra l'altro, vicino di casa e amico
d'infanzia di Julian Lynch), ormai un po' pericolosamente rassomiglianti l'una
all'altra. Questi eremiti sono meno isolati di quello che si pensa,
naturalmente, il termine hypnagogic pop
li stuzzica, li appaga probabilmente riunirsi sotto l'arco benevolo di questo
termine così postmoderno, che è popolare, ma è anche accademico.
"Vado pazzo per la musica che suona come se fosse sempre in sottofondo tutto il
tempo, come se fosse ambient, weird-drone.
Quella musica sarà sempre lì. Ecco perchè la cosa della canzone non mi
interessa davvero". Sapete a cosa andate incontro, ma aspettate, prima di
abbandonare ogni speranza: la frase pare, nel sentire questo "Arcade Dynamics"
- o "Ducktails Terzo" - una riedizione della vecchia favola della volpe e
l'uva. Non è tutto patina arty, non è
tutto un gioco a nascondersi di specchi e reminiscenze (come nella maggior
parte delle diverse tracce strumentali, "Arcade Shift" per dirne una): i Beach
Boys - che Mondanile vorrebbe reinterpretare, a sentire lui, in chiave new-age,
con in mente una fantomatica terapia dronica - ci sono, le canzoni anche.
Non saranno magari le intuizioni melodiche del secolo: qualche giro in maggiore
piacevole ("Don't Make Plans", la bella "In The Swing", con quel suo groove paludoso da Fleetwood Mac ubriachi), una giostra sgangherata con
una sola idea, compositiva e d'arrangiamento, proposta per tutto il disco, che
non ha niente di nuovo se la si paragona a quanto già visto l'anno scorso,
soprattutto mutuando molte idee da
"At Echo Lake" dei Woods.
"Come reinterpretare i Velvet Underground ricoprendoli di slime" sembra essere il canovaccio di "Hamilton Road" (o era
Dylan?)... Carina eh, ma è tutto così: un lungo, sciatto scazzo diretto verso
sistemi stellari di plastica e cartone, rigorosamente riciclabili.
04/02/2011