A sette anni dall'ultima opera originale "Real Gone", il titolo di quell'ultimo album poteva lasciar presagire la fine della splendente e ultratrentennale carriera di Tom Waits. La colossale antologia "Orphans" del 2006 e l'inserimento nella Hall of Fame del rock di Cleveland di inizio 2011 potevano suonare come un'ulteriore conferma. E invece rieccoci a commentare un nuovo disco del cantautore che più di tutti ha saputo pennellare con ardore e senza mezze misure la vita nell'incubo americano.
A 62 anni, Tom è uno di quelli che da quella "eroica merda" (citazione dell'amico Charles Bukowski) è riuscito ad emergere, affrancandosi definitivamente dalle umili condizioni giovanili per assurgere a stella del firmamento artistico mondiale. Nonostante tutto, Waits non ha mai dimenticato le origini e anche oggi, in questo "Bad As Me", continua a cantare, forse solo con meno convinzione che nel passato, del malessere di una vita dalla parte sbagliata.
In "Bad As Me", il cantautore di Pomona rilegge tutte le sfaccettature della sua lunga carriera, sorvolando a volo d'uccello la ventina di album dati alle stampe e pescandone elementi qua e là. Il blues luciferino di "Chicago", che apre il disco, è una catapulta nell'universo bislacco e diseguale di Waits, che ci fa fare un salto indietro fino ai ruggenti anni 80. Con la seguente "Raised Right Men", dall'incedere acidamente malato, e la ballata fumosa "Talking At The Same Time" forma un trio da brividi, che non sfigurerebbe all'interno di "Swordfishtrombones" o "Rain Dogs".
Il jazz'n'roll con finestra sui Sixties di "Get Lost" rianima dopo l'inizio dark, ma è solo una parentesi prima della ballata desertica "Face To The Highway". La dolente nenia "Pay Me" apre la strada all'afflato tex-mex di "Back In The Crowd", prima che si torni all'inferno con l'inquietante title track, terrificante nelle brevi strofe parlate che paiono arrivare direttamente da Satana.
Di straziante eleganza la ballata in punta di vinile "Kiss Me", vagito premonitore del blues rantolante di "Satisfied". Il cameo di Keith Richards nella desolata "Last Leaf" impreziosisce l'album senza aggiungere granché prima della grandiosa accoppiata finale. "Hell Broke Luce" è l'ultima, cavernosa cavalcata marziale della carriera di Waits, che tra urla e spari si dissolve nella languida morbidezza corale di "New Year's Eve".
Sarà sempre la solita solfa, dirà qualcuno. Ma Tom non perde un colpo e ammalia come trent'anni fa. Ruggine e miele si confondono senza soluzione di continuità, un mix agrodolce che abbiamo già assaporato ma del quale non ci si stanca mai.
24/10/2011