“And By Always”, all’inizio, spiega tutto, con il suo sixties sound, la sua solarità atemporale, il suo melodismo svagato e arioso. Surreale, finanche, perché Tim Presley (già chitarra di Darker My Love, Strange Boys e, per un breve periodo, a cavallo tra il 2006 e il 2007, dei Fall), adora giocare con suggestioni disparate, giocando la carta della trasfigurazione nostalgica, ma di quelle che, tentando di aggiornare un suono, lo deformano fino a sfaldarne i contorni.
Ancora psych-pop, dunque, per l'uomo che si fa chiamare White Fence. Psych-pop spesso e volentieri senza molti fronzoli, sicuro di sé, carico di fantasia e di influenze, tra chitarre sbandate (“Growing Faith”, “Body Cold”), sbiadite cartoline flower-power (“Sticky Fruitman Has Faith), i Velvet Underground ultima maniera ma in versione depotenziata (“Your Last Friend Alive”, “Lillian (Wont You Play Drums?)”), primitivismi Half Japanese ma con garbo (“Get That Heart”) e deliziosi quadretti in perfetto stile Ray Davies (“Stranger Things Have Happened (To You)”); altrove, invece, stordito e saturo di ipotesi anche solo abbozzate (il garage-rock a perdifiato e in acido di “Enthusiasm”, quello caciarone di “Harness”) o in versione lo-fi come se, nel frattempo, un varco spazio-temporale ci avesse catapultato nella Nuova Zelanda di inizio anni Ottanta (“The Mexican Twins/Life Is...too $hort”).
Non mancano, poi, alcuni momenti di puro relax folkeggiante (“Tumble, Lies & Honesty”, “When There Is No Crowd”, “You Can't Put Your Arms Around A Memory”), anche se il piglio è sempre distratto, la percezione alterata.
Un modo grazioso per gustarsi il tè delle cinque, magari accompagnandolo con l’erba buona di una volta…
05/01/2011