Adrian H e i suoi "feriti" sono fra le scoperte più "nuove" della Projekt, continuativamente attiva nel reclutamento di nuovi talenti da affiancare a nomi ormai divenuti storici. Fra i pallini più recenti del boss Sam Rosenthal vi è senz'alcun dubbio il dark-cabaret - definizione coniata in sostanza dalla label stessa che va a definire quella scena di artisti in grado di interpretare nella maniera più oscura e sinistra le intuizioni di artisti come Dresden Dolls e Voltaire. A dimostrarlo, oltre alla propensione della casa discografica verso la pubblicizzazione del genere, anche le recenti prove musicali dello stesso Rosenthal, quali l'ultimo album dei suoi Black Tape For A Blue Girl, "10 Neurotics" - che aveva segnato una svolta radicale e indigesta ai fan di lunga data del progetto - e il side-project Revue Noir.
Ed è proprio nel filone dark-cabaret che s'inseriscono appieno Adrian H & The Wounds. Band, si diceva, sostanzialmente "nuova", con all'attivo un solo album prima di quest'omonimo. "Adrian H", risalente al 2009, macchiatasi in particolare di un sound dalla notevole "durezza", in grado di fondere assieme i lati più cattivi e orrorifici di Suicide e Bauhaus interpretati all'insegna di un matrice "teatrale". L'inusuale e curiosa formazione (tutti i membri si presentano con i soli nomi d'arte) - con il leader alla voce accompagnato da Broken Heart, dalle tastiere di Special K, dal basso di Shiggy e dal sassofono mascherato di The Raptor - aveva contribuito ulteriormente a suscitare un certo interesse attorno alla band.
A distanza di tre anni arriva il secondo parto del quintetto e le novità, in questo nuovo lavoro, non mancano né si fanno attendere: pur non abbandonando minimamente i canoni "hard" del suo predecessore, il nuovo album ne ammorbidisce e leviga gran parte delle spigolosità, riuscendo ad assomigliare quasi di più al Nick Cave di "Murder Ballads" che ad Alan Vega e soci.
Ne è prova tangibile la spiazzante apertura di "Memory", sonata agrodolce al pianoforte su cui il vocalist recita una tragedia con un apparente filo di ironia, elemento del tutto assente nelle oscure profondità del primo album. Altrettanto sorprendenti sono i cabaret filodrammatici di "Dog Solitude", "What She Wants" e "The Night My Mother Screamed", in cui la potenza emotiva surclassa l'horror vacui negli intenti compositivi in una vittoria della componente scenica su quella musicale (come già avvenuto in più occasioni ai Dresden Dolls). Ma i Wounds "duri e puri" non sono certo scomparsi, e a dimostrarlo ci pensano le torture di "Dog Solitude" e gli spruzzi di sangue di "Nasty", assieme alla sinistra rivisitazione della filastrocca popolare "Chim-Chim-Cher-Ee". E se in "Bad Man" e nella cover in salsa funky di "Hoist That Rag" di Tom Waits il leader torna al "vecchio" ruolo di cantastorie à-la-Voltaire, "That Hurts" e la conclusiva "Border Patrols" sono invece frizzanti pastiche di pece nera ed elettronica, in ravvicinata memoria dei Nine Inch Nails, ad ampliare ulteriormente lo spettro d'azione del gruppo nonché a completare la tavolozza delle influenze.
Trasfigurandosi da temibili interpreti di drammi omicidi a cantastorie per notti insonni, Adrian H & The Wounds riescono a catalizzare la tensione emotiva, vero aspetto principe dei loro brani, in maniera molto più diretta e originale rispetto al passato. È l'ennesima scommessa vinta dalla Projekt, e a questo punto è possibile affermarlo con una certa sicurezza.
02/07/2012