La bravura e la sincerità di un artista si apprezzano anche quando questi si mette continuamente in discussione, tentando di non ripetere sé stesso. Dopo aver disegnato un interessante percorso tra elettronica post-house, techno-ambient e lontani echi industriali, Chris Clark, in arte solo Clark, torna con un sesto episodio fatto di viaggi, suoni, strumenti, epoche. Il musicista inglese, infatti, non aveva assolutamente voglia di incidere un album di maniera che fosse subito collegabile a quanto già fatto con successo in precedenza. E così la fortuna di poter viaggiare nel mondo gli ha permesso di meditare il suo sesto album in diverse località che lo hanno ispirato e divertito: Australia, Berlino, Galles, Bruxelles, Cornovaglia, Norvegia e Londra sono le tappe che hanno visto nascere e crescere "Iradelphic". In ognuna di queste località Clark ha potuto sperimentare all'interno di diversi studi, utilizzando vecchi strumenti analogici e vintage (tra cui anche vetusti microfoni risalenti alla Guerra Fredda), cassette logorate dal tempo, ma anche strumenti tra i più moderni e all'avanguardia.
Come affermato da lui stesso, Berlino ha avuto un ruolo importante nella stesura del disco proprio perché è il posto dove ha trascorso più tempo componendo su batterie, synth mudulari, chitarre, tra l'altro suonate da lui per la prima volta. Quello che ne viene fuori non è però un gran minestrone di suoni senza capo né coda, bensì un lavoro sicuramente nuovo per il catalogo di Clark, seppur non originale in toto nella sua riuscita complessiva. Il disco, infatti, è stato in buona parte prodotto in Galles insieme a Bibio, uno dei maestri nell'assemblare elementi digitali con il calore del folk, e proprio questo nome può essere comparato con le atmosfere di "Iradelphic". Fanno inoltre capolino da queste parti anche le dinamiche ritmiche e il gusto melodico riscontrabile sapientemente in Four Tet quanto quelle invenzioni ambient che sono care ai Boards Of Canada.
La bravura di Clark è nell'aver saputo comporre vere e proprie canzoni ben strutturate e musicali arricchite tra l'altro, nei brani "Open" e "Secret" dalla sempre languida e fascinosa voce di Martina Topley-Bird, colei che fu la musa del primo Tricky. Da lei non è stato richiesto un semplice accompagnamento canoro, ma una vera e propria interpretazione in cui primeggiare e questa brava interprete vi è riuscita in pieno.
Le dodici tracce del cd funzionano benissimo come un elegante intrattenimento, ma chi vuole anche un ascolto più ricercato non rimarrà deluso. Un ritorno raffinato.
23/04/2012