Nella folta pattuglia di discepoli della scuola elettronica tedesca di Kraftwerk e Tangerine Dream, un posto di tutto rispetto meritano gli scozzesi Boards Of Canada, alfieri, insieme ad Autechre e Aphex Twin, del revival "sintetico" promosso dall'etichetta Warp Records. Singolare l'evoluzione della line-up della band: nasce come comune di artisti e musicisti, in Scozia, alla metà degli anni Ottanta, e si riduce progressivamente a un trio, e infine a un duo; i sopravvissuti alla "diaspora" sono due musicisti elettronici, Mike Sandison e Marcus Eoin. Sensibili al fascino del modernariato più che del futurismo, i Boards Of Canada traggono ispirazione (fin nel nome) dai vecchi documentari audiovisivi sul Canada, da quei filmini in super 8 accompagnati dal commento sonoro dei sintetizzatori. Partendo da queste premesse, il loro percorso si protende negli anni fino ad abbracciare le propaggini più evolute dell'elettronica odierna.
La produzione iniziale, quasi integralmente registrata in casa, è raccolta in una serie di cassette, incise tra il 1987 e il 1993. Quindi, gli strumentisti scozzesi, oltre all'attività di remixatori, si dedicano alla produzione di una lunga serie di Ep e mini-cd assortiti: Catalogue 3, Acid Memories, Closes Volume 1 (stavolta con ben diciassette brevi composizioni) e Play By Numbers, forte della lunga suite di "Infinite Lines Of Colourful Sevens". In questi lavori, viene gradualmente messo a fuoco l'obiettivo della band: fissare un nuovo standard "ambientale" e "rilassato" di musica elettronica, attraverso suggestive mini-sinfonie, che combinano melodie semplici e minimali a elaborate scansioni ritmiche.
Uno stile ulteriormente perfezionato nell'Ep Hooper Bay del 1994 e ancor di più nelle venti piece ambientali di Boc Maxima (1995), in cui svetta la struggente "Everything You Do Is A Balloon". Sempre più accreditati presso i club "underground" britannici, i due devono però aspettare il 1996 per riuscire a pubblicare (solo in vinile, edizione limitata a 100 copie) l'Ep Twoism, con otto tracce auto-prodotte (il disco sarà ristampato dalla Warp nel 2002). Nel frattempo, l'accresciuta reputazione della band negli ambienti dell'elettronica d'avanguardia la porta a supportare Autechre e Panasonic (oggi Pan Sonic) nei rispettivi tour dell'estate del '96. A sancire idealmente la fine della "gavetta" è Hi Scores, antologia dei primi lavori della formazione scozzese, pubblicata dalla Skam Records.
La loro attività live si intensifica e le loro performance assumono i risvolti di eventi multimediali, basati, tra l'altro, su proiezioni di video autoprodotti. I Boards of Canada remixano gli Autechre e suonano con loro al Phoenix Festival del 1997. E' il preludio all'esordio su Warp, che avviene l'anno dopo con l'album Music Has The Right To Children: 71 minuti di elettronica digitale d'alta classe, in bilico tra atmosfere lente e melodie trasognate, sibili galattici e continue invenzioni ritmiche.
Il debito nei confronti dell'ambient-techno degli Autechre appare evidente, ma i Boards Of Canada dimostrano una peculiare propensione per i disegni ritmici irregolari, con un massiccio utilizzo di battiti hip-hop midtempo, percussioni psichedeliche e rumori meccanici. Meno minimalisti e più "ovattati" dei loro compagni di scuderia, i due scozzesi riescono a umanizzare le loro tessiture sonore, innervandole di pulsazioni calde, come nella "intelligent-dance" di "Aquarius", proiettata verso un funk surreale. Le tracce scorrono in modo incredibilmente fluido, al punto che risulta difficile determinare dove finisce una e inizia l'altra. La delicata partitura spaziale di "An Eagle in Your Mind" pullula di droni e beat sincopati. Vibrazioni ipnotiche costellano l'escursione galattica di "Roygbiv", mentre le atmosfere si fanno sempre più soffuse ed eteree nelle lente piece di "Turquoise Hexagon Sun" e "Happy Cycling".
L'effetto è uno stato di relax cosmico assai vicino alla trance. Con Music Has The Right To Children, i Boards Of Canada coniano uno stimolante modello di ambient music, disseminato qua e là di stravaganze jungle e psichedeliche.
L'Ep In A Beautiful Place Out In The Country (2000) raccoglie quattro nuove escursioni nel loro universo elettronico. Gli scenari sono quantomai sereni e bucolici, e le tracce si snodano lungo coordinate sonore appena meno astratte e dilatate di quelle che oltre oceano contrassegnano l'opera dei Labradford. La title track è l'episodio più bizzarro, con l'incontro ravvicinato tra risa di bambini e una voce aliena filtrata da un vocoder.
La qualità cinematica e visionaria della musica dei Boards of Canada emerge ancor di più nel monumentale Geogaddi (2002), che ad oggi ne rappresenta il massimo traguardo: 23 tracce per altrettante alchimie elettroniche da decodificare. Mirabile equilibrio di abilità melodica e sperimentazione avant-garde, il disco è un esercizio di geofisica interiore, un viaggio sonoro su ipotetici pianeti remoti che, come nella miglior tradizione della kosmische musik, si traduce in un percorso tutto interiore, condito da accenni chiaramente psichedelici. Elettronica astratta, dunque, ma anche "umanizzata" attraverso il largo impiego di voci filtrate, stonature e di un timbro generale analogico. Musicalmente, è innumerevole la quantità di stili assorbiti o "citati", anche solo di passaggio: dall'ambient music alla new age, dal glitch all'hip-hop, dalla lounge alla psichedelia. I brani sono quasi tutti brevi, sconnessi tra loro, ma idealmente legati da una sottile cartilagine sonora. Campioni lo-fi e tastiere psichedeliche vagamente sixties si combinano con una strumentazione elettronica decisamente all'avanguardia. L'impressione è quella di vivere un lungo sogno, sospesi tra continue fluttuazioni e vibrazioni sonore. Ma, a dispetto dell'atmosfera dolce e rilassata di fondo, serpeggia sottotraccia un senso d'inquietudine, tra note sospese, vocine in reverse, cori in sottofondo e ritmi tribali.
Sonorità eteree pervadono "Alpha and Omega", impreziosito da percussioni orientaleggianti e da un flauto esotico, e "Dawn Chorus", sorta di invocazione del sole che sorge, costruita sull’incastro di una melodia sinistra e di sample vocali con suoni - stavolta "autentici" - di percussioni. Il surreale campionamento di "Sunshine Recorder" (un bambino che esclama: "A beautiful place") è disturbato da un’insinuante melodia, che prelude a un incalzante beat. E’ una poetica "algebrica" a ispirare episodi come "Music is Math" (quasi un inno post-moderno per una internet-generation prossima al collasso da eccesso d'informazione, con spezie orientali, droni, distorsioni, battito sincopato e accenni melodici psichedelici) o anche "A Is To B As B Is To C" e "The Smallest Weird Number". L'ammiccamento romantico-spaziale di "Julie and Candy", con i suoi intrecci vocali e la sua tenue melodia appena "sporcata" da qualche distorsione, è l'altra faccia della morbidezza sensuale di "1969", con il vocoder che fa il verso agli Air in versione meno retrò e più psichedelica. Ma c'è anche il rischio di restare ipnotizzati tra le fluttuazioni di "Gyroscope" o di restare incantati ad ascoltare la voce narrante di Leslie Nielsen (!) in documentari educativi ("Dandelion") o di assopirsi davanti a un ipotetico schermo che irradia un filmato sugli extraterrestri ("The Beach at Redpoint"). E, a conclusione dell'enigma di Geogaddi, l'ultima traccia, "Magic Window": 106 secondi di puro e incontaminato silenzio.
Terminano così i 66 minuti e 6 secondi (dettaglio probabilmente non casuale, considerata l’ossessione del gruppo per i numeri...) di un album che lascia l’ascoltatore con lo sguardo proiettato nel futuro, ma con nel cuore una malinconia strisciante, parente molto prossima della nostalgia. Assimilando la lezione di maestri del passato (Kraftwerk su tutti) e del presente (Orb, Autechre, Aphex Twin) i Boards Of Canada si confermano tra i più ispirati interpreti di quella new wave elettronica sapientemente diretta dagli studi della Warp Records.
Nel 2005, però, The Campfire Headphase delude le attese. La novità consiste in un ampio ricorso alla strumentazione live, nel caso specifico alla chitarra. E non è una bella sorpresa. Serve davvero la chitarra nuda e cruda, nella costruzione delle atmosfere? E' davvero questa l'unica via dell'elettronica da ascolto "classica"? Eppure Sandison ed Eoin hanno, per fortuna loro e nostra, classe da vendere. Così il materiale poco nobile della scrittura di una "Hey Saturday Sun", o del bleep-single "Dayvan Cowboy", riesce a comunque a mantenere in parte il fascino sospeso dei vecchi Boards Of Canada.
Quando le cose vanno meglio, come in "'84 Pontiac Dream" o "Oscar See Through Red Eye" (probabilmente la traccia migliore), è perché siamo dalle parti di una riproposizione manierata degli elementi che costituiscono il suono unico e riconoscibilissimo del duo. Nastri all'indietro, melodie oblique, in sottofondo note tenute per tempi lunghissimi. "Chromakey Dreamcoat", pur essendo pura maniera, riesce a cullare e stranire allo stesso tempo: loop di chitarra, suoni ambientali e uccellini perduti nel mix. Non basta, invece, il tappeto di synth a fare di "Satellite Anthem Icarus" un brano "maggiore". Anche i caratteristici intermezzi di poco più di un minuto sono meno efficaci, stavolta. Altra grave assenza ingiustificata è quella delle suggestive invenzioni ritmiche che seducevano e catturavano l'ascoltatore con la stessa forza delle loro insolite melodie lontane. Che ci sia qualcosa che non quadra lo conferma la conclusiva "Farewell Fire", oltre otto minuti di suono ambientale a volume bassissimo che sfuma lentamente fino a divenire silenzio.
Il risveglio dei Boards Of Canada è una copertina di una città sfocata all'orizzonte, all'alba. Colori pastello e un senso di pace tangibile segna le tinte. C'è voluto tanto, forse troppo, per rivedere i due scozzesi. Si può forse dire che Tomorrow's Harvest (2013) sia un disco retrò, legato a stilemi e confini musicali distanti nel tempo? Decisamente no. E' proiettato in un futuro prossimo, nella sua essenza più pura. Obietteranno molti che in realtà è la solita solfa dei Boards Of Canada. Invece, pur essendo ovvio che vengano mantenute le radici che hanno fatto di Geodaddi o Music Has The Right To Children dei capisaldi, la linea di continuità proiettata in avanti appare chiara, limpida. A partire dal titolo e dalla copertina, come s'accennava, c'è un continuo e costante riferimento all'alba del domani.
A quel raccolto, a una nuova era di prosperità. O, di contro, che quel raccolto di cui parlano, sia in realtà il frutto della terra della società simboleggiata dalla copertina. I Boards Of Canada delineano nei loro landscape la leggerezza come pochi altri saprebbero dipingere. E, nel percepire questo senso di lievità in prospettiva, nel contempo si avverte la pesantezza delle radici e dell'ancoramento al presente. Proprio in questa tensione dialettica si gioca l'humus dell'album.
Per dire: avrebbero mai potuto comporre "Split Of Infinities" dieci anni prima? Questi pad alieni per terre bruciate dal sole, questa solitudine mesta da disastri post atomici in un terzo millennio segnato da bombardamenti e guerre, non c'erano in The Campfire Headphase.
Il velluto dream si stropiccia di fronte ai synth analogici. Non c'è un richiamo alla memoria, "Reach For The Dead" stessa è un viaggio lunare per scappare da un qualcosa. E scordatevi il termine "retrofuturo", perché qui si guarda solo a quel che sarà. Poco importa la meraviglia di "Jacquard Causeway", perché è "Cold Earth" a segnare il passo. I bollori di "Come To Dust" o gli stop&go di "Nothing Is Real" configurano una Terra che Terra più non è.
"Sick Times", titolo già eloquente, parte ariosa con beat in accelerazione e sfondi celesti, salvo man mano incupirsi e rinchiudersi quasi improvvisamente in un nulla di fatto. E nel viaggio verso mondi altri ("White Cyclosa", "Transmission Ferox", "Uritual") si respirano i perfetti contraltari tra la deflagrazione terrestre e i paesaggi post-. L'immaginario elettronico di ispirazione nineties/Warp/Letfield viene in verità mantenuto, con delle accortezze e una produzione che sfasano le coordinate temporali in un futuro a portata di mano.
Gli immaginari sci-fi intergalattici, Lustmord e Carpenter fanno capolino ma quel che impressiona è che questo album rafforza e non sminuisce l'immaginario costruito negli anni dai fratelli scozzesi. Il beat non è mai costante, come da loro tradizione, ma è funzionale a sgretolare o, di contro, ergere sottili trame. "New Seeds" e "Come To Dust" sono il viaggio di ritorno dopo la distruzione, la conclusiva "Serena Mertvykh" altro non è che il panorama che si presenta innanzi. Cortine di droni, foschie e poco altro. E' quella una nuova alba o la prospettiva di una civiltà inghiottita e distrutta dalle sue stesse mani? Il cripticismo del duo, qui come non mai, viene elevato ai massimi sistemi. Tomorrow's Harvest è una tabula rasa necessaria e dolorosa, che immagina però di portare il mondo a una nuova dimensione. Di pace, forse.
Contributi di Nicola Minucci ("The Campfire Headbase") e Alberto Asquini ("Tomorrow's Harvest")
Hooper Bay (Ep, Warp, 1994) | ||
Boc Maxima (Ep, Warp, 1995) | 7 | |
Twoism (Warp, 1995) | ||
Hi Scores (Warp, 1996) | 7 | |
Music Has The Right To Children (Warp, 1998) | 8 | |
In A Beautiful Place Out In The Country (Warp, 2000) | 6 | |
Geogaddi (Warp, 2002) | 8 | |
The Campfire Headphase (Warp, 2005) | 5,5 | |
Tomorrow's Harvest (Warp, 2013) | 7,5 |
Sito ufficiale |