Lasciamo al lettore la risposta, e apriamo un'altra questione. Perché ai geniali remix di "Dead Dogs Two" per i cLOUDDEAD e "Broken Drum" per Beck hanno fatto seguito brani così poco ispirati? A dire il vero, forse la ragione è che non è la fase produttiva (ossia quella che conta in un remix) a deludere, qui. Ciò che sembra affannata è proprio la scrittura, sebbene spesso si sia portati a credere (sbagliando) che in ambito elettronico sia un elemento secondario rispetto alla produzione. Ecco, "The Campfire Headphase" è ci dimostra che tutto questo è falso, facendolo purtroppo a sue spese.
Eppure Sandison ed Eoin hanno, per fortuna loro e nostra, classe da vendere, e riuscirebbero a rivestire d'oro anche l'acqua. Così il materiale poco nobile della scrittura di una "Hey Saturday Sun", o del bleep-single "Dayvan Cowboy", riesce a comunque a mantenere in parte il fascino sospeso dei vecchi Boards Of Canada.
Spieghiamoci meglio: ovviamente nessuno chiedeva loro di essere sempre uguali a se stessi, sebbene la loro musica sia così peculiare e talmente rara che anche ripetendosi all'infinito i due scozzesi non avrebbero mai suonato come inflazionati. Se però i piccoli cambi di direzione devono essere verso un modello che ha già dimostrato di non portare molto lontano, allora si può anche rimpiangere che non abbiano dato alle stampe un semplice aggiornamento dei propri canoni.
"The Campire Headphase" può andare bene per osservare l'autunno da dietro un vetro appannato, ma non crea tutti quei mondi che "Music Has The Right To Children" e "Geogaddi" avevano saputo evocare. Quando le cose vanno meglio, come in "'84 Pontiac Dream" o "Oscar See Through Red Eye" (probabilmente la traccia migliore), è perché siamo dalle parti di una riproposizione manierata degli elementi che costituiscono il suono unico e riconoscibilissimo dei Boards Of Canada. Nastri all'indietro, melodie oblique, in sottofondo note tenute per tempi lunghissimi. "Chromakey Dreamcoat", pur essendo pura maniera, riesce a cullare e stranire allo stesso tempo: loop di chitarra, suoni ambientali e uccellini perduti nel mix. E' una luce riflessa, ma a volerci credere funziona ancora. Ma prendiamo "Satellite Anthem Icarus", tanto per dirne una: è davvero il Fennesz veneziano più chitarrista, con tanto di risacca in sottofondo. Non basta il tappeto di synth a farne un brano maggiore. Anche i caratteristici intermezzi di poco più di un minuto sono meno efficaci, stavolta.
Altra grave assenza ingiustificata è quella delle suggestive invenzioni ritmiche che seducevano e catturavano l'ascoltatore con la stessa forza delle loro insolite melodie lontane. E che ci sia qualcosa che non quadra lo conferma la conclusiva "Farewell Fire", l'Ufo di questa selezione. Oltre otto minuti di suono ambientale a volume bassissimo che sfuma lentamente fino a divenire silenzio. Inspiegabile, ma non si sa dire se affascini o atterrisca.
In definitiva, pur rimanendo piacevole, non solo "The Campire Headphase" non aggiunge niente a quanto già detto da Sandison ed Eoin, ma si qualifica come il primo vero passaggio a vuoto di uno dei gruppi di maggior culto nell'elettronica degli ultimi dieci anni. E la prima delusione, miseriaccia, non si scorda mai.
(10/05/2012)