Guido Möbius

Guido Möbius è di nuovo sul luogo del delitto dell'abstract-pop. Solo che, questa volta, ha deciso di mettere un po' d'ordine, ma senza esagerare. Ha pensato bene, quindi, di ispirarsi ai temi della spiritualità, prendendo in prestito addirittura testi tratti, per l'appunto, da veri e propri spiritual.
La festa può, dunque, cominciare... anzi no, la festa può soltanto continuare, perché è nella continuità di soluzioni e sonorità che si consuma questo ennesimo tassello della saga musicale dell'artista tedesco.

Certo, a livello di scrittura è evidente lo scarto rispetto a "Gebirge", perché, lì dove c'era fluidità e grazia ora c'è in larga parte soprattutto artigianato, anche se di tutto rispetto.
Tralasciando comunque il ricordo di quella che fu una delle migliori sorprese del 2009, la parola d'ordine è quella del divertimento stilistico, per cui mentre si rivitalizzano i trascorsi indietronici si appendono alle pareti anche poster di zio Frank Zappa, giusto per non dimenticare alcuni dei giganti sulle cui spalle si continua a passeggiare... Non si dimentichino poi le filastrocche e quel mood funkeggiante ma storto, con lamiere in contrappunto e qualche sprazzo di Prince demente ("Judgement", "The Right Thing", "The Reign Of Sin").

Il paradosso è la sua unica religione, sembra ovvio! Tra apoteosi e sberleffo, ipnosi ritmica e pulsioni danzerecce, Guido pennella numeri freschi e divertiti come la lunga "Godhead Appears" (il cui mulinello impazzito rimugina anche su schizzi hardelici), "Babylon's Falling" (estaticamente ancorata, sullo sfondo, a un drone indianeggiante e disinvoltamente ebete e stroboscopico lì davanti alle nostre orecchie), "All Evil Ways" (i Residents chiusi in un garage buio e umidiccio). In coda, c'è spazio anche per una cosina inquieta prossima a certe visioni magnetiche e misteriose di Tobias Lilja ("Blessed Sleep").

07/06/2012