Peter Heyes e il fido Robert Been il meglio di sé lo hanno già dato più di sei dischi fa. Quando ancora non dovevano preoccuparsi di allestire ogni due anni il siparietto "studio album + riempitivo + disco dal vivo"; quando al Rolling Stone non sarebbe mai passato per l'anticamera del cervello di chiamarli per occupare le pagine della rubrica Fashion, al pari dei Fall Out Boys.
Ora che invece la misura è colma, tentano il miracoloso rilancio della propria creatura. E questa volta giocano il doppio jolly: una cover post-bellica dei Call ("Let The Day Begin", dal disco omonimo del 1989) e una partnership con il giornale Q (sì, proprio la rivista per veri rocker) per la distribuzione di un Ep (un altro?) contenente la suddetta canzone e il pop svenevole di "Returning".
A non essere sordi da un orecchio, la progressiva discesa verso gli inferi dei Black Rebel Motorcycle Club (o per amor di sintesi "BRMC") è palese e sotto gli occhi di tutti da almeno dieci anni. A meno di non essere tra coloro che elevano inni al dio del rock come vedono logori giacchetti di pelle e sguardi da belli e dannati (che poi si tratti di Lord Of Altamont, Electric Wizard o Andrea Appino non fa alcuna differenza), il Club di San Francisco, discendendo da un suono à-la Jesus And Mary Chain, ammorbidito quanto basta per finire in copertina almeno un paio di volte nella vita, di inventiva e talento ha dimostrato di averne ben poco fin dal secondo disco.
Non riusciamo così a capire come e perché siano riusciti a partorire qualcosa come trentatré dischi (17 sono solo i singoli e gli Ep) nel corso dei trascorsi dieci anni, ma tant'è. Nick Jago, grazioso batterista sul primo "B.R.M.C.", in almeno un paio di occasioni ha abbandonato la nave, lasciandola definitivamente nel 2008 a favore di Leah Shapiro. Restano della formazione originale l'asse portante, se così si può dire, ovvero Peter Hayes e Robert Levon Been appunto, muniti del medesimo look e del medesimo afflato del 2000. Eterni rocker "motorizzati" e ricci ribelli al seguito, che da qualche disco a questa parte però lavorano molto di foto promozionali in penombra, di spalle o riflessi su di una qualche superficie, forse per mascherare il gran canyon di ispirazione degli ultimi lavori.
"Specter At The Feast", nel suo complesso, presenta tutti i clichè pop-psichedelici ("Fire Walker", "Rival") con cui hanno infarcito gli ultimi album, con risultati decisamente alterni. Infatti non è null'altro che un omaggio ai primi Stones, messo in atto da bravi mestieranti del garage e della psichedelia modaiola, impietosamente condannati ad affrontare paragoni sempre più impari con Brian Jonestown Massacre, Primal Scream, Spiritualized. E stavolta persino improponibili, con Coldplay e The Music.
Capiamoci, non è che si tratti di un disco brutto in toto. Tuttavia, per amor del vero, almeno i tre quarti di "Specter At The Feast" ha il sapore artefatto di un fast-food. Non di già sentito (sul "già sentito" i BRMC ci hanno praticamente costruito un'intera carriera), bensì di stantìo, di finto.
04/03/2013