La band di San Francisco ha profuso i suoi riti sciamanici da oltre vent'anni, coinvolgendo nelle proprie scorribande sonore decine e decine di musicisti; nella loro celebrazione antropologica dei fasti della musica psichedelica non si sono fatti mancare nulla.
Prima con chitarre distorte alla My Bloody Valentine e Jesus And Mary Chain ("Metrodone"), poi virando verso gli Stones e i Sixties ("Their Satanic Majestic Second Request") senza apparentemente catturare quella definitiva statura di big act che solo di recente sembra sorridere al gruppo.
L'approccio approssimativo alla musica e alla strumentazione è in verità il loro punto di forza, una svogliatezza che caratterizza la loro rilettura della storia del rock, un'attitudine felicemente anarcoide che non sembra mai cedere il passo alla normalizzazione.
Quale altro gruppo può permettersi di citare Syd Barrett, Donovan, Gram Parsons da un lato e dall'altro Spacemen 3, Velvet Underground, Cramps e My Bloody Valentine (ai quali è dedicato "My Bloody Underground") senza mai perdere credibilità e carisma?
Non hanno la cattiveria per essere i Black Rebel Motorcycle Club, né l'illuminazione pop-rock per emulare i Dandy Warhols: i Brian Jonestown Massacre restano fieramente ancorati a un barcollante insieme di suoni e suggestioni evitando l'uniformazione dell'enciclopedismo rock. Non tentate di chiedere a Anton Newcombe le sue impressioni sul film-documentario "Dig", l'incontro cinematografico con i Dandy Warhols non ha la forza per catturare il suo spirito anarchico e surreale. Meglio affidarsi alla musica.
Ma non sperate che "Aufheben" sia il loro disco definitivo - la loro prassi costruttiva-distruttiva (che il termine tedesco rappresenta con geniale ambiguità) è ancora imperante, ed è un bene perché le perplessità che sollevavano "Who Killed Sgt. Pepper?" e "My Bloody Underground" sono scomparse, la nuova destrutturazione si è mirabilmente compiuta.
Il rientro definitivo di Matt Hollywood dopo più di dieci anni (era solo una guest star nell'ultimo disco del 2010) sembra aver dato linfa e grinta al nuovo album. Sempre più abili nel trovare soluzioni sonore piuttosto che nel comporre brani memorabili, i Brian Jonestown Massacre affondano le mani nelle gioie del dub confezionando pregiate tessiture sonore.
Non è art-rock in cerca di dignità né il manifesto dell'indie-rock americano: "Aufheben" è un altro parto incosciente e geniale di una mente che vuol far credere a tutti di essere disturbata e perdente, ma altresì capace di tirar fuori il suo primo vero hit-single in vent'anni di carriera, ovvero quella "I Wanna To Hold Your Other Hand" che, su delicati landscape psych-folk, rivela una swingante melodia che sembra l'anello mancante del primo album degli Stone Roses.
Ad eccezione di "Stairway To The Best Party", l'attitudine sonora è più mellow; flauti, synth che gareggiano con le chitarre e ritmi ipnotici dall'incedere quasi automatico sono il groove sui quali le voci cercano spazi lirici senza trovarli, volutamente, mai.
Progressioni armoniche di sitar e flauto mai smodate sono protagoniste dei tre centri gravitazionali dell'album: "Panic In Babylon" trans-globalizza un raga ipnotico e inquieto che chitarre e suoni elettronici conducono verso l'etereo riposo, la stessa dolenza che anima "Face Down On The Moon", un delicato tratteggio bucolico-psichedelico che troneggia al centro dell'album. Infine, risplende il groove-dub elettronico di "Blue Order New Monday", splendido trip-hop sinfonico che difficilmente si archivia dopo pochi ascolti.
In mezzo, c'è spazio per il cosmic rock'n'roll della quasi lounge "Viholliseni Maalla" (tracce di Stereolab?) e per la molle malinconia underground di "Clouds Are Lies", seducente come una birra gelata a ferragosto.
Notturna e inquietante, "Gaz Hilarant" resta gradevolmente sfatta e malsana, in contrasto con la frizzante verve da world music di "Seven Kinds Of Wonderful" nella quale ritornano i flauti a far da padrone del groove simil-ritmico.
Anton Newcombe mette in gioco tutta la sua abilità di creatore di suoni nell'inconsistente patchwork lirico di "Illuminomi", trasformandolo in un'elegante inezia pop post-Joy Division, e attenua il brio fanciullesco di "Waking Up To Hand Grenades" per riequilibrare con ironia e imperturbabilità il flusso sonoro dell'album, che ad ogni riascolto appare sempre più compatto e intrigante, dando un senso al non-sense musicale di questa nuova avventura psycho-rock.
Newcombe resta senza alcun dubbio l'anti-eroe della musica colta. Che "Aufheben" sia solo un altro improbabile tentativo di emulare gesta storiche, che i Brian Jonestown Massacre siano una bufala o dei geni non ce ne può importare di meno: rallegratevi, i funamboli del rock sono tornati tra noi.
29/04/2012