Bisogna anche dire che il gruppo ha mantenuto le promesse degli esordi, ricevendo sempre ottime critiche e un buon riscontro di pubblico, ma senza ottenere il successo di Muse e Kings Of Leon, tanto per citare due nomi contemporanei ai quali furono paragonati in passato. Eppure non sono mancate nemmeno ai Boxer Rebellion le apparizioni in show televisivi di grande portata (Letterman, Leno) e le loro canzoni, come è accaduto a tante altre band “indie”, sono state utilizzate in film e serie tv di grande successo. Insomma, hanno seminato più che bene e raccolto (forse) meno di quel che avrebbero meritato.
Concentriamoci ora però su “Promises”, quarto lavoro in studio della band: abbandonate ormai definitivamente le derive psichedeliche del primo album, i Boxer Rebellion si sono stabilizzati su una formula tanto funzionante quanto priva di particolari novità. Già dalla prima traccia “Diamonds” è possibile riconoscere lo stile degli inglesi, partendo proprio dal cantato di Nathan Nicholson; un inizio particolarmente introspettivo che ben si lega con il mood del precedente “The Cold Still”. “Fragile” segue sulla falsariga della traccia introduttiva e si deve attendere “Always” per un drumming uptempo e una ficcante linea di synth piazzata nel ritornello.
Il ritmo rallenta ancora con “Low” , violino e chorus dreamy: da qui in avanti si resterà sempre costantemente mid-tempo, con i brani di “Promises” caratterizzati da continui crescendo emotivi portati fino al limite di un'esplosione che mai avviene.
Una potenza che viene infatti sempre tenuta sotto controllo, preferendo puntare sull’aspetto emozionale delle liriche. Proprio i testi sono da sempre uno dei punti di forza dei Boxer Rebellion, strettamente personali e con una certa dose di drammaticità, ma allo stesso tempo universali e di facile immedesimazione. Uniti ai frequenti chorus d’impatto e al falsetto di Nicholson - uno che sa usare quest’arma con gusto e cognizione di causa - creano un certo effetto scenografico e sfarzoso, che rende piuttosto semplice capire perché siano spesso scelti come colonna sonora di film/serie tv.
Dicevamo: stilemi riconoscibili, anche se “Promises” è molto meno guitar-rock dei suoi predecessori. Non manca nemmeno la consueta ballata piano-voce (“You Belong To Me”), con synth etereo in sottofondo a riempirne i vuoti, là dove una volta si puntava, al contrario, sulla scarna essenzialità del piano o in alternativa della chitarra acustica.
Qualche fan di vecchia data potrebbe restare deluso, almeno ai primi ascolti, proprio per il sottoutilizzo delle chitarre e per l’assenza di riff particolarmente memorabili, ma questo è un album che ha bisogno di più ascolti per crescere e trovare la propria dimensione, segno anche di una certa maturità raggiunta dal gruppo in fase di scrittura. Manca solo un po’ di quel tiro ruvido capace di alzare il ritmo della corsa all’occorenza, un aspetto che andrà sicuramente valutato in ottica live.
(16/07/2013)