Ci sono dischi il cui ascolto lascia talmente sconcertati da rendere faticoso ogni tentativo di trovare parole per descriverli. Al momento, poi, di provare a farne una recensione, il pensiero corre inevitabilmente alla famosa trattazione di Pitchfork sul secondo disco dei Jet: per chi non la conoscesse, si tratta di un articolo nel quale al posto del testo venne inserito un video di una scimmia che si urinava direttamente in bocca. Questo perché le situazioni in cui è più difficile trovare argomentazioni scritte sono proprio quelle nelle quali l'oggetto dell'esposizione è un disco non brutto nel senso canonico del termine, ma estremamente inconsistente.
Questo quinto lavoro dei Kings Of Leon, purtroppo, rientra nella categoria che si è appena provato a descrivere. La famiglia Followill (tre fratelli e un cugino) aveva già abbandonato qualunque velleità di produrre musica che si distaccasse minimamente dai canoni mainstream già con il precedente "Only By The Night", che però aveva una serie di melodie molto ispirate e una buona vitalità d'insieme. Qui, invece, i motivi d'interesse durante l'ascolto sono pari a zero: non c'è né una melodia valida, né un'interpretazione vocale coinvolgente, né una sola idea vagamente interessante dal punto di vista degli arrangiamenti e/o delle linee di chitarra, e nemmeno un minimo di fantasia nella sezione ritmica.
Il songwriting, infatti, è totalmente insipido e l'impressione, all'ascolto dei brani, è quella di spunti melodici buttati lì distrattamente, senza che alla band interessasse minimamente questa parte del lavoro. Il timbro vocale di Caleb Followill è sempre pieno e consistente come in passato e rotondo come nel disco precedente, ma suona talmente stanco che sembra abbia cantato appena sveglio e con tanta voglia di tornare a dormire al più presto.
La banalità del lavoro alle chitarre e del modo in cui le tastiere arrivano sporadicamente a dar man forte (si fa per dire) alle sei corde è imbarazzante: il suono risulta ora robusto, ora invece più dilatato, ma non c'è alcuna spinta propulsiva e tutto sembra sempre un mero accompagnamento alle già scadenti melodie; anche quando, abbastanza spesso, si ricorre a dei crescendo, la loro struttura è troppo scolastica e non sembra vero che una band di questo livello si accontenti di una simile sciatteria. La sezione ritmica, infine, è la parte più piatta di tutto il lavoro: sembra impossibile, a leggere le lacune degli altri aspetti specificati, ed invece è proprio così.
Il risultato finale è che questi quarantasette minuti sembrano durare almeno il doppio nel momento in cui ci si sforza, inutilmente, di cogliere qualcosa che meriti un minimo d'attenzione all'interno delle tredici canzoni. Un'involuzione davvero drammatica per i Kings Of Leon, che probabilmente con un disco così innocuo riusciranno a spingere all'acquisto quelle persone che nella musica cercano soltanto un sottofondo che non costringa i neuroni a mettersi in moto, e che purtroppo, oggigiorno, sono in netta maggioranza.
30/01/2011