Chi è capace, non dico di fermare, ma solo di stare dietro a James G. Thirwell, la mente dietro Foetus, Wiseblood, Clint Ruin,
Manorexia, Come, Flesh Volcano e una pletora di variazioni e impossibili nomignoli?
Solo nel 2013 ha lavorato con
Zola Jesus e il Mivos Quartet per il singolo “Avalanche” e con l’ultimo “
Versions”, a cui va aggiunta la colonna sonora per il film “The Blue Eyes” di Eva Aridjis. Già che c’era, Thirwell ha sfornato anche questo “Soak”, diciassettesimo (!) album ufficiale a nome Foetus, fin dal lontano 1981. Un progetto nato, tra l'altro, come seguito del precedente album “Hide”, da registrazioni scartate e idee che non hanno trovato posto nel 2010.
Foetus emerse dal marasma eterogeneo dell’epoca come una delle tante accezioni e stranezze del post-punk sghembo e rumoroso vicino alla musica industriale, evolvendosi presto in un’idra a più teste, che coinvolgeva musica classica wagneriana, avanguardia classica, pop, rock e hard-rock, rythm’n’blues, swing, Big Band anni 40, musica elettronica, free jazz, chanson francese, musica sinfonica da film e chi più ne ha più ne metta. Una miscela incongruente ma esplosiva, condita da immaginario pop a tutto tondo (fumetti alla Roy Lichtenstein, pubblicità e logo giapponesi, propaganda totalitarista e via dicendo) in un incedere ritmico quasi frenetico, con tutta la sua urgenza e aggressività. E il taglio della musica di Thirwell, pur con le dovute differenze da album ad album, rimane dunque sostanzialmente uniforme negli anni, creando a mo’ di marchio di fabbrica una magniloquenza unita a una minacciosa orecchiabilità ad alto tasso adrenalinico.
La "musica totale" di Thirwell è, a turno, eccitata, malinconica, tesa, furiosa, accattivante, ossessiva-compulsiva, delicata, dando vita a un guazzabuglio che sfuggirebbe di mano ai più. Eppure, grazie alla capacità organizzativa del Nostro, riesce a correre più velocemente di quanto non si riesca ad assimilare. Come faccia a non collassare in semplice cacofonia, è il miracolo che soggiace all’abilità dell’artista, unico nel panorama musicale. Forse, il segreto risiede nella sua comprensione a fondo dei singoli generi, nell’immedesimazione quasi schizofrenica (testimoniata dal variegato uso della voce che tocca i vari registri con disinvoltura), che permette di scivolare da uno all’altro senza sforzo o di incastonare magari un accordo decisamente pesante tra gli usatissimi fiati e tromboni (come in “Kamikaze”) senza perdersi. Sperimentale nel risultato ma familiare nell’immediato, James G. Thirwell alla fine riesce a essere non meno che irresistibile; anche se dissonanze, barocchismi, fratturazione degli stili possono spiazzare l’ascoltatore fino alla frustrazione. La mancanza di un punto focale, inoltre, potrebbe far credere di trovarci di fronte a un collage autoindulgente senza forma. Eppure il rischio svanisce sotto la rocambolesca successione dei pezzi, che funzionano senza incepparsi.
Che importa che ci siano cori femminili degni di uno
Stockhausen-pop (“Pratheism” o “Spat”), che riprenda le canzoni da marce militari americane (“Red And Black And Gray And White”), o che mischi musica circense con il crescendo apocalittico di un’orchestra mentre canta dolcemente in francese (“La Rua Madureira”)? O, ancora, che la melodia che John Carpenter scrisse per il suo “Halloween”, così come la famosa “Warm Laetherette” di Daniel Miller, siano giusto un pretesto per una sfolgorante calvacata che sostuisce la tensione delle ripetitività con quella di un muro di fuoco sonoro? Le descrizioni rimangono indietro, mentre il nostro sfreccia a tutta velocità rendendo inadeguato il linguaggio, collocando questo lavoro nell’olimpo della produzione di Foetus, accanto ai celebri “
Nail” e “Hole”.
30/12/2013