Stupito, sorpreso e quasi indispettito dal flusso di recensioni positive che annunciava il quarto capitolo della Memory Band, ho appreso poi con piacere la presenza di voci dissonanti e fuori dal coro per “On The Chalk (Our Navigation Of The Line Of The Downs) “.
Quello che in verità mi ha sempre convinto di Stephen Cracknell è il suo percepire il gruppo come un collettivo, una scelta artistica che ha permesso l’evoluzione del sound dalle rispettose riletture del patrimonio folk alla musica contemporanea. Mai sorretto da un coro di voci concordi, il progetto di Cracknell non ha mai convinto i puristi del revival né gli adepti della folktronica, questo perché la Memory Band ha sempre tenuto fuori dalle proprie aspirazioni i toni aspri degli storici e le ostentazioni intellettuali di certa musica elettronica.
Come moderno Debussy, il musicista si è impossessato dei segreti della tradizione britannica e col coinvolgimento di musicisti diversi ha prima affrontato il delicato tentativo di rinverdire alcuni classici della tradizione, per poi sviluppare una chiave di lettura del folk sempre più evanescente e minimalista che lo accomuna alla Penguin Cafè Orchestra e assorbe le suggestioni del film-cult “The Wicker-Man”.
Se nei precedenti album la presenza di elettronica e landscape sonori era funzionale a una struttura più folk, in “On The Chalk (Our Navigation Of The Line Of The Downs)“ tutto è magicamente differente e nuovo.
Come un pittore che si evolve dal realismo al dadaismo, Cracknell usa la materia per disgregarla e renderla evanescente. Il pretesto dell’album è il viaggio, un percorso nella Harrow Way verso Stonehenge, nel quale la natura e i suoi paesaggi rurali ispirano i piccoli acquerelli sonori, istantanee che mettono a fuoco spazi rurali dal fascino arcaico.
Le parole sono accantonate in attesa di trasfigurare altre pagine del passato con quell’ardire che ha sempre urtato i puristi, tutto è concentrato sui suoni e le vibrazioni della terra. Si tratta di un album ricco di metafore spirituali e pagane, quasi una rilettura del chill-out pastorale dei KLF che oppone il movimento alla staticità bucolica del duo ambient-house.
Il viaggio, i luoghi, la memoria, il racconto, frammenti che si mescolano come in un sogno senza fine, tra voci che sembrano uscire da una vecchia radio (alla maniera del primo Battiato) scandendo le prime fasi del tragitto con "The Wearing Of The Horns (Weyhill On My Mind)" mentre il grido “ti brucerà” irrompe con toni elegiaci e funesti che vengono sottolineati dalla frase: "Questo è quello che succederà a tutti voi che non avete accettato Gesù Cristo".
Le tinte jazz di “I See Cuckoo” oppongono voci pagane e suoni di flauto invitando alla danza rituale e addolcendo col piano e il flauto l’atmosfera plumbea. Come capitoli di un libro ancora aperto e senza finale, la musica di “On The Chalk (Our Navigation of the Line of the Downs)” modifica toni e timbri: malinconiche frasi di piano e ritmiche soffuse sottolineano canti gregoriani (“When I Was On Horseback”), ritmi diabolici e moderni infestano la calma apparente, prima annunciandosi con i fiati e poi esplodendo con briciole di elettroniche e loop (“Follow The Sarsen Stones”) allargando lo spettro sonoro dell’album.
La pausa sbarazzina di “On Dancing Hill” anticipa i contrasti emotivi della malinconica “What Blood Is This” e della briosa “Along The Sunken Lanes”, concentrando sempre di più sui suoni il fascino della musica.
Stephen Cracknell reinventa il folk senza perderne mai di vista l’identità culturale e storica. Ambizioso e gradevolmente originale, “On The Chalk (Our Navigation Of The Line Of The Downs)” è uno dei punti fermi di una coerente ricerca sonora, un suicidio commerciale che predilige armonie solenni (“As I Walked Over Salisbury Plain”), omaggi sinceri al passato - “The Highest Song In The Sky (For Chris Yates)” - e ardite creazioni di folk futurista (“Facing The Granite Country”).
Creazioni liriche quasi impalpabili a un primo ascolto, che attendono impavide il flusso della conclusiva “Where The River Meets The Sea” per trascinarsi con garbo verso una fase di riflessione, che il monito conclusivo - “qual è la tua natura, cambiala” - trasforma in dubbio esistenziale.
Il quarto lavoro della Memory Band è un album ardito e ingenuamente inconsapevole della sua forza, un viaggio che dall’osservazione di luoghi e memorie obbliga l’incauto avventuriero a riconsiderare il suo percorso e il suo traguardo, una musica che incrociando tecnologia e tradizione sfida la staticità del folk revival.
23/08/2013