Se fino all'anno scorso parlavamo di Eugenio Caria come di uno dei più promettenti talenti del vivaio elettronico sardo, in poco più di dodici mesi il suo progetto SaffronKeira è riuscito a imporsi come una delle realtà più peculiari e poliglotte nel panorama dell'elettronica sperimentale europea. Il tutto passando attraverso la conferma di “Tourette”, che a inizio anno aveva lasciato presagire una svolta decisa verso la musica atmosferica, solo una delle componenti entrate invece in rotta di collisione in quel monumentale “A New Life” che l'anno scorso era riuscito a convincere senza indugi persino la blasonata Denovali.
Trovatosi proiettato alla velocità della luce nell'olimpo dei fuoriclasse, Caria è partito immediatamente alla ricerca di nuove declinazioni della sua arte, la cui ultima giunge in chiusura d'anno sotto forma di una collaborazione con il conterraneo trombettista Mario Massa, chiamato a spartire le trame di questo nuovo lavoro. Già tema portante della prima opera del sound designer, la vita è il perno attorno a cui ruota il concept dell'intero lavoro: ma se le piaghe glitch di “A New Life” parevano riprodurre la purezza dei fenomeni biologici, il calore di “Cause And Effect” mira invece al sentimento primordiale, all'emozione ai tempi del Big Bang.
Il tutto si traduce musicalmente in una conciliazione mai così naturale ed esteticamente perfetta fra le sinewave, le field recording e i sussurri di Caria e le dilatazioni della tromba di Massa, in grado di collocarsi in un potenziale universo di mezzo fra lo Jan Garbarek di “Visible Worlds” e i Dale Cooper Quartet meno impetuosi. La polaroid spezzata di “Pity” inaugura facendo risuonare per venti minuti i suoi echi nella desolazione, seguita a ruota in ordine sparso dal gelo dronico di “Umorale” e dalla deflagrazione cacofonica della non altrettanto riuscita “Altered State”.
Altrove la luce riesce nell'intento di affiorare fra i banchi di nebbia: ne escono i languori naturalistici di “The Sacrifice”, il misto di delicate pulsioni e archi soavi di “The Journey” e il tramonto sofferente di “A Separation”.
L'uso del cuore è l'elemento distintivo di un album in grado di articolarsi su umori diversi: capita infatti anche che la foschia si diradi sino a divenire velo quasi invisibile, come nei rintocchi fluttuanti di “Screwing Of Thought”, nella trance del passaggio tribale di “Variazione”, nei synth cullanti della dolcissima title track e nel suo finale corale da pura pelle d'oca.
La voce, stavolta solitaria, è protagonista anche dell'altrettanto toccante chiusura di “SouthNorth”: dieci minuti scarsi di pura poesia, ricamata su un dialogo improbabilmente umano fra flussi stellari e tromba, a suggellare il disco più profondo ed evocativo, nonché la consacrazione di quello che è ormai uno dei protagonisti assoluti dell'elettronica contemporanea.
10/12/2013