Forti dell’onda di successi conseguente al loro secondo “Hybris” e al tour di supporto, i Fast Animals And Slow Kids di Perugia rilasciano subito un nuovo “Alaska”, imperioso ribadimento di suono ed estetica. Ciò significa che l'ormai consueta trafila di ballate esistenziali Rino Gaetano-esche strillate e pompate tradisce poco assortimento d'idee, ma il combo è astuto quanto basta nell’alternare tempi medi e tempi veloci, dinamica forte e bassa, e maggiore o minore spessore di suono.
Così, se la base è sempre l’acrobazia strumentale satura d’impeto alla Cursive (“Coperta”, “Il mare davanti”), il disco rallenta strategicamente il ritmo per dare maggiore risalto al loro nuovo wall-of-sound, cosicché escono versioni ruspanti della “Born To Run” di Bruce Springsteen (“Come reagire al presente”) o strambe riletture operistiche dei Verdena (“Con chi pensi di parlare”), ma anche capitombolando con le due autoreferenziali “Odio suonare” e “Calci in faccia”.
Le poche reali variazioni si estendono alla psichedelica ”Overture”, un’atmosfera agrodolce che inghiotte il roco mantra del cantante finché tutto non esplode in fortissimo, e al flusso di coscienza per pianoforte e distorsioni blues di “Il vincente”. I quasi 8 minuti di “Grand Final”, una maratona emo-core che si stempera in poco convincenti progressioni pseudo-sinfoniche e pseudo-corali, sono nel bene e nel male l’ultimo manifesto del no-future.
Spalle forti, la cornice (una produzione chiassosa e generosa che rimane volenti o nolenti in testa), e ventre molle, la sostanza: solito modus del flusso - di canzoni e parole - che genera un concept, costruito sulla circolarità e non su avanzamento e maturazione, carico di stucchevoli ripetizioni. S’impone ai punti come vessillo generazionale e si emancipa fino in fondo a suon di baraonde dai padrini Zen Circus. Dopo il nichilismo ascritti dei 70-80-90, arriva il nichilismo acquisiti degli anni 10, un po’ fittizio. Campione di download iTunes.
24/10/2014