Un anno bello e importante, quello appena trascorso, per i Fast Animals And Slow Kids.
Dalla pubblicazione del notevolissimo “Hýbris”, per chi scrive uno dei migliori album rock (non solo italiani) del 2013, la band ha intrapreso un tour che conta finora un’ottantina di date e ancora incendia i palchi di tutta Italia. E pare avere tutta l’intenzione di proseguire con la stessa carica.
Di crescita e cambiamenti necessari, intensità cercata e trovata ed epica della strada, abbiamo parlato con tre quarti dei FASK: Aimone Romizi (voce, chitarra), Alessandro Guercini (chitarra) e Alessio Mingoli (batteria).
Cominciamo dal principio: quando, dove e come iniziano i FASK?
Aimone: Quando: mi pare fosse il 2007, fine 2007. Non ne sono pienamente certo.
Il “dove” era sicuramente Perugia, la città in cui attualmente ancora tutti viviamo.
Il “come” è invece la parte divertente: siamo nati come rimpasto di più band su cui (a turni di due alla volta) già suonavamo insieme. Avevamo tutti ruoli diversi, il batterista era cantante, ad esempio, ed eravamo in quel tipico momento della vita di un musicista in cui cerchi nuovi stimoli: i FASK dovevano essere la band che ci sarebbe servita a uscire dalle logiche del “provare per suonare dal vivo” e rientrare in quelle del “provare per il piacere di farlo”. Ci ha detto tanta fortuna perché puntando alla seconda opzione c’è riuscita anche la prima.
Cos’era, “Cavalli”, nelle vostre intenzioni? Riascoltato oggi, a distanza di due anni, che effetto fa? Personalmente trovo sia un album molto divertente e interessante dal punto di vista compositivo, penalizzato a tratti da una produzione un po’ troppo levigata: i quattro pezzi ripresi dall’Ep “Questo E’ Un Cioccolatino” suonavano decisamente meglio là.
Aimone: Guarda, “Cavalli” poteva semplicemente riuscirci meglio.
Non dipende tanto dalla produzione, quanto dal fatto che l’abbiamo proprio suonato male. Avevamo moltissima fretta di finire, eravamo inorgogliti quanto spaventati dalle persone che stavano collaborando con noi e soprattutto non avevamo ancora abbastanza esperienza nella registrazione. Diciamo quindi che tutti questi fattori, insieme alla nostra incapacità cronica di subire lo stress, ha fatto sì che perdessimo un po’ in spontaneità e in decisione.
Forse “Questo è un cioccolatino” ti suona meglio proprio perché abbiamo avuto più tempo e più birra per realizzarlo. So che sembra stupido ma non a caso, per il secondo disco, abbiamo scelto di registrare in una casa vicino a un lago, in completa distensione psico-fisica e ne siamo usciti davvero soddisfatti.
Alessandro: “Cavalli” nelle nostre intenzioni era una sorta di “best of” dei primi anni di vita dei FASK. Non l'abbiamo pensato come un vero e proprio disco e da qui è venuta l'idea di inserire anche i pezzi contenuti nell'Ep.
Ormai live proponete solo “Lei”, e lo stacco stilistico dagli altri brani è notevolissimo. Però ci sono perle che a mio parere meriterebbero di essere recuperate; penso almeno a “Guerra” o “Mangio”, oltre a “Cioccolatino”. Che ne dite voi?
Aimone: Siamo d’accordissimo con te, solo che attualmente ci risultano difficili da inserire in scaletta. Mi spiego meglio: lo stacco fra “Cavalli” e “Hýbris”, in termini sia di suono che di arrangiamento, si sente tanto. Mettere una canzone di “Cavalli” e poi una di “Hýbris” vicine durante un concerto ci farebbe in sostanza perdere “pacca”. Cosa che non deve mai accadere, perché la “pacca” è il principio della violenza e la violenza è ciò che deve rimanere in testa a chi ci sta ascoltando.
Con “Lei” riusciamo a tener testa alle canzoni di “Hýbris” (sempre ragionando in termini di “pacca”) perché c’è da considerare il fattore del singalong con il pubblico; con le altre canzoni di “Cavalli” questo fattore mancherebbe e risulterebbe tutto più scarico.
Quindi, per concludere, l’unica soluzione per portare pezzi come “Cioccolatino” o “Guerra” in una scaletta del nostro attuale tour sarebbe quella di mettersi giù in sala prove per qualche buona settimana e riarrangiare tutto. Il problema è che ad oggi non abbiamo tempo per far nulla: stiamo già scrivendo il nuovo disco e siamo in furgone tre giorni alla settimana. Aggiungici anche le beghe della vita “reale” ed il gioco è fatto.
Alessandro: Per un breve periodo, durante il tour di “Hýbris”, abbiamo inserito in scaletta “Organi”, ma la reazione della gente è stata talmente tiepida che abbiamo deciso di non suonarla più. Sentivamo proprio il distacco con gli altri pezzi di "Hýbris" presenti in scaletta, probabilmente per quella questione della pacca di cui parlava Aimone.
Alessio: spesso quando abbiamo la possibilità di fare una scaletta completa facciamo anche “Copernico”, che a mio avviso è un pezzo che, in un concerto tirato di un’ora, ci sta a pennello. Per il resto penso che il “problema” sia che avere all’attivo solo due dischi tra di loro così diversi crei uno stacco piuttosto netto tra le canzoni dell’uno e dell’altro. Tranne per le eccezioni “Lei” e “Copernico” sembrerebbe quasi di assistere a due concerti diversi. Magari col tempo quando avremo più dischi all’attivo potremo proporre una scaletta più eterogenea pescando da tutti i precedenti album.
Come sono cambiati i vostri ascolti tra “Cavalli” e “Hýbris”? Perché ricordo che a gennaio avete pubblicato sulla vostra pagina una lista di brani che vi avevano influenzati durante la stesura del secondo disco. Per citarne solo alcuni: "Celebrated Summer", "Bastards Of Young", “Wake Up”, “Vixi”, “Queen Of Hearts”, “Born To Run”, “No Future Part Three”. Cosa cercavate con “Hýbris”? E l’avete trovato?
Aimone: In realtà non è che sono così cambiati: credo che ci piacciano sempre le stesse cose, intendendo dire che i filtri con cui giudichiamo la musica che ascoltiamo sono gli stessi di qualche anno fa. Diciamo che forse ciò che è veramente cambiato è solo la quantità di musica ascoltata. Abbiamo ascoltato di più, abbiamo trovato più oro da rubare all’enorme miniera che è il mondo della musica. Quest’oro è stato proprio catalogato nella lista che hai citato qua sopra.
Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, ecco, in “Hýbris” cercavamo una sintesi di ciò che ci piaceva realmente, quasi un riassunto delle emozioni che ci trasmettevano le canzoni della lista che hai citato.
Volevamo inoltre far sì che non uscissimo delusi di come avevamo suonato, di come avevamo interpretato i pezzi. Volevamo un disco epico, con nuove timbriche che potevamo solo immaginare e non suonare, e volevamo un disco triste ma al tempo stesso speranzoso, che invitasse le persone a crederci anche quando la merda ti sovrasta e tu non sai se respirare o mangiare. Non posso garantire per gli altri, ma, almeno a noi 5 FASK, “Hýbris” ci fa attualmente pensare a tutta questa roba e quindi, per risponderti: “Sì, abbiamo trovato ciò che cercavamo, siamo orgogliosi”.
E com’è cambiato (se è cambiato), invece, l’approccio al “fare musica”? Con "Hýbris" sembrate voler marcare una distanza: dai testi e dall’artwork “divertiti a colorarci come vuoi, siamo dei cavalli davvero simpatici” di “Cavalli” (applausi, tra l’altro) al messaggio “our band could be your life” dei nuovi brani. Avete deciso di svelarvi poco alla volta?
Aimone: C’è stato uno stacco netto derivato, purtroppo, anche da momenti brutti del vecchio tour di “Cavalli”. Mettiamola così: la linea della “cazzonaggine” è troppo sottile per poterci correre sopra senza far passi falsi. Devi essere molto bravo per poter gestire musica “ironica” e noi in realtà non ne siamo all’altezza.
Il punto è che abbiamo sempre voluto far musica con lo spirito dello “star bene e divertirci”, ma mai con l’idea del “guardaci come ti facciamo ridere”; avremmo voluto essere più ironici, ma di fronte a un completo disastro comunicativo nel quale la gente iniziava a prenderci come la “band dei deficienti” e non ascoltava davvero il testo, abbiamo deciso che era il caso di spiegare esplicitamente cosa volevamo dire o comunque come vedevamo le cose.
Dal punto di vista musicale c’è poi un abisso più che un approccio diverso. Ci siamo messi giù, suonando tanto e sudando ancora di più in sala prove. Abbiamo ora capito che c’è un livello di professionalità musicale che si guadagna solo dopo mille volte che suoni una canzone.
Il vostro sound è diventato molto più “corale”, ma è indubbio che uno dei grandi pregi dell’album sia il suono delle chitarre di Alessandro, che occupano sempre il centro della scena insieme ai testi di Aimone, semplici ed efficaci. Come sono nati i pezzi?
Aimone: In due modalità, che poi sono le stesse con cui i pezzi nascono anche adesso:
- Alessandro porta un pezzo in sala prove, lo riarrangiamo tutti insieme, lo suoniamo, io ci canticchio qualcosa sopra per farmi un’idea di linea vocale, registriamo e poi formo il testo di notte. Notte fonda.
- Io porto un pezzo in sala prove, stessa trafila di prima ma senza il testo di notte, perché probabilmente in questo caso la canzone si è formata proprio su un motivetto mentale che è quello che farà la voce.
Fra le due opzioni, la prima è risultata vincente per la maggior parte dei brani, anche perché diciamocelo, Alessandro è un genietto maledetto.
Alessandro: A volte registro dei pezzi su Garage Band con batterie fuori tempo e arrangiamenti improbabili, li mando ad Aimone e lui me li rimanda con l'idea per il testo la mattina dopo. Anche lui è un bravo ragazzo.
Per “Hýbris” avete messo insieme undici brani che, in tempi più attenti, ne farebbero meritatamente un classico di culto (e non è detto che non lo diventi, anzi). Tra le mie preferite “A Cosa Ci Serve”, “Canzone Per Un Abete, Parte II” e “Calce”, un brano che solo raramente viene riproposto dal vivo. Le vostre?
Aimone: Dai non è vero mai, guarda che “Calce” ultimamente l’abbiamo ripresa a suonare!
Fra l’altro viene una bomba quando tutti cantano con noi, ci dà una carica incredibile.
Per quanto riguarda la domanda: seriamente non sapremmo davvero quale scegliere. Ci piacciono tutte altrimenti non l’avremmo mai messe in questo disco. Prima di registrare c’eravamo ripromessi che se anche una sola cosa non convinceva tutti e 4 non si sarebbe mai registrata. Così è stato.
Alessio: Io una preferita ce l’ho: “Combattere per l’incertezza”.
E l’idea di chiudere il disco così com’era iniziato?
Aimone: Questa è una chicca mentale che ha proposto Alessandro e che ci ha convinto subito.
Lui è fissato su questi particolari, davvero fissato. Per dire, anche le connessioni fra le canzoni le ha pensate prima ancora che tali canzoni fossero davvero finite.
Alessandro: In verità credo che comunque sia stata opera di Jacopo. Io avevo suggerito l'idea che il disco finisse nello stesso modo in cui era iniziato sì, ma poi è stato lui a far tutto. Un'altra idea che mi era venuta in mente che poi ci ha pensato qualcun altro a realizzare (Nicola Manzan, nello specifico) era quella di lasciare i violini da soli alla fine dell'ultima traccia, un po' come nell'album “Nowhere” dei Ride.
A questo giro Jacopo si è occupato della produzione con Andrea Marmorini, però vi siete avvalsi di qualche intervento esterno: Simon Chiappelli e Nicola Cellai per i fiati su svariati brani, Davide Zolli alle percussioni su “Troia”, Nicola Manzan ai violini. Da dove arrivano le collaborazioni?
Aimone: Ogni collaborazione ha la sua storia in realtà.
Nel caso di Nicola Manzan, beh, lui è proprio un fratello, c’è poco da raccontare. L’abbiamo praticamente obbligato a fare quello che gli pareva sulle canzoni e lui, da genio incontrastato qual è, ha fatto tutto quello che sentite in “Hýbris”.
Simon e Nicola erano invece conoscenze dirette di Andrea, che li ha fatti venire a registrare. Ci siamo subito trovati bene con loro (sono venuti con noi anche in varie date del tour!) e tutte le sezioni di fiati sono state quindi rimodellate anche in base al loro gusto personale.
E’ che in realtà quest’idea di collaborazione totale nel disco ci piaceva molto: non volevamo fare i direttori d’orchestra perché, primo, sapevamo di non esserne all’altezza e, secondo, se dai fiducia alle persone, non sbagli mai.
La storia di Davide è la più assurda: conoscevamo bene i Mojomatics perché sono venuti molte volte a suonare in zona nostra e ci piacevano molto ma non c’eravamo mai parlati di persona.
Succede che Davide deve riportare un furgone ad Andrea e che tanto bene glielo riporta dove stavamo registrando noi e nel momento preciso in cui stavamo sovraincidendo parti percussive.
“Ciao, vuoi fare quello che ti pare su questa canzone qua?”
“Sì, ok”.
“Perfetto, allora mentre registri noi cuciniamo il pranzo”.
Così è andata. Una pasta in cambio di una stupenda rullata sul finale di "Troia".
Ho trovato molto interessante, al di là del free download di cui tanto si è già parlato, la condivisione di “Hýbris” su Woodworm con una licenza di copyleft Creative Commons. Com’è nata l’idea?
Aimone: Ecco, di nostro noi siamo sempre stati un po’ schivi sulla Siae. Diciamo che il suo modo di agire (e di amministrare) non ci è mai piaciuto e lo riteniamo decisamente deleterio ai fini della diffusione di musica nuova in Italia: costi dei concerti, inequità nella resa del diritto d’autore e tutte le cose che già sappiamo tutti ma di cui normalmente ce ne sbattiamo perché “oh, è così, non c’è altra soluzione”.
Parliamo di questa cosa con Woodworm che praticamente si emoziona perché non aspettava altro che una band che, sfanculando quel quantitativo minimo di euro che la Siae ti garantisce, fosse pronta a sostenere nuove forme di tutela per la pubblicazione di musica ed essere allo stesso tempo felice che questa potesse circolare gratuitamente online purché senza fini di lucro.
L’idea è quindi nata insieme all’etichetta, che dal nostro punto di vista la sta vedendo decisamente lunga e per fortuna non è di quelle “vecchio stampo”.
Sempre a proposito di web 2.0: la vostra pagina Facebook, frequentatissima, è uno scambio continuo, divertente e appassionato. Una dimensione interessante per voi che fate del contatto con i fan una questione di importanza vitale.
Aimone: Giusto oggi ci stavamo dicendo con gli altri che noi non abbiamo un pubblico, abbiamo un esercito. E’ proprio una cosa che non riusciamo a spiegare a nessuno da quanto è una bomba ma che, analizzandola seriamente, crediamo dipenda dal fatto che quelle che ci seguono su Facebook sono tutte persone che nel bene o nel male sono venute almeno una volta a un nostro concerto e che quindi conosciamo di persona. Non dico “conosciamo” così a vanvera, dico davvero. Penso di poter riconoscere almeno 100/200 persone a concerto e con molte di loro ho creato proprio un rapporto d’amicizia reale. È veramente bella come cosa.
In realtà non saprei però spiegarlo se non con esempi: ecco, spesso succede che mi offrono una birra. Di per sé il gesto non conta, perché alla fine sono a un concerto e fortunatamente la birra ce la passano come non ci fosse un domani, però la cosa che mi colpisce è che è come se stessi a casa mia, non mi fa sentire fuori luogo.
Alessio: il bello di una band come la nostra è che ci si “guadagna” la maggior parte dei contatti su internet suonando dal vivo, e ai concerti ci siamo fatti una montagna di amici. Sapere di poter contare su 1.2000 persone è sempre una bella cosa.
Sul palco siete un uragano, il live è la vostra dimensione ideale. E pure il furgone.
A questo giro siete partiti a marzo e avete collezionato un’ottantina di date. Andrete avanti carichi fino a primavera?
Aimone: Chiaro, non intendiamo fermarci prima di Aprile. Abbiamo ancora spazio per altri panini dell’autogrill.
Alessio: la nostra vera dimensione forse è proprio il furgone, ci passiamo molto più tempo che sul palco.
Vi ho visti in quattro circostanze, sempre memorabili per motivi differenti (Magnolia, Tambourine, Lio Bar, Arci Tom). Qui su OndaRock, invece, si è raccontato della vostra apertura per i Ministri all’Atlantico di Roma. Che ricordi vi portate a casa, da questo giro d’Italia?
Aimone: Grandissimo che sei venuto a quattro date! Grazie! Fra l’altro davvero ti sei preso delle date completamente diverse l’una dall’altra. Il Magnolia per esempio fu bellissimo. Tanta gente, super presa bene, che cantava fortissimo. Anche la data del Lio Bar di quest’anno la ricordiamo veramente con gioia: ci saranno state al massimo 100 persone, però tutte incazzate come api: nel giro delle prime due canzoni avevano fatto fuori le uniche due spie che avevamo davanti e avevano rovesciato quattro drink a creare una pozza infernale sul palco.
A noi queste cose un po’ violente ci piacciono, infatti ti citerei anche le ultime che abbiamo fatto come Padova allo Studio 2 o ad Arezzo al Karemaski: tutte situazioni piccole ma dove veramente senti che la gente ti passa l’energia. Quando succede questa cosa, i concerti cambiano davvero spessore.
Poi, beh, l’Alcatraz, il Filagosto Festival (i cui organizzatori sono veramente dei grandissimi), il live di Trezzo e tutte quelle date che ci sono capitate in posti giganteschi di fronte a tantissime persone. All’inizio la paura, poi il bianco. Anche quelle sono cose che difficilmente ti scordi.
Non saprei cosa riporteremmo a casa: ad oggi direi tanta soddisfazione e tanta voglia di rendere questa cosa della musica un lavoro o giù di lì.
Alessandro : Dalla data al Tambourine io personalmente ho riportato a casa una lussazione alla spalla e una bella gita al pronto soccorso, e di queste due cose forse avrei fatto volentieri a meno. E' stato comunque uno dei concerti più belli del tour.
Alessio: Questo tour è una delle cose più belle che ci siano mai capitate, vedere la gente crescere a ogni data, vederli cantare con noi tutti i pezzi, parlare con alcuni di loro che hanno fatto 1.600 km per vederti, sudare insieme, è incredibile. Sinceramente faccio fatica a indicare le date migliori perché sono troppe, ma parlando delle più recenti Tambourine, Studio 2 e Karemaski sono indelebili.
Come abbiamo detto sopra, la scaletta è la riproposizione quasi completa di "Hýbris".
A Mantova, però, avete infilato un po’ a sorpresa una cover di “Territorial Pissings” dei Nirvana, con Aimone alla batteria, Alessio alla chitarra e Jacopo alla voce. Una gran botta. Come vi è venuta in mente?
Aimone: La storia è divertente. Dovevamo andare a suonare in un festival bellissimo che si svolge a Monopoli e si chiama Dirockato. Estate piena e come headliner c’è il nostro fratellone Appino. Chiaramente siamo contenti a bestia, sia perché c’è lui, sia perché è ovvio che si farà qualcosa insieme. Questo qualcosa insieme nella fattispecie si tramuta in un pezzo suo (“Andate Tutti Affanculo” con noi che facciamo la parte strumentale), un pezzo nostro (“Calce”, con Appino alla voce) e infine una cover: "Territorial Pissings". Questo perché i Nirvana sono i Nirvana. Per tutti.
Alessio: Posso aggiungere che dopo quel giorno abbiamo continuato a suonarla, forse anche perché ci piace un sacco, è una canzone che funge da sfogo, Jacopo (Gigliotti, basso, ndr) urla al microfono come se non ci fosse un domani, Aimone suona la batteria, strumento che credo gli manchi parecchio, io mi godo la bellezza di poter cantare in faccia alla gente.
Tra l’altro c’è chi pagherebbe per sentire in concerto “Uomo Pera”, con cui avete partecipato al tributo ai grandi Laghetto.
Aimone: Eh! Penso non accadrà mai! Queste cose crediamo debbano sempre rimanere custodite nel luogo e per il luogo cui sono state reinterpretate. Anzi, mettiamola così: personalmente speriamo che siano i Laghetto a risuonarla prima o poi.
Alessandro: Io addirittura non ricordo né gli accordi né l'accordatura che avevo usato per registrarla!
In una delle rare pause di un tour infinito, ho letto che avete trovato il tempo di scrivere qualcosa di nuovo (oppure avete mentito!). Cosa dobbiamo aspettarci?
Aimone: Domani (il 10 gennaio 2014) riprenderemo a far le prove, dopo mesi e mesi.
Siamo sempre in tour ma monteremo una sala prove arrangiata con strumenti di amici proprio per poter continuare a stare dietro allo sviluppo dei nuovi pezzi. Attualmente siamo circa a 9 pezzi più o meno completi.
Sarà un disco triste e non vogliamo dire di più, anche perché non ne sappiamo di più.
Tutte le fotografie sono di Alessio Albi e riprese da qui, su segnalazione dei Fast Animals And Slow Kids.
Questo è un cioccolatino (Ep - To Lose La Track, 2010) | ||
Cavalli (Ice For Everyone, 2011) | 5,5 | |
Hýbris (Woodworm/To Lose La Track, 2013) | 6,5 | |
Alaska(Woodworm, 2014) | 7,5 | |
Forse non è la felicità (Woodworm, 2017) | 7 | |
Animali notturni (Warner, 2019) | 7,5 | |
E' già domani (Woodworm, 2021) | 7 |
Lei (da Cavalli, 2011) | |
A Cosa Ci Serve (da Hýbris , 2013) | |
Troia (da Hýbris, 2013) | |
Come reagire al presente (da Alaska, 2014) | |
Coperta (da Alaska, 2014) | |
Annabelle (da Forse non è la felicità, 2017) | |
Forse non è la felicità | |
Tenera età (da Forse non è la felicità, 2017) |
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