Il progetto Bologna Violenta in poco tempo è diventato un "nome" nel circuito indipendente nazionale. Tre album sono bastati per far sì che Nicola Manzan si ritagliasse un ruolo molto ben definito all'interno del nostro panorama musicale underground, schiudendo le porte di un successo di nicchia, nonostante la proposta si ponga come tutt'altro che commerciale. Lo abbiamo incontrato a margine di un concerto tenuto presso il Circolo Hemingway di Latina mercoledì 14 marzo 2012.
Una serata ad alto contenuto di elettricità, aperta dal garage noise dei Sexy Cool Audio e dalle digressioni post-rock dei Gaimer 422. Manzan ha scaricato sul pubblico quasi un'ora di violenza inaudita, incentrata su terrificanti riff grind metal adagiati su basi preregistrate ad hoc. Uno spettacolo scioccante e coinvolgente, in grado di far risaltare tutte le qualità del polistrumentista trevigiano, il quale non disdegna di imbracciare il violino o lanciare dal palco urla disperate.
Mentre sulle foto promozionali Nicola prende le sembianze di un essere quasi immondo, incontrato di persona si dimostra persona squisitamente affabile, di grande simpatia, e persino un bel ragazzo. Del resto (gli facciamo notare) se suoni con i Baustelle (come a lui è accaduto in passato) devi per forza essere bello (ed ha riconosciuto il nostro grande humour, ridendo non poco su questa battuta derivata dall'incondizionato apprezzamento per l'algida figura di Rachele Bastreghi, ma tutto sommato anche per la forte presenza scenica di Francesco Bianconi). Alla fine del set, Nicola si è amabilmente trattenuto con noi, ripercorrendo l'intera propria parabola artistica, soffermandosi in particolare sulle svariate collaborazioni realizzate negli anni, sull'organizzazione del lavoro che ha condotto alla produzione dei suoi tre dischi e su interessanti aspetti squisitamente personali.
La chiacchierata inizia mentre al banchetto smercia il merchandising insieme all'indaffaratissima compagna Nunzia, e notiamo il grande successo riscosso dai suoi vinili, che con cd-r allegato vengono proposti al modico prezzo di dieci euro: restiamo non poco sorpresi.
Nicola, ma ci guadagni qualcosa a vendere 33 giri in vinile con cd-r allegato a soli dieci euro? Con quella cifra di solito non ci si acquista neppure il cd da solo!
Beh, fra una cosa e l'altra un vinile riesco a pagarlo poco più di cinque euro, e vendendolo a dieci euro ne distribuisco molti di più che se li mettessi a quindici o a venti. Preferisco venderne una maggiore quantità a un minor prezzo. A me interessa la circolazione del mio materiale, il guadagno resta comunque un aspetto secondario. Una sera a Roma li ho messi a venti euro, non ne ho venduto neanche uno.
Che dici? Partiamo dalla tua formazione musicale?
Ho iniziato a suonare verso i cinque anni perché mio fratello maggiore suonava, e scattò lo spirito di emulazione, poi lui smise molto presto mentre io ho continuato. A cinque anni già facevo andare il giradischi a casa, ti ricordi che andavano a cinghia? (annuiamo, ndr) Mio padre aveva una collezione di dischi di musica classica, di quelli delle collane tipo Armando Curcio Editore, quelli da edicola, ed aveva qualcosa dei cantautori italiani, tipo De Gregori e De André. Intorno agli otto anni iniziai a suonare il violino, e fu un impegno anche per la famiglia, per via delle lezioni e dell'acquisto dell'attrezzatura necessaria. La mia è stata una formazione molto classica fino ai quattordici anni, anche molto rigida, poi ho cominciato ad ascoltare altre cose.
A quell'età vidi un concerto dei Litfiba in un palazzetto dello sport, e rimasi affascinato. Non perché erano i Litfiba, che non seguo particolarmente, ma perché vidi questo baraccone gigante, le luci, gli amplificatori, le chitarre elettriche, e mi son detto "voglio fare questo nella vita". Da lì ho capito che desideravo fare rock'n'roll: questo evento sancì idealmente il passaggio dalla musica classica alla musica rock.
Ma il tuo rapporto con la musica classica non si chiuse lì.
Assolutamente no, in realtà per altri buoni quindici anni ho continuato anche con la musica classica. Fino al 2004 ho fatto orchestra, insegnavo violino in una scuola di musica, avevo un quartetto d'archi, ho persino un cd dove suonavo il primo violino dell'orchestra, con tanto di soli. Dai 14-15 anni ho iniziato però ad ascoltare il metal, che però è un genere che ti stanca subito, ed io avevo voglia di qualcosa che fosse più forte, sempre più forte, quindi in pochi mesi sono arrivato al grind, che rappresentava esattamente l'opposto di ciò che facevo nella musica classica.
I dischi autoprodotti grind vengono bollati con le due crome sbarrate, con il segnale di divieto, come dire "questa è la non musica", in contrapposizione agli insegnamenti accademici che formerebbero alla "musica" e considerano rumore tutto il resto. Due mondi così lontani, che iniziarono a convivere nella mia musica, e oggi sono qua, con il materiale che hai ascoltato questa sera e che puoi trovare nelle mie produzioni.
Hai collaborato con tantissimi artisti, facci una carrellata in ordine più o meno cronologico.
Meno male che non mi hai chiesto in ordine di vendite, perché non avrei saputo risponderti! Uno dei primi lavori che ho realizzato e che mi hanno profondamente segnato fu il primo disco solista di Paolo Benvegnù, "Piccoli fragilissimi film". Avevo conosciuto Paolo perché feci un lavoro in studio per un artista che stava producendo, mi disse che mi avrebbe richiamato quando ne avrebbe avuto bisogno, ma pensai si trattasse della solita frase di rito. Invece mi chiamò in occasione dell'ultimo concerto degli Scisma, a Firenze, in qualità di violinista, e feci quattro-cinque pezzi, poi mi chiamò per il suo disco d'esordio, e quello fu un primo tassello importante per il mio percorso artistico successivo.
Da lì son scaturiti altri contatti, fra i più importanti ci tengo a segnalare il mio contributo su "Bachelite" degli Offlaga Disco Pax e il lavoro portato avanti negli anni con Alessandro Grazian, un cantautore di Padova con cui ho fatto tre dischi. Poi sono stato su tutti i dischi dei bellunesi Non Voglio che Clara, con loro ho fatto anche un tour di una quindicina di date con un quartetto d'archi.
Poi i Baustelle, sui quali scherzavamo prima...
Ho fatto un tour molto importante con i Baustelle nel 2008, era il tour di "Amen", un disco bellissimo che ritengo una sorta di enciclopedia della musica italiana. Ero stato preso in qualità di polistrumentista, suonavo quattro strumenti, inoltre facevo i cori, avevo molte responsabilità in una produzione molto importante. Con i Baustelle ho partecipato anche alla colonna sonora di "Giulia non esce la sera", ed ho dato una mano per le trascrizioni degli arrangiamenti di archi de "I mistici dell'occidente". Poi nel 2009 ho fatto la fame (ride di cuore, ndr), e nel 2010 sono andato in tour con Il Teatro degli Orrori come chitarrista/violinista/ tastierista/corista, subentrai a Favero che era appena andato via.
Trovo delle affinità fra te ed Enrico Gabrielli: entrambi polistrumentisti, entrambi con un dedalo di collaborazioni all'attivo, entrambi con progetti che sanno di poliziottesco, tu per via del nome e lui per via del materiale trattato con i Calibro 35. Ovviamente le proposte musicali sono molto diverse...
Hai fatto centro pieno, io però ho iniziato prima (ride sorseggiando una birra, ndr). Ricordo un MEI nel 2007 a Faenza dove incontrai Fabio Rondanini, il batterista dei Calibro 35 che conosco da una vita, gli diedi il mio primo cd-r e lui mi disse che gli sembrava una cosa fighissima; mi anticipò che aveva un progetto sul poliziottesco che stava per decollare: di lì a poco sarebbero diventati i Calibro 35. Con Enrico Gabrielli siamo amici e colleghi. Lui fa più il versante fiati/tastiere, io suono più sulle corde, la cosa buffa è che collaboriamo spesso agli stessi dischi ma magari non ci incrociamo mai.
A proposito di Baustelle, siamo stati entrambi ne "I mistici dell'occidente", io ho arrangiato alcune parti che poi lui ha suonato, siamo entrambi anche nel nuovo disco dei Ronin, tanto per fare un altro esempio, ma l'inizio mi pare che fu proprio in quel disco di Benvegnù, "Piccoli fragilissimi film". Enrico ed io siamo affini, ed ho scoperto che abbiamo fatto anche un percorso a tratti simile, abbiamo frequentato alcuni corsi di perfezionamento in comune, magari ad un anno di distanza. Siamo entrambi musicisti che conoscono la musica e trattano la musica conoscendola.
Come nasce il progetto Bologna Violenta?
Ad un certo punto la vita va di merda, niente più ti sorride, mi ero stancato di suonare con le band, nel 2004 ero andato a vivere a Bologna (è nato in Veneto, nella zona fra Treviso e Conegliano, ndr) inseguendo un sogno.
Avevo un gruppo con il quale lavorammo per due anni ad un disco che cercammo di far uscire per una major, poi la major puntò sugli Sugar Free, vestendoli anche uguali a noi. Da un giorno all'altro mi ritrovai senza soldi, senza voglia di suonare, il produttore ci scaricò, quindi mi son dovuto trovare un lavoro, mi son dovuto rimettere in gioco a livello personale. Facevo un lavoro che non c'entrava nulla con la musica, ma era un part-time che mi lasciava tempo da dedicare ai miei hobby; facendo dei turni dalle 5 alle 9 di mattina, dalle 9,30 potevo mettermi dentro uno studio avendo ancora tutta la giornata a disposizione. Iniziai a fare questi pezzi grind, perché avevo in testa di fare un gruppo grind, qualcosa vicina ai Napalm Death, che sono uno dei miei gruppi preferiti. Per la prima volta mi misi a costruire da solo.
Tutti pezzi cortissimi...
Arrivato al sesto pezzo, osservandoli sul player mi resi conto che erano tutti lunghi 26 secondi, quindi decisi di farne 26 da 26 secondi, e così ho fatto, durante un'estate / autunno in studio di registrazione, pensando che sarebbe stata la fine della mia carriera. Quello fu il mio primo disco autoprodotto: "Bologna Violenta". Iniziai a far circolare questi cd-r, poi mi ritrovai in tour con i Non Voglio che Clara.
Una sera a Roma con i Non Voglio che Clara abbiamo aperto per Offlaga Disco Pax + Baustelle. Mi chiesero di fare l'apertura per il tour degli Offlaga, e con loro feci il mio primo live di supporto. E funzionò. "Bologna Violenta" doveva essere il titolo del mio primo disco, poi invece notai quanto rappresentava bene la mia vita a Bologna, e diventò la mia ragione sociale. Un'operazione, almeno nella prima fase, fortemente ispirata dai poliziotteschi, anche se non riprendo il discorso filologico dei Calibro 35. Io selezionavo con cura i titoli, magari mi guardavo il film, e poi ci facevo un pezzo sopra, senza rifare le colonne sonore.
Bologna Violenta in futuro potrebbe identificare una situazione allargata ad altri musicisti, oppure lo vedi come un progetto solista e basta?
Alla base la vedo come me solista, un progetto che seguiamo personalmente io e la mia compagna, evitando di delegare a strutture esterne tutto ciò che riusciamo a fare "in casa". Inutile pagare un'agenzia di stampa o di booking, se da noi, attraverso contatti consolidati negli anni, riusciamo a fare le stesse cose. Bologna Violenta è un'autoproduzione al 100 %: ho fatto finora oltre duecento concerti organizzati da me ed ho realizzato tutti i miei dischi da solo.
Anche se è pur vero che negli ultimi due anni le cose sono parzialmente cambiate: con "Il nuovissimo mondo" ho trovato un'etichetta, Bar La Muerte, ed un'agenzia che ha cominciato a darmi una mano per i concerti, perché da solo non ce la potevo fare. Il nuovo album "Utopie e piccole soddisfazioni" vede anche l'appoggio della Wallace Records.
Bar La Muerte e Wallace Records: cosa potrei chiedere di più?
Per concludere il concetto, mi piace pensare che Bologna Violenta possa essere un progetto concettualmente mio, dove io possa decidere tutto, senza compromessi: devo fare una cosa che piaccia a me, che rappresenti una cosa mia personale. Ciò non toglie che mi piacerebbe avere una band, con il coro, l'orchestra e tutto quanto, però siamo nel 2012, il Governo Monti, le tasse, i sacrifici, i problemi, non ce la si può fare, capito?
Come si svolge il tuo processo compositivo? Con il tempo si è modificato?
Nei primi due album avevo delle regole rigidissime: prima preparavo le batterie, poi trovavo qualcosa da farci sopra con le chitarre, poi gli abbellimenti. Partivo sempre con la batteria, con dei campioni che mettevo in griglia, cercando di fare una ritmica che fosse soddisfacente già così, da sola, poi inserivo dei riff di chitarra, e di seguito in sequenza aggiungevo il basso, il synth, il piano elettrico, gli archi e tutte le eventuali sovrastrutture del caso. In "Utopie e piccole soddisfazioni" qualcosa è cambiato: mi son trovato anche a fare batteria, archi, basso e chitarre. In alcuni pezzi le chitarre sono arrivate soltanto alla fine.
Ne "Il nuovissimo mondo" ci sono tanti universi che convergono: teatralità, cyber punk, hardcore, arrangiamenti curati, elettronica, death metal, jungle e persino la chanson tradizionale.
E' un po' la sintesi della mia vita. Prendi ad esempio "Trapianti giapponesi": è un pezzo che è nato da mesi di ascolti di Franco Califano. Rifacevo i suoi pezzi al piano elettrico, io ho dei grossi problemi coi testi, alla quarta parola già non so più cosa stai dicendo, perché sto ascoltando la musica, però ho trovato delle cose interessanti da rifare sulla tastiera in quelle canzoni di Califano.
I miei brani rappresentano molto ciò che sono io, in un giorno ascolto davvero qualsiasi tipo di musica. Su "Trapianti giapponesi" c'è questa cosa di andar su e giù di un tono, modalità che ho assimilato quando suonavo con Alessandro Grazian, e facevamo dei pezzi di Tenco che hanno questi cambi che vanno su di un tono, molto sanremese come costruzione, quindi volevo provare un approccio di questo tipo. Prima dell'ultimo album mi sono dedicato per sei mesi ad ascolti casuali, passando in rassegna centinaia e centinaia di dischi, poi prendevo le cose che mi piacevano, magari pensando "cazzo, devo mettere anche io una roba così in un pezzo!". Ascolti centinaia di dischi ed alla fine parecchi input ti rimangono in testa, input che cerco di elaborare senza calcare la mano, senza forzare, lasciando fluire tutto in maniera naturale.
Ed arriviamo alle ottime recensioni raccolte da "Il nuovissimo mondo". Bologna Violenta diventa rapidamente un "nome", una sorta di piccolo culto nel circuito underground nazionale. Te lo aspettavi?
No, non me lo aspettavo. Pensavo che quel disco sarebbe stato l'epitaffio della mia carriera musicale. Appena terminato, quando lo facevo ascoltare in giro mi dicevano "Ma cos'è 'sta merda?". Gli amici sostenevano che avrei dovuto cercare di fare cose più pop, mi dicevano che sarei tornato a fare marchette con la musica classica oppure a lavorare in un autogrill. Inizialmente pensavo di fare cento copie su cd-r e finire lì. Alla fine ho fatto più di tremila copie del primo album, duemila copie del secondo, ora siamo ad una prima tiratura di mille copie del terzo, che stiamo vendendo molto bene.
Non me l'aspettavo, anche se ci speravo per via della spontaneità della proposta: questo sono io.
Com'è cambiata la tua giornata tipo?
La cosa bella è che ora riesco a dedicarmi 24 ore al giorno alla musica, ma soprattutto ad un progetto mio. Mentre le registrazioni de "Il nuovissimo mondo" sono durate anni, e sono state realizzate nei posti più disparati, il nuovo album è stato realizzato in quattro-cinque mesi, a casa mia, tanto per dire che oggi sto dedicando la mia vita al sogno della mia vita. Io sono Bologna Violenta 24 ore al giorno.
Vivi ancora a Bologna?
No, ci siamo trasferiti a Treviso, per questioni fondamentalmente economiche. Diciamo che sono ritornato verso casa.
"Utopie e piccole soddisfazioni" è anche un raccoglitore dei risultati di interessanti operazioni archeologiche: dentro ci troviamo canti gregoriani e un discorso di Saragat del 1967.
C'è anche un pezzo di Prokofiev. A me piace ripescare nel passato, mi piace far archeologia, mi stuzzica non poco andare a prendere certe cose dimenticate, ad esempio il discorso di Saragat l'ho trovato in un 45 giri uscito con L'Espresso. Saragat era illuso che l'Italia potesse diventare chissà cosa, invece oggi ci ritroviamo ad essere l'opposto. La fiducia riposta nel politico? E' pazzesco riascoltare certe frasi oggi.
Nel tuo nuovo album troviamo più musica colta e meno riferimenti al mondo cinematografico.
Ho passato mesi in cui si facevano scommesse sui prossimi film che Bologna Violenta avrebbe riesumato per l'album successivo. Invece questa volta ho messo sul piatto il mio background musicale e non quello cinematografico.
Riesci a vivere della tua arte?
Sopravvivo. Io e Nunzia abbiamo imparato ad eliminare tutto il superfluo della vita, televisione compresa, e tutto quello che guadagniamo con i concerti o attraverso le vendite dei dischi lo reinvestiamo. E tutto sommato stando in giro in tour visitiamo anche dei posti straordinari, che magari non avremmo mai visto se avessimo scelto di fare un altro tipo di attività. Se vuoi è una situazione anche invidiabile, sotto certi aspetti.
Chiaro che facciamo tutto in piccolo, è tutto piccolissimo, ma del resto anche Prince oggi, con le modeste vendite che si sviluppano in questa epoca, non sarebbe mai diventato così straordinariamente grande.
Qual è la collaborazione di cui vai più orgoglioso?
Come soddisfazione personale forse quella con Ligabue, per quanto io non l'abbia mai incontrato di persona durante le session di registrazione. Ho partecipato come violinista a due dei tre inediti contenuti in "Secondo tempo", il secondo volume della sua raccolta di successi, pubblicato nel 2008. I brani erano "Il mio pensiero", che venne pubblicato anche come singolo, e "Ho ancora la forza", che Ligabue scrisse insieme a Francesco Guccini. Arrivai in studio che mi sembrava di andare dal medico, di stare in una sala d'aspetto: una situazione un po' asettica. Ma son quelle cose che ti permettono di essere riconosciuto come musicista, non tanto dai colleghi, quanto dalla famiglia o dagli amici meno attenti. Pensa che mio padre fece persino degli atti di bullismo al supermercato con il tizio della macelleria mentre dalla radio usciva "Il mio pensiero" con me che ci suonavo.
I nomi irraggiungibili con i quali ti piacerebbe collaborare?
Nine Inch Nails e Trent Reznor, oppure Mike Patton, magari con i Fantomas. E, tanto per spararla grossa, fare il polistrumentista per i Radiohead. Questa sì che sarebbe una gran figata!
Una collaborazione che non rifaresti?
Beh, ce ne sono, magari alcune non sono neanche mai state pubblicate. Ho avuto anche esperienze traumatiche in studio, quando avevo meno esperienza, e far uscire un disco con me sopra era importante, poteva rappresentare un trampolino di lancio. Una volta mi capitò di arrangiare tre tracce per una cantante di cui non voglio fare il nome. Me li contestarono in maniera sconsiderata. Sono piccoli avvenimenti che ti insegnano a stare in studio, a prendere le distanze da determinate persone, a non essere amico di tutti.
I nomi che stimi di più della scena indipendente nazionale contemporanea?
Mi piace tantissimo il nuovo album degli Offlaga Disco Pax, "Gioco di società": lo sto consumando. Gli Offlaga sono l'anello che mancava dalla fine dei Cccp e dei Massimo Volume, che poi son tornati alla grande con "Cattive abitudini". Sono stato anche in tour con Vittoria Burattini (batterista e membro fondatore dei Massimo Volume, ndr) quando suonava con i Franklin Delano. All'epoca non conoscevo bene il percorso dei Massimo Volume, quindi è stato bello conoscere una persona, affezionarmi, poi scoprire quello che aveva fatto in passato con questa band meravigliosa, ed alla fine dargli il doppio del valore.
Poi mi piacciono molto i Zen Circus, li trovo spontanei. Tra i giovani voglio citare almeno i Fast Animals, perugini, il cantante Aimone Romizi canta nel mio disco, si divertono e suonano bene. Ci son tante cose buone che stanno uscendo in Italia recentemente.
Progetti futuri?
Anzi tutto fare più date possibili dal vivo in questo tour. Poi ho tante cose in ballo, tanto per dirtene una si stanno aprendo dei canali che dovrebbero consentirmi di fare delle date live all'estero: mi piacerebbe molto esportare il mio progetto. Credo che possa piacere, perché ha una radice italiota, ma dentro c'è qualcosa in più rispetto a quello che lo straniero medio di solito si aspetta da un prodotto italiano.
Mi piacerebbe anche fare un disco con chitarra e batteria, e basta, magari un sette pollici con quattro pezzi hardcore grind, io e un batterista. Ho ricevuto anche richieste per realizzare delle colonne sonore, un mondo che del resto ho già affrontato in passato, in questo caso sarebbe del materiale che uscirebbe a nome Nicola Manzan. Ma il principale progetto futuro è quello di fare il musicista nella vita.