Offlaga Disco Pax - Socialismo in formato digipack

Il 2012 si sta caratterizzando per il ritorno discografico di importanti band della scena indie italiana, di quella che riesce a raccogliere parecchio pubblico ai concerti e che fa parlare di sé con le sue pubblicazioni.
I reggiani Offlaga Disco Pax sono probabilmente uno dei gruppi che più ha suscitato attenzione, interesse e plauso negli anni più recenti. Questo è il merito di un riuscito intreccio tra i racconti recitati di Max Collini, sempre molto intelligenti, arguti e che sanno comunicare direttamente alle orecchie e alla mente di ognuno episodi di vita e di società, e le musiche ricercate ma mai ostiche di Enrico Fontanelli e Daniele Carretti.
Ora il trio sta promouovendo live il suo nuovo album "Gioco di società", un ulteriore mix di ricordi d'infanzia, storie ultras, sport che diventa politica, attualità che vuole stravolgere la sua storia passata più importante e bella, amore e i suoi tormenti.
Il disco è inoltre un'autoproduzione, una scelta voluta dagli stessi Offlaga che è una sfida ulteriore per una formazione dalla quale il pubblico si attende sempre tanto a livello di emozioni.


Traendo spunto dal titolo, il "Gioco di società" che significato ha per voi?
Max Collini
: Il titolo viene da una intuizione di Enrico, mi è piaciuto fin dall'inizio, si presta a molte letture e può essere interpretato in varie forme a seconda del contesto, credo esprima molto bene lo spirito del disco e il suo contenuto.
Enrico Fontanelli: L'idea nasce partendo dalla riscoperta di "Corteo", un gioco da tavolo risalente agli anni 70 che metteva in scena una manifestazione condivisa da varie entità della sinistra extraparlamentare. Il tutto si svolge su di un tabellone raffigurante una città immaginaria, con tanto di toponomastica improbabile ("Largo alle tangenti", per citarne una). Di sicuro fa un certo effetto, per chi come me ha vissuto Genova 2001 in prima persona. L'idea di controraffigurare la nostra città sulla copertina del disco è venuta come spontanea di conseguenza ai testi di Max, nei quali Reggio Emilia diventa quasi protagonista. Il passaggio da "Corteo" al più semplice "Gioco di Società" mi è scattato di nuovo pensando ai testi, poi al pensiero che quel tabellone, la nostra città, ha bisogno di una scossa che la riporti in vita, sia nel sociale comune sia nella vita politica. Il gioco si ripresenta poi per la terza volta in tre album, là dove nel primo erano prove tecniche di trasmissione di un infante alle prese con un sintetizzatore, nel secondo i regoli, primo passo di ingresso nel mondo degli adulti in cui il gioco ti aiuta a fare i conti con il circostante. Un gioco da tavolo non è propriamente invitante all'uscire, ma forse è proprio per questo che non ci sono regole o indicazioni precise all'interno. E' una rappresentazione del reale che spinge allo stesso, piuttosto che al soffermarcisi.

I testi marcano in maniera profonda soprattutto il periodo dell'infanzia, pre-adolescenza. C'è da parte di Max in qualche modo nostalgia per quei tempi?
Max Collini:
Non so se lo facciano in maniera profonda, ma certamente ripercorrono un periodo diverso dal presente. Tuttavia nel disco ci sono anche molti contenuti riferiti a un passato molto più prossimo e spesso convivono diverse epoche nello stesso brano. Io credo di parlare sempre del mondo di oggi, magari per sottrazione, indirettamente. Il passato è un termine di paragone, un pretesto, un riferimento per misurare il qui e adesso.

L'ultima traccia "A pagare e morire", invece, narra vicende personali e lavorative più attuali. Questo episodio forse descrive al meglio ciò che è l'attuale società ossia violenta, repressa, spaventata e che spesso porta a tradire i valori in cui si è sempre creduto pur di sopravvivere. Come artisti e lavoratori intravedete soluzioni e/o speranze nel futuro?
Enrico Fontanelli:
Triste dirlo ma fa parte del mio Dna da sempre. Non faccio progetti. Un passo alla volta. Prediligo le situazioni in divenire, il che non fa certamente di me un baluardo della flessibilità. Ma uno dei motivi per cui non sopporto le dinamiche del mondo del lavoro sono le cose di cui parli, la competizione e la sete di carriera in contrasto con la mia idea di cooperazione atta a un risultato di benessere comune, dove il tuo coincide col mio.
Max Collini: Io non credo di avere tradito alcun valore per poter sopravvivere, infatti non sono diventato né ricco né vagamente benestante, nonostante la professione in apparenza borghese. Come dico in "Sequoia", le nostre generazioni non sono state toccate da guerra e miseria, ma non sono così sicuro che sarà così per le prossime. Non è molto ottimistico, lo so.

Il disco è meno immediato a livello di suoni. Avete utilizzato tastiere analogiche, strumenti giocattolo, piano. Si ha l'impressione che l'album, a livello musicale, richieda più ascolti attenti per coglierne essenza e sfumature. Le musiche sono state meditate proprio per questo tipo di approccio?
Enrico Fontanelli:
 Lo strumento è sempre un giocattolo per quanto mi riguarda, in quanto forma espressiva, di comunicazione, via di fuga. Ma se per giocattolo intendi cheap, la strumentazione che mi riguarda è composta da sintetizzatori, quelli che mi accompagnano dal vivo, più qualche altro per curare gli arrangiamenti. Non sono sicuro che questo disco sia meno immediato degli altri, me lo sono domandato se non altro per via della compattezza di un suono che non lascia spazio a preferenze, prendere o lasciare, là dove per esempio "Bachelite" tendeva a mio parere a una enciclopedicità di fondo. Non c'è grande meditazione sulle musiche che non sia stata decidere a monte cosa suonare, scelta che si riflette sulla riproducibilità delle tracce una volta sul palco. Si è di nuovo scelto e con ancora più fermezza che il computer non avesse a che fare con l'esecuzione live. Poi tanta spontaneità studiata, se possono coesistere.
Daniele Carretti: Nessuno strumento giocattolo usato, abbiamo abbandonato anche le tastiere Casio in questo disco, tutto suonato con strumenti analogici. Per come ho vissuto io l'approccio alle musiche, non c'era nessuna intenzione di complicare l'ascolto e renderlo più o meno immediato. E' stato composto e registrato in un breve periodo di tempo, per i nostri standard, e le registrazioni sono avvenute per la maggior parte live con pochissime sovraincisioni. Per quando riguarda le sfumature e il maggior numero di ascolti, credo che tutti e tre i nostri album abbiamo bisogno di attenzione e ascolti per cogliere al meglio tutti i suoni presenti e gli arrangiamenti. Dal mio punto di vista "Gioco di Società" è molto più diretto e più "leggero" di "Bachelite", che aveva una produzione e suoni molto più complessi e da "ascoltare".
Max Collini: Non ricordo strumenti giocattolo utilizzati in studio, ma forse dormivo sul divano del Bunker e non me ne sono accorto...

Questo è il vostro primo album a uscire con la sigla discografica ODP. Insomma un'autoproduzione. Per voi questa è stata una scelta obbligata oppure un qualcosa di fortemente voluto?
Daniele Carretti
: Credo che la strada dell'autoproduzione sia in questo momento molto più interessante e lasci molti più spazi di di movimento. Nessuna costrizione e nessun motivo particolare comunque dietro a questo, semplicemente è capitata l'occasione giusta per fare le cose interamente a modo nostro e senza passare attraverso esterni, non che prima comunque nessuno ci obbligasse a nulla di particolare e con Audioglobe abbiamo sempre avuto un ottimo rapporto. Questo comunque ci porta ad avere anche maggiore consapevolezza e controllo su quello che stiamo facendo e sul come lo stiamo facendo.
Max Collini: Nessuna scelta obbligata, potevamo restare con Santeria, con cui abbiamo avuto un rapporto positivo in questi anni. Al terzo giro abbiamo semplicemente preso atto di avere costruito nel tempo una sempre più forte autonomia artistica e gestionale del progetto, delegando via via meno all'esterno. L'esperienza del "Prototipo Ep" nel 2010 è stata significativa e molto ben riuscita e abbiamo deciso di continuare per quella strada, lasciando a Venus la sola licenza di stampa e distribuzione del cd, mentre il vinile lo abbiamo seguito noi dall'inizio alla fine, impacchettamento compreso. Abbiamo forse un po' più di beghe burocratiche e amministrative, ma non è che prima fosse poi così diverso. Se non altro se le cose andranno male sapremo già con chi dovremo prendercela...
Enrico Fontanelli: Continuo ad avere un forte legame con l'idea di label intesa come filtro, ma per come stanno le cose oggi nel mondo della musica potere unire una totale libertà artistico progettuale a un minimo di disponibilità economica che ci permetta di lavorare in pace è di certo la soluzione migliore. Indipendenti lo siamo sempre stati, ma quella è una forma mentis, prima di tutto.

"Parlo da solo" è un brano introspettivo per una storia d'amore terminata. In verità poi qui si fa il contrario perché queste riflessioni diventano dominio pubblico essendo inserite nella canzone. Quando Max scrive, dopo tutti i riconoscimenti ottenuti, prova la sensazione o consapevolezza che ormai tutto non è più un affare privato? Influisce sulla spontaneità?
Max Collini
: La mia scrittura nel tempo è diventata più dimessa, ma non saprei dire esattamente perché. In altri periodi "Parlo da solo" forse avrebbe avuto un testo meno ermetico, più diretto. Amo molto questa canzone, ha un ruolo decisamente terapeutico per un dolore che mi ha segnato profondamente. Provo cose molto negative e da quella relazione sono uscito traumatizzato e alla mia età non è certo onorevolissimo. Spero che questo brano mi aiuti a superare definitivamente il risentimento in cui sono affogato per troppo tempo.
Credo sia una risposta abbastanza spontanea.

La Reggiana entra talvolta nei vostri brani, soprattutto sotto l'aspetto della sua tifoseria. Quale è la vostra opinione sul mondo ultras?
Max Collini
: Sono molto incuriosito da un certo tipo di mondo ultras, ma non da alcune derive violente o parafasciste che invece mi spaventano assai. Goliardia, tifo smodato ed estremismo campanilista a prescindere mi affascinano, ma da lontano, lo ammetto. Se vado allo stadio Giglio a vedere la Reggiana, infatti, è più facile trovarmi in tribuna. E penso che Giuseppe Alessi sia un dio del calcio: che ci frega di Leo Messi, noi abbiamo Beppe Alessi! Forza Règia!
Enrico Fontanelli: Da bambino ho potuto ammirare pur in lontananza la curva della mia squadra del cuore in varie occasioni, forse la curva più importante tra quelle di A, quanto meno per il mondo ultras, visto che la Fossa dei Leoni è il primo gruppo organizzato che si conosca in Italia. Era un mondo che allora viveva di contrasti come oggi, ma trovo che all'epoca fotografasse più integralmente lo stato sociale di quanto non possa permettersi ora. Adesso certo entusiasmo è andato perduto, il mio riferimento in tal senso rimane quello del pubblico inglese che sa unire passione al rispetto per l'avversario, ed evita commistioni politiche che non abbiano a che fare con la società tutta, al di fuori dai colori.

Si racconta della vecchia sezione del Partito Comunista a Reggio Emilia, ("Palazzo Masdoni") così come si è fatto in passato descrivendo altre situazioni di quando si faceva politica in gioventù. Questo aspetto nostalgico sembra indicare come tanti valori e ideologie siano andate perdute. E allora in questo preciso momento storico che importanza ha l'esistenza di Piazza Lenin a Cavriago?
Max Collini
: Palazzo Masdoni era la sede della federazione provinciale reggiana del Partito, non una sezione di due stanzette come qualcuno potrebbe immaginarlo descritto così. E' un edificio nobilissimo ed enorme, sembrava un ministero e un po' forse lo era pure, a suo modo. Il sindaco di Cavriago (approfitto per precisare ancora una volta che noialtri ODP, tutti e tre, siamo di Reggio Emilia e non di Cavriago) di recente in una intervista ha affermato che il busto di Lenin nei decenni in cui ha campeggiato nella sua piazza, "non ha mai detto una sola parola". Sottoscrivo.


 Agiografie e tastierine primigenie

di Claudio Lancia

Metti una serata fra amici in un locale della provincia cronica italiana. Metti una band che sta portando a spasso per la nostra penisola la particolare rilettura di alcune tracce già edite. Via le chitarre, via gli arrangiamenti rigogliosi, restano soltanto vecchie tastierine Casio anni '80 per rielaborare canzoni già conosciute.

Metti l'impagabile piacere di acquistare i gadget della band a fine concerto direttamente dalle mani di Max Collini. Metti che godiamo di un'indimenticabile serata di buona musica, e alla fine ci facciamo pure quattro chiacchiere con il leader degli Offlaga Disco Pax, non tanto per capire il loro messaggio, più che chiaro come emerge dalle agiografiche liriche, quanto per fare interessanti riflessioni sul  percorso artistico della band, sui loro gusti musicali, sui processi compositivi, sulla difficoltà di vivere di musica oggi in Italia, e su tanto tanto altro.


Oramai i vostri lavori sono piuttosto noti, ma non tutti conoscono esattamente il vostro percorso di formazione.

Parlami delle esperienze artistiche pre Offlaga di voi tre. Iniziamo con Daniele (Carretti)?

Daniele ancora oggi milita in un gruppo shoegaze molto interessante che si chiama Magpie, esistono dalla fine degli anni '90, il disco in studio più recente risale allo scorso anno: "Noir".

Andai a vederli molte volte prima che nascessero gli Offlaga Disco Pax.


Enrico (Fontanelli)?

L'ho conosciuto quando suonava in un gruppo di Reggio Emilia chiamato Kathleeen's: facevano sostanzialmente wave. Suonava con Deborah Naomi Walker, una violoncellista che poi ha collaborato anche con noi, suonando una parte di violoncello in "Sensibile", sul nostro secondo album "Bachelite". Enrico ha militato anche in una formazione punk, i Mourn, e in un'altra band che si chiamava Dargos, insomma, un musicista della zona che si muoveva su diversi fronti.


E veniamo al tuo trascorso...

La cosa più importante che feci prima degli Offlaga fu qualche comizio ai tempi della federazione giovanile comunista, non avevo nessuna esperienza di palco, nessun gruppo precedente nel quale avessi militato. Del resto non so né suonare né cantare, quindi sarebbe stato curioso il contrario. Per me gli Offlaga Disco Pax sono la prima esperienza artistica.

Enrico e Daniele invece provenivano da un loro percorso, durato diversi anni. A me piacevano molto le loro band, infatti li ho conosciuti perché andavo a vedere i loro concerti.


A un certo punto queste tre personalità si fondono assieme...

Beh, l'idea del nostro progetto ovviamente venne a loro due, io non avrei mai pensato di fare l'artista o di mettere su una band. Al massimo scribacchiare qualcosa. Con Enrico e Daniele ci conoscevamo perché siamo tutti originari di Reggio Emilia.

Io scrivevo racconti, li inviavo a loro vai mail, a loro sono piaciuti, e un giorno vennero in ufficio da me per propormi l'idea di fare una cosa insieme. Una partenza senza molte pretese: nessuno di noi avrebbe mai immaginato di fare dei dischi, di fare dei tour, non era assolutamente previsto. È nato tutto molto per caso, e senza particolari ambizioni.


E nascono gli Offlaga Disco Pax: contrari alla democrazia nei sentimenti...

Ma c'è una motivazione. "Democrazia" è una parola molto abusata, la si vuole mettere anche dove non c'entra nulla. Nei sentimenti la democrazia è un po' complicata. La democrazia si basa sul principio del "cinquanta per cento più uno".

Ma in un rapporto di coppia si è in due, e siccome cinquanta per cento per due fa cento per cento, i sentimenti in realtà sono delle dittature. La democrazia nei sentimenti non funziona.


Stasera avete suonato al Sottoscala Nove di Latina, una cittadina politicamente molto distante rispetto alla vostra città di provenienza e rispetto ai messaggi presenti nelle vostre canzoni...

Lo so benissimo, Latina una volta si chiamava Littoria, e ha avuto dei sindaci di destra fra i più votati in Italia. Ma devo dire che non ho trovato un clima ostile. Il locale era pieno, in un posto che mi pare usuale per suonare musica indipendente. Per essere una domenica sera, a Latina, con fuori un acquazzone torrenziale, sono molto contento per come è andata. Poi ovvio che Latina è una città con una tradizione culturale esattamente opposta alla nostra. Ma il fatto che la tradizione culturale di una città sia opposta alla nostra non vuol dire che fra i suoi abitanti non possa esserci qualcuno con un certo tipo di interesse. Del resto la nostra proposta non può porsi l'obiettivo di riempire gli stadi, per noi è già bello riempire un piccolo club.


Di piccoli club ne state riempiendo parecchi: pochi giorni fa siete stati anche al Circolo degli Artisti di Roma, non molto distante da qui, e so che molti dei presenti di questa sera vi avevano già visti lì...

Anche quella è stata una serata bellissima, tanta gente, oltre seicento persone, che per noi è un numero assolutamente ragguardevole.Certo che se parliamo di Roma, è normale che lì ci si rivolge a un bacino di ascoltatori molto più grande, inoltre c'è l'ambiente universitario che ci segue sempre con molta attenzione.


Cos'è il divertente reading finale che state proponendo come bis in questo tour?

È la storia di uno strano signore che parla dei Massive Attack. Non l'ho scritta io: è estratta da un libro che sto consigliando a tutti: "L'ultimo disco dei Mohicani" di Maurizio Blatto. Sono una serie di racconti basati sugli assurdi personaggi che gravitano intorno a un negozio di dischi, o che capitano lì facendo le richieste più incredibili. E Blatto, oltre a essere un giornalista musicale, è davvero comproprietario di un negozio di vinili da collezione. Ho scelto il racconto basato su questo personaggio, un dj che entra nel negozio alla ricerca di dischi da acquistare, spacciandosi per l'inventore del sound dei Massive Attack.

Ne deriva una situazione ironica e surreale. Il pezzo si intitola "Bassline".


Gli Offlaga Dico Pax sono una di quelle band italiane che stanno riscoprendo il gusto di raccontare piccole storie in maniera didascalica. Nel vostro caso anche abbondando nei particolari. Potrebbe essere un rischio, in un momento nel quale si approfondisce poco, anche a causa dell'impossibilità di seguire adeguatamente l'abbondanza di proposte musicali disponibili?
Certo: oggi c'è poca voglia e poco tempo. Poi con il downloading selvaggio si entra velocemente in possesso di migliaia di file, senza magari riuscire nemmeno ad ascoltarli tutti.

Tutto è sempre disponibile in qualunque momento e in qualunque luogo, a volte come elemento indistinto o indistinguibile.

A volte non c'è molto ragionamento su cosa ci sia dietro la musica che si sta ascoltando: come nasce, perché viene diffusa in un modo piuttosto che in un altro.


Il vostro gusto per i dettagli non ti fa temere che alla fine molti messaggi non riescano ad arrivare completamente ai tuoi ascoltatori?

Non abbiamo mai la pretesa di voler arrivare a tutti. Arriviamo a chi abbia la voglia di ascoltarci. Noi abbiamo la nostra proposta artistica, la forniamo in maniera personale, facciamo ciò che ci piace. Dopodiché ognuno la ascolterà secondo la propria filosofia. Ci sarà chi coglierà tutti gli aspetti didascalici e politici, chi si mostrerà più interessato alle sfumature musicali, chi sarà incuriosito dal nostro intreccio curioso di musica e reading.

Ma noi non abbiamo un approccio pedagogico riguardo a quello che stiamo facendo: non pretendiamo di avere qualcosa da insegnare. L'idea che ci possa essere qualche forma di educazione all'ascolto mi farebbe un po' impressione, non penso sia un nostro compito. Chiaramente ci rendiamo conto di quanto la fruizione della musica sia cambiata rispetto a venti o trent'anni fa: la musica oggi viene vissuta in maniera molto diversa.

C'è troppa musica e quindi assume meno importanza.


Questo potrebbe diventare frustrante?

Non ho la pretesa che tutti colgano le citazioni che inserisco nei miei testi. Non posso scegliere il mio pubblico.

E non intendo fare un corso universitario di letteratura. Noi facciamo musica. Non posso pretendere che l'ascoltatore medio possa cogliere quello che voglio io, è già tanto se riesce a cogliere ciò che vuole lui. A volte, in questa babele di musica sempre disponibile, è già tanto che riesca a cogliere qualcosa.


Cosa stai ascoltando ultimamente?

Mi piacciono molte cose italiane, anche se riconosco che alcune potrebbero apparire un po' "da vecchio", come io sono. Mi piacciono molto i Virginiana Miller, mi piacciono molto i Baustelle, quindi proposte non particolarmente nuove o innovative. Non ho gli ascolti di un ventenne, ma è normale che sia così, ho 43 anni e ascolto musica da quarantenne.


Ti ritieni un grosso fruitore di musica?

Io non scarico musica, neanche legalmente. Quel poco che ascolto, lo ascolto comprando i dischi, non molti, quindici / venti dischi all'anno.


Impressioni sul nuovo dei Massimo Volume?

Un ritorno molto importante. Il disco è molto bello, forse il loro più bello. Tornare dieci anni dopo e fare un disco così non è da tutti. Di solito le reunion non riescono in questo modo, invece loro sono stati bravissimi.


Siete spesso associati proprio ai Massimo Volume per via del particolare approccio alle parti vocali...

Secondo me siamo associati a loro soprattutto perché l'accento mio e di Emidio Clementi è uguale, e anche gli argomenti che trattiamo sono molto simili. Io parlo dell'Emilia rossa, lui anche. Io sono un po' ironico, lui anche.


Sono fortemente incuriosito dai vostri processi compositivi.

Sui primi pezzi che abbiamo realizzato, come ti dicevo prima, avevo degli scritti proposti a Daniele ed Enrico, sui quali loro hanno poi ricamato le basi musicali. Tendiamo quasi sempre a partire dal testo, perché in qualche modo la musica deve sposarsi alle liriche, deve compenetrarsi con queste il più possibile.

Il nostro obiettivo è sempre quello di sposare nel miglior modo possibile testi e musiche. Ma questo percorso non è strettamente necessario. A volte ci sono venute fuori delle idee musicali a prescindere dal testo, e successivamente abbiamo aggiunto le linee vocali. Non abbiamo un metodo preciso, ognuno dei tre porta il proprio contributo, poi di volta in volta si vede cosa succede. Se ci sono testi pronti in genere si parte da lì. Se non ci sono, Enrico e Daniele propongono delle idee, poi magari arriva anche il testo. Senza regole precostituite.


Riuscite a sopravvivere di musica?

Al nostro livello dipende dal periodo. Se sei in tour, se suoni molto, si può ricavare qualche mese, ma certo non abbiamo particolari sicurezze economiche. Io ho un mio lavoro da sempre, che continuo a fare, Enrico anche, Daniele collabora con un negozio di dischi. Ci sono periodi in cui si può vivere anche soltanto con gli introiti derivanti dal gruppo, e altri periodi nei quali questo non è possibile. Del resto non è che puoi stare sempre in giro a suonare, l'Italia non è poi così grande. E la particolare proposta della nostra band non ci consente di assicurarci entrate costanti nel tempo.


Se vi proponessero di andare al Festival di Sanremo, in rappresentanza della scena indipendente italiana, che fareste?

Secondo me il Festival della Canzone Italiana con uno che non canta sarebbe un bel momento surrealista. Ma nessuno ci chiederà mai di andarci, per cui il problema non si pone.


I prossimi step degli Offlaga quali poterebbero essere?

Dovremmo iniziare a pianificare i lavori per il nostro terzo album, con calma. Non ci piace correre, siamo molto riflessivi, piuttosto lenti, poco prolifici.


Intanto avete pubblicato "Prototipo", questo EP in tiratura limitata.

Abbiamo ripreso alcune canzoni pubblicate nei nostri due album fin qui pubblicati: "Socialismo tascabile" e "Bachelite". Abbiamo deciso di dargli una veste nuova, riducendo le parti musicali a vecchie tastierine casio degli anni 80. Il risultato lo stiamo portando in tour.


Ci sono degli artisti con i quali ti piacerebbe unire le forze?

Ho in piedi un piccolo progetto con Jukka Reverberi dei Giardini di Mirò, una cosa che riguarda letture, reading. Ogni tanto ci capitano delle occasioni per fare qualche apparizione in pubblico, ma non abbiamo il progetto di realizzare dischi. Devo dire che mi sento molto soddisfatto degli Offlaga Disco Pax, non ho bisogno di divagare ulteriormente. Magari, quando mi verrà voglia, proverò a scrivere un libro, un romanzo, chissà che non ci riesca prima o poi.

 

Una curiosità finale: ma che scorta hai di Tatranky, se ogni sera li distribuisci gratuitamente ai fan?

Nessuna scorta, una persona a me molto cara va a Praga spesso e me li porta ogni volta.  Vi informo che il marchio Tatranky è passato da un po' dalla Danone alla Kraft, come il Toblerone del resto...


Lascio Max a firmare gli ultimi autografi, a disfare il banchetto dei gadget, a riporre tutti gli oggetti negli appositi scatoloni, poi ci dà appuntamento alla prossima occasione.


Di seguito la scaletta dello show della serata:

Superchiome

Khmer rossa

Dove ho messo la golf?

Tatranky

Tono metallico standard

Lungimiranza

De Fonseca

Fermo!

Onomastica

Piccola Pietroburgo

Robespierre

...

Bassline




Fedeli alla linea

di Davide Bassi

Due musicisti (Enrico Fontanelli e Daniele Carretti) e un paroliere (Max Collini): sono loro i tre componenti degli Offlaga Disco Pax, che hanno da poco pubblicato il loro primo disco, "Socialismo tascabile". Abbiamo rivolto loro qualche domanda su musica, politica, internet.

Un immaginario così evocativo come quello del vostro disco ha sicuramente alla base un solido intreccio culturale. Quali sono i libri e i dischi su cui vi siete formati?
D: Per le musiche è facile rifarsi a certe atmosfere new wave di fine anni 70-inizio anni 80.
Trovo però anche un forte avanzamento verso sonorità più moderne e recenti. Per quanto mi riguarda potrei ragionare in fasi molto diverse: La triade "Rubber Soul"- "Revolver"-"Sgt. Pepper's" dei Beatles, "Seventeen Seconds"-"Faith"-"Pornography" dei Cure, "Loveless" dei My Bloody Valentine e "Souvlaki" degli Slowdive, poi Cocteau Twins e 4AD, Paul Weller, Flaming Lips, Pixies. Se potessi continuerei…
E: In particolar modo Inghilterra dai Kinks a oggi, debutti e non del '67, Warp, Joy Division, Martin Hannet, Constellation, Kranky, Factory, 4AD, Creation, Kraftwerk, Giorgia Lepore, Shostakovich, Ligeti, Philip K. Dick.
M: Sono un lettore attento ma non voracissimo. Tra gli scrittori nostrani citerei Giuseppe Caliceti, Simona Vinci, Paolo Nori e Silvia Ballestra. Leggo tra gli stranieri con grande piacere Nick Hornby e Jonathan Coe. Trovo meravigliosamente al confine tra poesia e musica i testi di Federico Fiumani, e sono da sempre un fan dei Diaframma. Seguo soprattutto musica indipendente italiana, meglio ancora se cantata in italiano.

Il vostro disco, a cominciare dal titolo, è omogeneo in quanto a temi che racconta. Dobbiamo considerarlo come un concept-album o pensate di proseguire in questa direzione?
M: La scelta dei testi non è avvenuta in modo predeterminato, pur essendo nati prima del gruppo e avendone in qualche modo causato, almeno in parte, la sua formazione. I brani sono venuti fuori all'inizio tumultuosamente e poi più con calma, fino a essere sufficienti per poter dire: "Beh, magari ora potremmo averne abbastanza per un disco"… Sono semplicemente i brani che erano "pronti" per essere registrati, niente di più. Penso che continueremo in questa direzione, cercando di organizzare al meglio il nostro caos creativo senza perdere troppo del candore che credo contraddistingua il progetto.

Anche se probabilmente non avete pensato a quale pubblico raggiungere, come immaginate possa essere l'ascoltatore medio degli Offlaga Disco Pax?
D: Personalmente credo che gli Offlaga possano piacere a tutti o a nessuno. Ultimamente anche insospettabili hanno spezzato lance a nostro favore.
M: L'ascoltatore medio degli Offlaga Disco Pax dovrebbe essere una ragazza dolce, gentile, spiritosa, arguta, appassionata, democratica e antifascista.

Nei vostri testi parlate molto della politica degli anni 70 e 80. Voi che avete vissuto quegli anni "caldi" come vi ponete rispetto alla politica odierna? Siete ancora impegnati come allora?
M: Io sono del '67 e vanto solo una adolescente e devota militanza nel Pci tra la metà e la fine degli anni Ottanta, in pieno riflusso. Molto dopo gli anni caldi, insomma, anni che invece ho vissuto da spettatore minorenne. Daniele ed Enrico sono del '77 e la politica che hanno conosciuto nella loro gioventù nirvaniana era già un'altra cosa. La politica contemporanea non ha su di noi grande fascino e tendiamo a non occuparcene direttamente, pur seguendola con attenzione e inevitabile apprensione.

Alla fine di "Tatranky" dite che "ci hanno preso tutto". Questa frase può essere letta in due modi: le multinazionali e il capitalismo che prendono tutto a chi ha creduto nel socialismo oppure gli ex paesi dell'Est che prendono tutto a noi paesi dell'Ovest. Qual è quella corretta, se ce n'è una?
M: L'Occidente esporta sistemi apparentemente vincenti, ma piuttosto rapaci. Perfino i Tatranky e la Skoda sono diventati marchi delle multinazionali. Ci sarà un perché, ma sono sicuro che non mi piacerebbe saperlo.

Max, hai mai pensato di pubblicare i tuoi racconti? Sono tutti episodi che ti sono realmente accaduti?
M: Ho iniziato a scrivere racconti brevi durante l'anno santo, l'anno pari Duemila. Gli Offlaga Disco Pax non erano nemmeno vagamente ipotizzabili e sì, mi sarebbe allora piaciuto pubblicare un libro, ma non ho mai cercato concretamente una strada in questo senso. Scrivo quasi sempre storie autobiografiche, spesso anche nei dettagli più marginali. Ora il gruppo mi assorbe completamente e non ci penso, ma in futuro questa cosa del libro potrebbe tornare a essere presa in considerazione. Prenoto fin d'ora Enrico per la grafica della copertina.

State progettando la realizzazione di qualche videoclip?
E: Stiamo iniziando la preproduzione proprio in questi giorni. Sarà sicuramente divertente per noi, ci auguriamo anche per chi sta fuori.

Se il vostro video dovesse passare su Mtv, sarebbe come trovare la scritta Danone sui wafer Tatranky?
E: Il video verrà realizzato a prescindere dalla possibilità di messa in onda, da considerarsi un numero qualsiasi del nostro catalogo. Diciamo che sarebbe come trovare il Tatranky nel catalogo della Danone…

Qual è la vostra dimensione sonora in concerto?
D: Abbiamo cercato di mantenere nel disco la stessa formula che adottiamo dal vivo, alcune cose sono cambiate, ma bene o male il concerto è molto simile al disco. Chiaramente ci riserviamo di proporre qualcosa di diverso nei live, nel disco per esempio ci sono un paio di brani con la batteria suonata che dal vivo invece non abbiamo, per cui li offriamo in una versione più scarna e meno arrangiata.

Indubbiamente internet aiuta tantissimo, anche attraverso webzine come la nostra, la promozione di album pubblicati da piccole etichette come il vostro. Contemporaneamente, però, è nato il fenomeno dello scambio di mp3 che molti ritengono negativo. Voi come la pensate?
D: Ritengo che lo scambio di Mp3 come fattore "pubblicitario" sia molto interessante, non sempre si riesce ad ascoltare un disco prima di acquistarlo, quindi potrebbe essere un ottimo preascolto. Purtroppo il download selvaggio che avviene da qualche anno a questa parte è assurdo, non tanto per i soldi che gli artisti perdono, ma per una questione del poter avere tutto a disposizione e quindi prendere a piene mani qualsiasi cosa senza riuscire ad apprezzare o a coltivare un interesse in particolare. Trovo tutto questo molto egoistico e negativo per la musica. Personalmente non scarico mp3, preferisco il formato vinile o cd e andare ad acquistare i dischi direttamente nei negozi.
E: Soffrire di feticismo impone l'idea di avere a che fare concretamente con un'entità, anche se si tratta di una cosa assolutamente astratta come la musica. Sono cresciuto col vinile, il formato si è ridotto a i-pod che, per quanto possa risultare carino esteticamente quanto comodo, non potrà mai sostituire la copertina di "The Queen Is Dead". Avere la possibilità di ascoltare musica gratuitamente e di liberarla da prigioni materiali è idealisticamente apprezzabile, ma scarnificare l'evento dell'uscita di un album in mezz'ora di download è davvero poco romantico.

In conclusione, toglieteci una curiosità: ma che cos'è esattamente il "Socialismo tascabile"?
M: "Socialismo Tascabile" è una definizione perfetta nella sua sintesi che abbiamo rubato ad Arturo Bertoldi, che è anche l'autore del testo di "Cinnamon", testo che io ho solo accorciato un po' rispetto alla sua versione originale. In due parole, esprime nitidamente l'anima del disco, che è un disco minimale, emotivo, ironico e a suo modo politico. Un concetto epocale come il Socialismo ridotto al comodo formato digipack del nostro album. Sì, lo sappiamo, abbiamo la faccia come il culo...