Virginiana Miller

Virginiana Miller

Nella buona e nella cattiva sorte

intervista di Marco Lo Giudice

Ho letto che "Il primo lunedì del mondo" nasce da un contesto biografico personale e di gruppo difficile. Ci potete dire qualcosa di più? Per voi la musica è sempre stata un fatto esclusivamente biografico?
Simone: No su tutte e due i fronti: non possiamo dirti di più proprio perché la musica non è un fatto (auto)biografico. Quel che importa in ciò che è biografico è proprio ciò che smette di esserlo e  diviene altro: suono e parola. Il resto rientra nella chiacchiera o nella tragedia personale, ma né la prima né la seconda sono interessanti.

Per quanto riguarda il sound, che tipo di atmosfere avete cercato di ottenere in studio? Siete soddisfatti del vostro lavoro?
Daniele: Siamo molto soddisfatti, abbiamo avuto il piacere di lavorare a questo disco con Ivan Rossi e Ale Bavo che ci hanno aiutato a catturare nella maniera migliore le nostre sonorità. Siamo fondamentalmente un gruppo live, negli ultimi anni il nostro sound dal vivo si è irrobustito, e sappiamo tutti, in fase di composizione, che prima di "funzionare" in studio le canzoni devono avere una spina dorsale che le faccia stare in piedi sul palco.
Le atmosfere da catturare quindi non sono state altro che i suoni che si aggiravano sul nostro palco in quel determinato periodo; non ci è mai capitato di fare un'inversione sonora per andare incontro a esigenze discografiche o a nostri obiettivi prefissati.
Valerio: Recentemente ho riascoltato alcuni nostri demo dei primi anni 90; al di là di esecuzioni approssimative e registrazioni pessime, quei pezzi avevano un suono preciso. Erano chiaramente pezzi dei Virginiana Miller. Ecco, Ivan Rossi che ha registrato questo disco è stato bravo come nessuno prima di lui a tirare fuori proprio quel suono che abbiamo da sempre.

virginiana_2Quali sono stati i riferimenti per musiche e suoni - se mai ve ne siano stati - dietro questo lavoro? Quali sono comunque gli ascolti dai quali non vi siete mai separati lungo questi ultimi anni di lavoro?
Daniele: Siamo un gruppo nato a metà anni ottanta, quindi i nostri ascolti partono dal progressive di venti anni prima, passano dai capelli cotonati e arrivano ai giorni nostri.
Nel disco riferimenti diretti non ci sono stati, anche se ci sono degli esempi, magari distanti decenni fra di loro, dai quali non si scappa; i primi che mi vengono in mente sono "Ok Computer" dei Radiohead, "Much Against Everyone's Advice" dei Soulwax, "Anime Salve" di De André o "Rain Dogs" di Tom Waits, dischi che a volte capita di riascoltare insieme durante i viaggi e che ci rimettono costantemente d'accordo. Un particolare che la tua domanda mi ha fatto tornare in mente è l'incontro con Beppe Scardino per discutere dei futuri arrangiamenti di archi e fiati in cui gli consegnai una copia di "Road To Rouen" dei Supergrass e "Smile" di Brian Wilson, nei quali la cura degli arrangiamenti mi aveva completamente estasiato.

So che per "Oggetto Piccolo (a)" l'espressione è rubata da Lacan, nella sua riflessione sul godimento. Ci sono altri riferimenti letterari così forti e ispiranti negli altri testi?
Simone: ‘L'inferno sono gli altri', ad esempio, è espressione sartriana, anche se non direi che in quel caso si sia trattato di vera ispirazione (non amo Sartre), ma solo di un prestito. In quel pezzo, semmai, l'ispirazione viene dal passo del Vangelo in cui si parla del demone Legione, e da quello della Repubblica di Platone dove si definisce l'anima dell'uomo democratico come ‘variopinta'.  Meglio: dal dialogo fra queste due cose lontane e la frequentazione dei social networks.
Questo gioco di rimandi potrebbe essere svelato per altri pezzi, ma non credo sia così importante. Non è necessario sapere queste cose per ascoltare una canzone di Virginiana Miller. Una delle canzoni dell'album si chiama invece Cruciverba: se ne ascoltiamo il testo si capisce di quale pasta sia fatta la difficoltà presunta delle mie parole.
Non ti chiedono il curriculum studiorum, ti chiedono invece attenzione, e disponibilità a giocare con loro.

Per voi scrivere testi in italiano nasce dalla maggiore confidenza con la lingua madre, o risponde ad una precisa esigenza di comunicabilità del messaggio? Credo che la più grande difficoltà che una realtà come la vostra possa incontrare, oggi, sia proprio quella di valorizzare la sincerità e la naturalezza delle liriche in mezzo a tanta caramellosità e banalità. Vi sentite ripagati da fan, ascoltatori e addetti ai lavori riguardo ai vostri testi?

Simone: In linea di principio non è detto che chi scrive un testo (parlo di canzoni, ma questo vale anche per una poesia o per un romanzo), lo comprenda meglio di chiunque altro. A me ha fatto sempre piacere incontrare qualcuno che comprendesse quello che avevo scritto meglio di me. A volte è capitato, e ne sono stato profondamente felice. Per il resto, so che le cose che scrivo non sono adatte a tutti. Non trovo siano difficili, né fumose. Al contrario, cercano una verità, quale che sia. Cercare una verità non significa naturalmente che gli esiti della mia scrittura possano rappresentare la soluzione di un qualche problema, né che abbiano un valore universale. Parlo solo della ricerca di uno spazio di condivisione che è di per sé segno di un contenuto di verità: la verità che noi siamo. Non a tutti però piace aver a che fare con questo. Molti, evidentemente, preferiscono essere presi per il culo, sempre e comunque. Non saprei spiegarmi altrimenti il successo di Berlusconi, tanto per dirne una.

Come nasce la collaborazione con Paolo Virzì, ne La prima cosa bella? Che sensazione si prova a dare parole e musica ad immagini diverse dalle intime sensazioni con le quali erano nati originariamente i pezzi? È un'esperienza stimolante, la ripetereste?
Simone: Il rapporto con Paolo risale ai tempi in cui io facevo la comparsa/aiuto scenografo in una compagnia teatrale livornese. Avevo diciassette anni. Avremmo messo in scena "la bomba nel teatro": era una piece a firma di Paolo Virzì, allora sconosciuto giovane autore. Ci conoscemmo in quella occasione. Abbiamo anche frequentato lo stesso liceo, che a Livorno significa qualcosa...
Quando vidi per la prima volta Ovosodo, la scena in cui il figlio del popolo ascolta imbarazzato il rosario di parentele illustri dei suoi compagni di classe, mi è sembrato di rivivere il mio primo giorno di scuola. Era andata così anche a me. Immagino fosse  andata così anche a Paolo. Quindi puoi immaginare quanto sia fiero del fatto che lui ce l'abbia fatta, che abbia dimostrato di cosa è capace un livornese d'ingegno che ha studiato in una di quelle sacrosante scuole pubbliche. Licei che, pur con le loro storture da libro Cuore, erano ancora capaci di insegnarti qualcosa.

Quando ci ha chiesto di usare "L'Angelo Necessario", anche solo per fare un po' di tappezzeria sonora al film, beh, per noi è stato davvero un onore e un piacere.

virginiana_11Avete avuto qualche difficoltà discografica (la ricerca di un'etichetta dopo Radio Fandango) per l'uscita di questo disco. Anche in seguito a queste (dis)avventure, cosa ne pensate della situazione della realtà indipendente italiana? Il tempo glorioso degli anni 90 (Mescal, CPI, ecc...) davvero è stata solo una convergenza fortunata nella quale i dischi si vendevano ancora, o pensate che una stagione come quella possa in qualche modo ripetersi?
Valerio: Le ondate di metà anni '80, e successivamente di metà anni '90, sono state effettivamente il prodotto di una serie di coincidenze fortunate. Il repentino sgonfiarsi di tali fenomeni è invece addebitabile ad un errore ben preciso: produrre, produrre, produrre che tanto si vende tutto. E quindi si produce chiunque e si investe moltissimo su qualcuno, si satura il mercato di prodotti non sempre eccellenti, e quasi sempre incapaci di coprire i costi. In capo a pochi anni si chiude bottega e il periodo glorioso finisce lasciando il deserto di mille etichettine senza una lira, che si fondano sull'autoproduzione. Difficile pensare che un nuovo fenomeno di questo genere possa esplodere di questi tempi, con il mercato discografico contratto a livelli mai visti prima. I Virginiana Miller sono passati indenni attraverso questi corsi e ricorsi storici, senza essersi mai sentiti veramente parte di questi fenomeni, e non si preoccupano del fatto che non ci sarà una nuova onda.

È davvero così difficile vivere di musica, in questo momento, in Italia? È la vostra occupazione principale o il pane ve lo guadagnate con altri mezzi? In questo senso, pensate che la libertà espressiva sia inversamente proporzionale al successo, nel nostro paese?
Valerio: Questa è una domanda trabocchetto. Quando in passato abbiamo dichiarato orgogliosamente che non campiamo di musica, qualcuno ci ha cucito addosso l'etichetta di "dopolavoristi del rock" che non ci ha aiutato ad essere presi sul serio. Qualcun altro, in una di queste belle conferenze che si fanno ai meeting di etichette indipendenti, ha pontificato che il male della musica italiana è che i gruppi non ci credono abbastanza da licenziarsi per fare il musicista a tempo pieno.
Beh, per come la vedo io professionismo è credere in un progetto tanto da portarlo avanti per venti anni nella buona e nella cattiva sorte, e dopo venti anni non averne ancora abbastanza.
Quanto alla libertà espressiva, la si può vendere se si vive in funzione del successo. Non è il nostro caso.

Che cosa vi porta, dopo vent'anni di attività, a produrre dischi e suonare dal vivo? Quali sono gli stimoli principali? È un'esigenza, un divertissement, uno sfogo, una ragione di vita?
Valerio: Tutte e quattro le cose. Con l'aggiunta della sensazione di non aver ancora avuto quello che meritiamo.
Simone: Personalmente, escludo il divertissement e lo sfogo: per quelli andrebbero bene anche lo bocce. Preferisco pensare che sia un'esigenza in cui si riconosce una ragione di vita.

Guardandovi indietro, fino al primo istante in cui avete cominciato a suonare insieme, prevale di più la soddisfazione di aver continuato a fare cose importanti e di qualità, o il rammarico di non aver avuto la giusta attenzione dal grande pubblico?
Valerio: Se quello che abbiamo fatto non ci desse soddisfazione non saremmo ancora qui a suonare. Di rammarico invece non parlerei. Quelli fra noi che si sono sentiti avviliti, umiliati, rammaricati hanno smesso di suonare. Se il grande pubblico non ci acclama sarà anche colpa nostra. Non tanto per quello che facciamo, bensì per come lo facciamo, per i nostri atteggiamenti,  per le nostre scelte di comunicazione. Andiamo avanti cercando di correggere questi nostri difetti.

Discografia
 Gelaterie Sconsacrate (Baracca&burattini/Sony, 1997)


 
Italiamobile (Baracca&burattini/Sony, 1999)


 Salva Con Nome (live, Baracca&burattini/Edel, 2002)
 
 La Verità Sul Tennis (Sciopero/Mescal/Sony, 2003)

 

 Fuochi Fatui D'Artificio(Radio Fandango/Edel, 2006)
 
 Il Primo Lunedì Del Mondo (Zahr Altrove/Edel, 2010)
 
pietra miliare di OndaRock
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