Offlaga Disco Pax

Socialismo tascabile (Prove tecniche di trasmissione)

2005 (Santeria / Audioglobe)
elettronica, post-rock, spoken word

Socialismo Tascabile” è una storia comune come il bene, come il pane comune. È una storia composta da più storie con uno scenario ben preciso: Cavriago, novemila anime alle porte di Reggio Emilia e la parlata ciondolante di Max Collini. Immediato sapore di casa, di pasta all’uovo e, appunto, socialismo.
Ed è stata questa parola – che per anni è stata pratica e chimera nello stesso momento – ad aver permesso a generazioni intere di poter fondare band come i Cccp diventando integralisti religiosi, appassionarsi dei Gaznevada di “Mamma dammi la benza”, ma anche a quelli di “IC Love Affair” e, in generale, partorire un’epica così vasta che per percorrerla tutta non basterebbe il doppio della via Emilia e non basterebbe nemmeno il doppio di Tondelli.

L’album d’esordio degli Offlaga Disco Pax (Carretti, Collini, Fontanelli) indaga quella cosa, un po’ vaga e multiforme, del socialismo emiliano e di un “modello Emilia-Romagna” che ha come unica verità quella della tradizione orale, del riportare gli avvenimenti al bar, gli avvenimenti del bar, gli amori falliti per troppo ideale e le scuole elementari come punto nevralgico dell’educazione emiliana. Le storie che compongono il disco transitano da metà anni Settanta fino all’oggi di inizio Duemila, passando per gli Ottanta: più che ruggenti, popolari.

Il suono di “Socialismo Tascabile” è austero e analogico, senza fronzoli produttivi e ricco di citazioni musicali sommerse tra i Doors e “Allarme” dei Cccp. È la wave di “Enver” con il suo testo ermetico e il richiamo a Hoxha (lo statista e la cantante Anna). È il suono della provincia reggiana, di una provincia della provincia perché – nelle tante stranezze mitologiche uscite dalla via Emilia – non è mai apparsa a chiare lettere l’ovvietà che circonda noi nativi di quelle terre: non siamo metropoli, non saremo mai metropoli, eppure qualcosa funziona da sempre come se il tessuto urbano tra Piacenza e Cattolica non smettesse di connettersi ed estendersi tra il Po e gli Appennini, dando la possibilità alle voci di correre e disperdersi e cambiare così tante volte da rinnovarsi costantemente.
Nella narrativa di “Socialismo Tascabile” succede esattamente questo: il flusso informativo di Collini racconta di un panorama particolare ma comune, un orizzonte che non solo delimita la vista ma innerva il territorio con forza dando i natali agli spietati Kappler, increduli maestri di nazionalsocialismo e alle tremende Ylenia, per il cui fiore avremmo svenduto libri e teorie leniniste, perché più forte del socialismo forse c’è solo il sesso che può corrompere soprattutto gli adolescenti più indottrinati.

Le storie raccontate da Collini strizzano l’occhio a una nostalgia istantanea ma mai manichea nel giudizio, se non verso l’unico grande avversario storico: il capitale, che tutto mastica e tutto digerisce, specie dopo la caduta del muro di Berlino e la frammentazione dell’ex-Unione Sovietica. Un capitale cinico e baro che ruba l’anima nobile di Praga nell’epopea boema di “Tatranky”, per risputarla occidentalizzata mentre la folla nella pista da ballo si scatena con Samantha Fox e Al Bano & Romina. Ed è sempre il mercato, questa volta delle chewing-gum, a farsi metafora dei cambiamenti di quel “piccolo mondo antico”: spariscono le Cinnamon, cala la sinistra, spariscono le tutele e assieme a loro spariscono i riferimenti che centocinquanta anni di socialismo avevano dato per scontati, schiacciati da gomme americane alla menta e prodotti para-farmaceutici. Ricomparirà l’orizzonte socialista delle chewing-gum gusto Cinnamon, ma solo in secondo piano dietro a prodotti più moderni, in un circolo di provincia.

Restano ancora poche cose da dire di un disco che ha segnato un’epoca (o almeno una settimana di revanscismo sovietico, per i compagni meno sensibili). Resta il gusto della presunta polemichetta verso i Julie’s Haircut, francobollo della rissosità ingenua ed esagerata nei racconti attraverso cui il “Socialismo Tascabile” passa: anche attraverso scazzi di poco conto tra un disco di Mark Lanegan e una rottura di coglioni irrimediabilmente risolta in nulla, tra coppini al bar e puzza di fritto da Festa dell’Unità.
Restano le cose popolari di “Roberspierre”: inno a elenco e costituzione illegittima per noi orfani del miglior secolo della storia dell’umanità (il ‘900, per i compagni più distratti). Resta la poesia popolare di “Piccola Pietroburgo”, della cooperativa Nuovo Cinema Novecento e del mitologico busto di Lenin: entrambi simboli resistenti di una emilianità dal cuore dolce e capace di sognare in cirillico. Resta l’amore popolare di “De Fonseca” e basta: per non infierire troppo, senza speculare su ciò che inevitabilmente finisce.

Normalmente, scritti di questo genere, chiudono con osservazioni di carattere generale sulla portata dell’album e l’impatto che ha avuto nel mondo e posso garantirvi – amiche e amici – che lo ha avuto su tantissimi che ancora oggi citano, rubano, ambiscono grazie a questo disco fatto in casa da tre amici. Preferisco però chiudere questo scritto – compagne e compagni – dicendo che non solo mancano gli Offlaga Disco Pax ma manca, immensamente, Enrico Fontanelli.

28/10/2018

Tracklist

  1. Kappler
  2. Enver
  3. Khmer rossa
  4. Cinnamon
  5. Tono metallico standard 
  6. Tatranky
  7. Robespierre
  8. Piccola Pietroburgo
  9. De Fonseca


Offlaga Disco Pax sul web