Deve aver trovato nuovi stimoli nella musica per il cinema, il buon Trent Reznor, che accompagnato dal fido Atticus Ross aveva fatto centro già 12 mesi fa con la colonna sonora di "The Social Network", premiata addirittura con l'Oscar. Come spiegare altrimenti la capacità di realizzare in meno di un anno addirittura 39 tracce per complessive 3 ore di musica a sostegno di una pellicola della durata di oltre 2 ore e mezza?
Comporre per il cinema, ovviamente, non è come potersi esprimere in libertà per la realizzazione di un album "classico", le musiche vanno a disporsi e a dipanarsi secondo direttive e necessità dettate dalla regia e dalla narrazione stessa della pellicola. Una pre-giustificazione, si potrebbe dire. Mettiamo le cose in chiaro: le composizioni del tandem Reznor-Ross sono impeccabili per tecnica, definizione dei suoni e per lo scenario di sospensione pulsante dark nel quale catapultano.
Stavolta però, a differenza della sontuosa opera datata 2010, il risultato è un album che, considerato nell'accezione classica e non come un estratto dalla colonna sonora del film, resta piuttosto arduo da digerire. In primis per la durata. Tre ore di melodie serpeggianti tra tensioni vibranti, contemplazioni pianistiche mortifere e sempre più rare esplosioni rabbiose (evidentemente nel film non c'è bisogno di questo, lo capiremo meglio a febbraio quando la pellicola sarà nelle sale italiane) che danno l'ennesima prova della superba mano di Mr. Self Destruction, ma che mettono in ginocchio anche il fan più incallito.
A fare da alfa e omega dell'opera sono le uniche due canzoni nel senso tradizionale del termine, entrambe cover con voce al femminile. "Immigrant Song", cantata da Karen O, è quanto resta del passato reznoriano. Un drumming possente a sostegno della voce graffiante di miss Yeah Yeah Yeahs delinea un scenario apocalittico che allontana ogni reminiscenza zeppeliniana, evitando quella che sarebbe potuta essere una facile scivolata nel trash. In coda troviamo invece miss Reznor Mariqueen Maandig a prestare la sua dolce voce a una "Is Your Love Strong Enough?" di Bryan Ferry dal sapore dark-electro, tratta dal progetto firmato dai coniugi Reznor How To Destroy Angels.
In mezzo a quelle che per forza di cose saranno i due singoli da esportazione dell'album, un insolito senso di calma sembra calare sopra l'oscurità del mondo dell'ex (?) Nine Inch Nails. Una calma continuamente increspata da onde nero pece che però non sembrano mai poter avere veramente il sopravvento. Vibrante quando il passo si fa solfureo, ai limiti del ligetiano ("Perhelion", "A Pair Of Doves"), il talento compositivo del duo esplode nei brani più duri: irresistibili, in tal senso, il marasma incalzante di "A Thousand Details", l'acidità roteante di "An Itch" e il sorprendente meccanicismo tribale di "Oraculum".
Un'opera che, nel complesso, mal si addice all'ascolto tradizionale vista la durata spropositata e la sua "informità" quasi onirica, ma che nella sua maestosità incute un timore che è quello di chi si trovi davanti al Giudizio Universale di Michelangelo: disorientato e ammaliato.
27/12/2011
Cd1
Cd2
Cd3