Attivi, ormai, da circa 28 anni, i Napalm Death, padri putativi del “grindcore”, non fanno più paura come un tempo, anche perché, ormai, le brutalissime schegge di opere basilari quali “Scum” e “From Enslavement To Obliteration” sono state rimpiazzate da un suono più vicino al thrash-death metal.
Non fa eccezione questo “Time Waits For No Slave”, tredicesimo album in studio, una sequenza indiavolata di attacchi al fulmicotone, qualche volta trascinanti, qualche volta onesti, altre volte, ancora, poco più che raffazzonati. Gli amanti del genere converranno che, se la scena di cui furono i massimi rappresentanti, guarda ormai altrove, la band inglese continua, imperterrita, a mantenersi su posizioni piuttosto reazionarie, convinta, forse, dell’inutilità o dell’impossibilità (?) di dare uno sbocco creativo al genere.
Per cui, un disco come questo non può altro che risultare onesto, ma piuttosto scontato, anche se qualcuno troverà, in un modo o nell’altro, i soliti buoni motivi per consigliarvelo.
Spalmate qua e là le mirabolanti accelerazioni del grind, la band attacca, violentissima, con “Strongarm”, corteggia l’hardcore in “Diktat” (nessuno dimentichi che fu proprio dall’estrema "radicalizzazione" di questo genere che si sviluppò l’idea di quel suono ultracinetico e barbaro), suona thrash in “Work To Rule”, “On The Brink Of Exinction” e “Passive Tense”, precipita nell’isteria di “Life And Limb” e “De-evolution Ad Nauseam”, lancia scudisciate in corsa con “Downbeat Clique” e s’inabissa in un clima epico con “Procrastination of the Empty Vessel”.
Ma, come dire?, sono tutti brani di cui ci si dimentica fin troppo in fretta...
06/01/2009