Terza prova in studio per uno dei gruppi italiani "indie" più promettenti, i Baustelle di Francesco Bianconi. Stavolta, come da tempo si auguravano, è un colosso come la Warner a cercarli e a promuoverli per l'ambizioso e atteso "La Malavita". Certo, passare alla Warner dopo una ferrea dieta a base di lodi della critica - unico alimento della scena indipendente italiana - ha dei vantaggi pazzeschi: il bel brano strumentale da noir anni 70, "Cronaca Nera", fa da colonna sonora ai promo dei programmi tv; le maggiori frequenze nazionali passano il singolo "La Guerra E' Finita" e la promozione del disco gira nientemeno che su Mtv. Meritata popolarità, sicuramente, visto che questo è un po' il disco della sintesi per i Baustelle.
Come sempre, l'originalità spontanea dei testi destabilizza piacevolmente l'ascoltatore, abituato alle trite rime sanremesi "cuore-amore" (non c'è confronto con: "con una bic profumata/ da attrice bruciata" e neppure con "l'erba/ ti fa male se la fumi senza stile"). La liricità di Bianconi è qualcosa di stupefacente, tipo Garinei/Giovannini/Kramer con lo spirito di Fausto Rossi, o l'unificazione dei vocabolari di Mogol e Panella: che le canzoni parlino di amore, di suicidio, di uccelli o del cielo, il suo immaginario colpisce per l'intensità immediata e la sottile ironia. Per non parlare del suo inconfondibile modo di cantare: Francesco Bianconi è un anticrooner al pari di un De André o di un Paolo Conte, con quel tono standard che personalizza, anzi unicizza, la sua interpretazione. Ne "La Malavita" canta quasi tutte le canzoni, lasciando alla pur brava Rachele Bastreghi la bella "Revolver" e poco altro.
Per quanto riguarda i contenuti e le atmosfere, vero è che questo album ha un alone di serietà rispetto ai precedenti, ma è anche vero che spesso è proprio il gusto dolce-amaro delle canzoni che finisce a denti stretti col far risaltare un certo romanticismo che da sempre ha caratterizzato i Baustelle, ben distinto dal quello classico della canzone pop italiana. La voce narrante non può che essere infatti quel dandy svogliatamente sexy del Bianconi, con i suoi miti pop degli anni 60 e gli inguaribili riferimenti storico-culturali da intellettuale tormentato: Poe, Dante, Van Gogh, Piero Manzoni. Ma parliamo della musica. Se il songwriting rimane sempre di livello, con punte di eccellenza come "Il Corvo Joe" o lo stesso singolone blandamente new wave "La Guerra E' Finita", il disco, soprattutto alle orecchie di chi i Baustelle li conosce da vari anni, presta il fianco ad alcune critiche.
Uno dei difetti di sempre dei Baustelle è la tendenza a "sbrodare" nei ritornelli, soprattutto dopo inizi fantastici. Se questa in precedenza poteva essere solo una capricciosa critica da indie-snob, adesso è un appunto necessario per canzoni come "Sergio", "A Vita Bassa" e soprattutto "Un Romantico A Milano", penalizzatissima dal ritornello. Oltretutto, un paio di pezzi sono malamente insignificanti, ovvero "Il Nulla" e "Perché Una Ragazza Di Oggi Può Uccidersi", che è la loro peggior canzone di sempre. Non si può resistere al domandone del caso: colpa della Warner? Di quei brutti cattivoni che decidono quello che bisogna ascoltare e monetizzano la musica? Ovviamente, è ben lungi da qui stigmatizzare per principio produzioni di un certo calibro che sono tutt'altro che limitanti per un artista; anzi, ci sono esempi di grandi della musica italiana hanno fatto il comodo loro proprio grazie al generoso contratto di una major (Battisti e Fossati).
Regole del mercato a parte, sta di fatto, peraltro, che certe scelte, certamente volute (mi riferisco in particolare al "chitarrismo" spiccato dell'album), non aiutano ad alleggerire le numerose ridondanze in "La Malavita"; appesantiscono invece la produzione, appiattendo i suoni e riducendo i freschi ritocchi e contorni musicali, che popolavano i precedenti lavori, a meri riempitivi interstrofa. Ad esempio, in un bel pezzo come "I Provinciali", era proprio necessaria quella coda in distorsione fastidiosamente subsonichiana, seguita peraltro da una chiusura orchestrale che c'entra poco o nulla? Buone prove, invece, la marcetta di "Cuore Di Tenebra", o "Revolver", dove la bella interpretazione di Rachele riporta con la mente ai primi passi dei Baustelle.
Insomma, i suoni saranno anche curati, ma sono proprio gli arrangiamenti a sembrare a volte poco adeguati. A scanso di equivoci, non è il passato dei Baustelle che qui si rimpiange (anzi, ben venga il loro contributo a una scena italiana "mainstream" ormai inascoltabile), bensì un'occasione in parte sprecata di valorizzare delle doti musicali che sono ben lontani dall'aver perso: l'originale approccio al pop, la bella sintesi di influenze musicali, le splendide melodie da "dolce vita", il gusto per gli arrangiamenti particolari, per non parlare del già menzionato talento lirico-compositivo di Bianconi. "La Malavita" è, per chi scrive, il peggior disco dei Baustelle, eppure suona meglio di qualsiasi produzione italiana del 2005. Sarà poi così poco?
31/03/2010