Inga Copeland ha un talento indiscusso nel confondere le acque e nel mantenere fitto l'alone di mistero in cui si muove mutante da ormai un lustro, fra uscite laconiche, dichiarazioni di intenti disattese e sfacciate prese in giro del music marketing 2.0 e della société du spectacle in blocco. Un livello comunicativo fondamentale questo, per l'anglo-russa, che le ha consentito di restare nell'occhio del ciclone (dell'hype) anche quando la sua musica poteva essere tacciata di pretestuosa inconsistenza. Non sarebbe poi in fondo così inappropriato parlare di inconsistenza, osservando su carta quella che con un po' di azzardo potrebbe essere presentata come la sua "discografia": due Ep rilasciati in quattro anni e un mixtape diffuso via Soundcloud. Un'inconsistenza a cerchi concentrici che arriva fino alla materia sonora vera e propria: sfuggente, fumosa, come fosse un humus di relitti e bs di un meraviglioso classico techno-pop andato perduto ma in realtà mai realizzato.
È anche per questo fascino, in fondo, che il micro-hype alimentato dalla Copeland, sin da quando l'hype lo esibiva parodisticamente nel nome, non si è esaurito nel chiacchiericcio di una stagione internauta ma si porta avanti ormai da anni, con un'unica, malcelata, speranza: che quel capolavoro tanto agognato venga finalmente alla luce a dissipare i dubbi e il fumo, a maggior ragione dopo un breve ma incoraggiante Ep come "Don't Look Back, That's Not Where You Are Going", in cui la formula della Copeland brillava, per la prima volta con struttura e melodia, in un efficace future-garage-pop.
Tra le righe di "Because I'm Worth It", però, è quasi udibile il ghigno di chi tiene il conto di quanti, a questo turno, hanno abboccato alla trappola.
Presentato come il primo Lp di Inga Copeland, "Because I'm Worth It" si presenta innanzitutto come un mini-album di appena ventinove minuti in cui della nostra rimane lo pseudo-cognome (oltre all'arruffata foto in cover) e un titolo che torna a strizzare l'occhio alla dimensione post-contemporanea di quelli che, a conti fatti, restano i (capo)lavori paralleli con il redento Dean Blunt che giustificano in fondo tanti fiumi di parole: l'oscuro "The Attitude Era" e l'ormai classico "Black Is Beautiful".
In maniera simile, per contrappasso, l'opera torna alla "pop culture" mediatica rifugiando proprio l'espressione musicale più diretta di quel sistema, il pop. Al contrario, a conferma di come una rottura sostanziale con il post-Hype Williams sia avvenuta, "Because I'm Worth It" lavora minuziosamente sui pattern ritmici, non si ferma alle associazioni meta-musicali e in più di un'occasione dà anzi forma a brani compiuti.
A partire dalla potente cassa sgranata di "Faith OG X", autocitazione di "Higher Powers" e dallo step squisitamente britannico di "L'oreal" e "Inga". "Fit 1" è invece una piacevole nuvola ambientale in cui la Copeland si (ri)scopre vocalist timida e trasognata prima di partire per un trip idm di matrice seefeeliana, candidandosi probabilmente a brano migliore del lotto.
Eppure, nonostante gli sparuti spunti accattivanti, ancora una volta Inga non riesce a mettere insieme un lavoro davvero memorabile né compiuto. Un gioco che, per sua natura, ha funzionato meravigliosamente in passato ma che mostra la corda non appena vengono chiamate in causa istanze compositive. Dean Blunt, lo scorso anno, trovò un compromesso più che soddifacente. Se la Copeland riuscirà a seguire l'intuizione metodica dell'ex-compagno, è un interrogativo da rimandare, ancora una volta, a un futuro imprecisato.
Lo scherzo di Inga è riuscito nuovamente. Questa volta, forse, meno divertente del solito.
06/05/2014