Acquisito il segreto del songwriting più elaborato e raffinato e affilate le lame con splendidi quadretti di folk-pop nel precedente album “Fomo”, Liam Finn sembra sempre più intenzionato a far dimenticare la figura paterna che indiscutibilmente ha dato il giro di chiave per il suo ingresso nel mondo della musica pop. “The Nihilist” è l’album della definitiva maturità dell’autore australiano, un insieme di canzoni che reinventano le regole dell’artigianato pop senza artifici intellettuali, ma con un entusiasmo contagioso e coinvolgente.
Una scrittura solida e matura mette insieme elementi classici della musica pop-rock, sprazzi di psichedelia e modernismo senza mai cedere il passo alla prevedibilità. Finn non rinuncia alle inevitabili influenze del gruppo paterno (i Crowded House) e non è difficile scorgere in brani come “Ocean Emmanuelle” e “Helena Bonham Carter” quell’incedere lirico e ritmico pieno di spazi e di immaginazione, anche se la personalità dell’autore rompe ogni schema e dona un fascino sfuggente che ammalia dal primo ascolto.
L’irruenza di “Burn Up The Road” è uno schiaffo al languore del britpop, e ”Dreary Droop” affonda le mani nel mare magnum del rock alternativo ed elettronico con risultati affascinanti, altresì il funky-soul psichedelico alla Connan Mockasin di “Snug as Fuck” è denso di erotismo alla Marvin Gaye. Ogni ascolto rivela nuovi elementi armonici e splendide geometrie ritmiche che sono anche il frutto di una maggiore confidenza con lo studio di registrazione e con le alchimie della perfetta pop-song: glitch e tastiere fanno brillare le geniali intuizioni della ricercata e sperimentale “4 Track Stomper”, mentre le veloci fughe di chitarre e voci di “Wrestle With Dad” e il funky esoterico di “The Nihilist” sono due esempi di canzoni pop che difficilmente trovano spazio in un album di songwriting attuale.
Il coraggio non manca a Liam Finn e la malinconia quasi ipnotica dell’intensa traccia d’apertura “Ocean Emmanuelle” riesce a far perdonare gli inevitabili momenti di relax dell’autore, che in “Arrow” e “I” insegue l’originalità e l’azzardo senza stupire e creando una leggera confusione tra drone e scampoli di armonie, ma è un breve interludio in un album dalle infinite sfumature, un puzzle affascinante che sancisce la definitiva autonomia di Finn, sempre più affascinato dalla musica funky e psichedelica (Prince, Parliament, Shuggie Otis) e ormai avviato verso la completa autonomia stilistica.
04/06/2014